Lavoce.info

Regno Unito, ma nel caos

Sembrava un’elezione dall’esito scontato. Invece il Regno Unito sorprende ancora con un risultato elettorale che ha l’apparenza del cataclisma. Ma Theresa May è ancora al potere, almeno per il momento. E per i negoziati Brexit rimangono due scenari.

Non ha vinto nessuno

Il partito laburista ha perso le elezioni dell’8 giugno nel Regno Unito. Al di là dell’entusiasmo e della gioia istintiva (anch’io ho esultato, certo come tanti, con un “yessss!” e braccia al cielo, nel vedere l’exit poll alle 22), i numeri sono innegabili. Jeremy Corbyn ha portato ai Comuni meno di due terzi dei deputati che aveva Tony Blair, solo tre in più di Gordon Brown; gliene mancano ancora 70 per formare un governo laburista.

L’esultanza dei social è dovuta al fatto che ha perso in modo meno disastroso delle previsioni, ma è magra consolazione per i meno fortunati che dovranno subire ulteriori tagli al welfare, per chi morirà per il caos negli ospedali, per chi non potrà andare all’università per la netta riduzione dei finanziamenti alla sua scuola statale. La redistribuzione è certo uno slogan efficace nei comizi, ma Tony Blair rimane il solo che è riuscito a realizzarla in concreto.

La sconfitta è resa ancor più amara per l’incompetenza dei Tory. Perdere con un governo così detestato e incompetente, che ha sbagliato letteralmente ogni mossa elettorale, con un primo ministro la cui popolarità crollava a picco ogni volta che parlava con un’infermiera, un’insegnante o un disabile, è peggio che sbagliare un gol a porta vuota al novantesimo.

Anche se adesso è il beniamino della sinistra, la colpa della sconfitta dei laburisti è di Corbyn e del gruppo di suoi fedeli. Il partito si è dimostrato organizzato e capace, concentrando le energie nei collegi giusti, evitando di parlare del suo leader nei volantini e nei porta-a-porta con gli elettori e mandandolo in visita in collegi dove il voto non era in bilico, utilizzando nel modo migliore i social media per far votare i giovani.

Leggi anche:  Promesse da campagna elettorale nei due programmi*

Ha ragione George Osborne, il ministro dell’Economia di David Cameron, secondo cui un leader laburista meno estremista sarebbe oggi senz’altro primo ministro. Corbyn non ha potuto o voluto convincere un numero sufficiente di elettori moderati a disertare i Tory. D’altra parte, la sua indubbia abilità in campagna elettorale ha portato alle urne molti che in passato se ne erano disinteressati. E questo amplifica la sua responsabilità per il voto al referendum sulla Brexit. Se Corbyn non fosse rimasto disdegnoso e distante, pontificando che l’UE è un club del capitale finanziario, e un anno fa si fosse gettato nella mischia elettorale con l’energia e il carisma, tanto pacato e civile quanto efficace delle passate settimane, la Brexit sarebbe stata sonoramente sconfitta.

Divisione sempre più netta

L’eccellente serie di grafici del Financial Times illustra bene i profondi cambiamenti sociali del Regno Unito (in maggior dettaglio nel mio libro). Nel 2017 non c’è differenza di voto tra classi sociali, mentre quella generazionale è più profonda che mai: il Labour perde di 30 punti tra gli over-65, e vince di 50 negli under-24. La divisione geografica è ugualmente profonda. Il paese è diviso in tre: Londra e le grandi città del Nord, fermamente Labour; l’Inghilterra rurale e delle città medie, altrettanto saldamente Tory; mentre la Scozia è divisa tra chi è pro e chi contro l’indipendenza. La divisione generazionale è però ancor più forte di quella territoriale: in un voto per gioco, gli studenti dell’ex-scuola dei miei figli scelgono in modo diametralmente opposto rispetto al voto del collegio locale.

Un’altra novità è che il paese torna a essere bipartitico. Per trovare un’elezione in cui sia Tory sia Labour abbiano ottenuto più del 40 per cento dei voti bisogna andare al 1970 ed entrambi l’8 giugno hanno ricevuto più voti che in ogni altra elezione in questo secolo. La scomparsa dei partiti minori è avvenuta in due fasi: i Lib-Dem nel 2015, Ukip e i verdi la settimana scorsa.

Leggi anche:  Harris-Trump: l'economia Usa nei prossimi quattro anni*

Cosa succederà adesso?

Per il momento, Madam May scende a patti con una disgustosa banda di reazionari per rimanere avvinghiata al potere come una democristiana. Alcune delle opinioni degli eredi di Ian Paisley possono far sorridere, l’opposizione al line-dancing e quella che il papa sia un emissario di Satana. Altre, come la proposta criminalizzazione dell’omosessualità, il creazionismo o la negazione del riscaldamento globale, possono però avere serie conseguenze. Non è difficile immaginare come giudichi questa unione Ruth Davidson, lesbica, leader dei Tory in Scozia, l’unica tra i conservatori che oggi sorride, avendo portato il partito da uno a 13 seggi. I media sono certi che Theresa May durerà solo fino a quando le due ali del partito decideranno di aprire le ostilità. Ma si sono già sbagliati in passato.

Difficile immaginare l’evoluzione del negoziato sulla Brexit. Nello scenario peggiore, i Tory pro-europei (che sono almeno una cinquantina) danno carta bianca a Boris Johnson, convinti della futilità di sfidare la Brexit dura e preoccupati di una possibile campagna in stile nord-coreano condotta contro di loro dai fanatici media della destra eurofoba. In quello più ottimista, invece, si forma un’alleanza tra i moderati dei due partiti, con una commissione congiunta che collabori alle trattative sull’articolo 50. La nomina di Damian Green a vice-premier, sposta un po’ l’ago della bilancia verso il secondo scenario.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Guerra economica alla Russia: scocca l'ora delle "sanzioni secondarie"?

Precedente

Rafforzare l’Esm per renderlo efficace*

Successivo

Se neanche i parlamentari sanno bene cos’è il reddito di cittadinanza

11 commenti

  1. Giovane Arrabbiato

    Certo, peccato che la sinistra ”moderna e progressista” pro austerity ormai non la voglia nessuno. Nonostante la totale ostilità dei media (Independent e Guardian in testa) verso Corbyn, i tentativi di sabotaggio (ripetuti e falliti) da parte dei Blairites, l’ineleggibile populista alla fine ha fatto meglio degli ”eleggibili” Miliband.
    Risultati equivalenti per la sinistra moderna si hanno in Francia (da 45% a 6% in 5 anni), Olanda (da 30% a 6%).
    Ci fosse stato un minimo di lealtà, che la sinistra moderna non ha verso la classe media e operaia tanto per cominciare, figuriamoci verso Corbyn, avrebbe anche potuto vincere, perchè Theresa May è spazzatura. Eppure ha vinto, esclusivamente grazie un tema in cui la sinistra è forzatamente in silenzio, l’immigrazione. Meglio il politicamente corretto che risolvere i problemi? E sia.

  2. shadok

    Una sola considerazione, marginale, rispetto ai contenuti dell’articolo: se corbyn avesse fortemente appoggiato il remain forse (probabilmente?) brexit avrebbe perso, e a quest’ora Cameron sarebbe ancora saldamente al suo posto e corbyn sulla graticola, a fuoco lento…

  3. Massimo Matteoli

    Vedo che c’è ancora chi continua a pensare che con un leader più moderato i laburisti avrebbero vinto. Nessuno può sapere se sarebbe veramente successo.
    Quello che si sa è che Corbyn, se non sbaglio, ha ottenuto circa due milioni di voti in più di Blair e che l’unica cosa che accomuna i suoi avversari nel partito è la serie di sconfitte elettorali che hanno saputo collezionare.
    Più che continuare con la “novella dell’estrermista inadatto a vincere” i critici del leader laburista, se vogliono pensare sul serio al futuro, farebbero meglio a riflettere sulle ragioni profonde per cui un oscuro deputato di un sobborgo londinese, rimasto praticamente per tutta la sua vita politica ai margini del Partito Laburista, sia riuscito a conquistare prima i cuori e la mente dei militanti e poi ad ottenere un risultato elettorale che in numeri assoluti supera, come ho detto, anche il trionfo di Blair.
    Chi a sinistra pensa sia necessario una’alternativa a Corbyn farebbe bene a riflettere su questo ed a cercare di dare risposte capaci di uguale successo.
    E fino ad allora a farsene una ragione.

  4. Marcomassimo

    Corbyn dice semplicemente cose veritiere senza abbellimenti e non è certo la prima volta nella Storia che la verità diventa un tabù assoluto specie se è scomoda per i potenti; sicuramente Corbyn poteva essere più bello, più telegenico, più mellifluo, più universalista; poteva dire molti più “ma anche” come Macron fa continuamente a ruota libera; soprattutto poteva rassicurare certi poteri accettando delle laute donazioni a fondo perduto come ha fatto Macron o prepararsi al “dopo” fatto di batterie di conferenze in certi ambienti dove ti retribuiscono con una moneta d’oro a parola proferita; tutto questo Corbyn non l’ha fatto e si vede; si vede che è una persona seria; con i forti occorre necessariamente scendere a patti? Dipende dai punti di vista: una buona e chiara causa vale qualche voto in meno ed persino qualche deceduto in più negli ospedali. Del resto anche la rivoluzione inglese del 1642 qualche morto lo ha fatto; è stato doloroso ma si dà il caso che da che mondo è mondo purtroppo così vada la Storia.

  5. Henri Schmit

    Condivido l’intera analisi. Nè l’autore né Osbourne sostengono che bastava per queste elezioni un capopartito più moderato per vincere contro la May, ma che una gestione diversa della macchina partitica da prima della campagna sul Brexit, meno rozzamente e ciecamente anti-UE, avrebbe cambiato molto, forse tutto. Ma il problema maggiore ce l’hanno i Tories: divisi e ambigui sulla Brexit prima, hard-liner (spesso in contraddizione con se stessi) dopo il referendum vinto non da loro ma da UKIP che aveva un solo deputato, devono adesso gestire una trattativa che avrà in ogni caso effetti negativi per l’UK, per gli investimenti esteri e per la City, pesantemente o moderatamente negativi in funzione di una separazione più intelligente o più stupida. Il clivage politico non è semplice ma complesso, thatcherismo vs.stato sociale, uscita hard vs.soft, apertura vs. chiusura (mercati, persone, studenti), UK o regni divisi. L’UE ci perde molto con la Brexit, perché esce un socio importante, ma ci guadagna anche perché si libera di un socio titubante, incostante. Ora il continente deve produrre risultati; Merkel e Macron l’hanno capito, mentre l’Italia, oltre l’espressione geografica, semplicemente non c’è.

  6. Gianni De Fraja

    Grazie dei commenti. Io, e penso molti altri, non solo a sinistra, in UK preferiremmo l’innegabile superficialità di Cameron al becero fanatismo di Madam May. Per quanto riguarda l’eleggibilità o meno di Corbyn, rimango della mia opinione che non potrà mai ottenere abbastanza seggi da governare. È vero che ha ottenuto molti voti (comunque 650.000 meno di Blair nel 1997) , ma le partite di calcio le vince la squadra che fa più gol, non quella che ha più possesso di palla: passare dal 70% all’80% dei voti come è successo in molti collegi Labour di Londra, o dal 55% al 65% come in molti di Manchester, non compensa per i seggi come Mansfield, cittadina delle Midlands, che Labour teneva dal 1923, vinta dai Tory nonostante il rispettato laburista, deputato locale dal 1987. Gloria De Piero, sempre nelle Midlands, ha visto una maggioranza vicina al 20% evoporare evaporare a meno dell’1%. Se avesse messo il nome di Corbyn nei suoi volantini forse avrebbe perso anche lei. La strada per Downing street passa per Nuneaton, e lì il Labour di Corbyn è ancora sotto del 10%.

    • Marcomassimo

      in politica ed in economia, quanto meno nel lungo periodo, “mai” è un concetto privo di senso, come l’infinito in matematica

  7. Federico Leva

    Trovo comunque piuttosto contraddittorio dire da un lato che Corbyn non ha meriti per il recupero elettorale, e dall’altro che avrebbe potuto, da solo, fermare Brexit.

    Ovviamente non ci sono voci sopra le parti in tutto ciò, ma i beninformati e gli stessi ex oppositori interni di Corbyn sono piú generosi sulle sue abilità organizzative/tattiche.

    https://www.theguardian.com/politics/2017/jun/13/i-was-wrong-about-jeremy-corbyn-leadership-says-harriet-harman
    https://www.theguardian.com/politics/2017/jun/13/permanent-campaign-mode-jeremy-corbyn-lays-plans-for-labour-victory

    “Who’s responsible for organizing the campaign? It is the tight group around Corbyn himself”
    https://jacobinmag.com/2017/06/jeremy-corbyn-labour-party-paul-mason-austerity-theresa-may

    • Henri Schmit

      L’analisi (anche dell’autore) è più articolata. Serviva un’alternativa più centrista, più mediana, per battere i Tories. Non sarebbe bastato sostituire Corbyn con un Miliband un arrampicatore come Manuel Valls; è più credibile un uomo di convinzioni come appunto Corbyn. Per battere l’arrogante, ignorante, poco affidabile per incoerente May serviva però qualcuno di meno estremista di Corbyn: non solo su questioni sociali ma anche sui metodi economici e di cooperazione internazionale per raggiungerli lui non era la persona adatta. Adesso che le stelle, pardon comete, di May e Trump stanno cadendo, questo discorso diviene sempre più chiaro: in UK solo i libdem rappresentano senza mezzi termini la preferenza della metà che ha votato remain. Ora che tutti si stanno svegliando all’alternativa fra lose hard o lose soft quel vuoto diverrà sempre più vistoso.

  8. and

    é cambiato il mind set delle nuove generazioni e gli stati non l’hanno ancora capito

  9. Pietro

    Cito dall’articolo:

    “Anche se adesso è il beniamino della sinistra, la colpa della sconfitta dei laburisti è di Corbyn e del gruppo di suoi fedeli”

    Davvero in pochi pensavano che i labor potessero vincere, quasi nessuno per la verita’: Theresa May ha scommesso che avrebbero straperso invece cio’ non e’ successo; un episodio complesso come quello attuale del Regno Unito va analizzato nelle sue disarmanti complessita’, un breve articolo non puo’ bastare e non ha senso scriverne.

    Ci vogliono meno paragoni calcistici, meno “mai, nessuno, forse”, meno entusiasmi da exit-poll delle 10PM, un’analisi fredda e consapevole dell’approssimazione dell’errore che inevitabilmente si commette nell’analizzare la situazione con i propri occhi, interessi e pregiudizi.

    Certo che se e’ scritto cosi il suo libro !

    Una genuina domanda: come e’ possibile correlare la tendenza di voto di un particolare “cohort” se il voto e’ segreto ?

    Sono essi “fatti” o inferenze su, per dire, l’eta media della constituency in oggetto ?

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén