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I problemi da affrontare per una “primavera europea”*

Completare l’unione bancaria è certo un imperativo. Ma è necessario affrontare anche la questione fondamentale della politica fiscale. La terza parte dell’introduzione dell’e-book che disegna la strategia per assicurare la stabilità dell’Eurozona.

Completare l’unione bancaria

Con il 90 per cento del denaro in circolazione creato dalle banche commerciali, l’idea di costruire un’unione monetaria senza aver prima realizzato un’unione bancaria è stato uno degli errori più gravi del Trattato di Maastricht. Ora, l’unione bancaria ha permesso numerosi passi in avanti, ma tante questioni necessitano ancora di essere risolte.

La prima riguarda il “secondo pilastro” dell’unione bancaria, vale a dire il meccanismo di risoluzione. Il fondo di risoluzione – che garantisce il sostegno finanziario nel caso di crisi bancarie – si costituisce di contributi delle banche, ma il processo di raccolta avviene con troppa lentezza. Alla velocità attuale, raggiungerà un valore pari all’1 per cento dei depositi garantiti nel 2023. In realtà, gli stati membri potrebbero velocizzare il processo anticipando parte del fondo per essere poi rimborsati dalle banche. D’altra parte, potrebbe esserci una minore urgenza di creare un’assicurazione sui depositi dell’area euro: dopo che il bail-in ha coperto l’8 per cento degli asset totali di una banca e con un fondo di risoluzione più forte, è molto improbabile che i depositi sotto i 100 mila euro vengano coinvolti. Ovviamente, il bail-in deve essere applicato: quanto avvenuto in Italia ha mostrato tutte le difficoltà che sorgono con una sua applicazione immediata a piccoli investitori che avevano comprato le obbligazioni delle banche prima che le regole fossero introdotte.

La seconda questione da risolvere riguarda i crediti deteriorati. Una grande quantità deriva dal cosiddetto “zombie lending”, per cui le banche continuano a concedere prestiti a clienti già ritenuti insolventi.  Finora la soluzione è stata l’introduzione di bad bank a livello nazionale (o addirittura al livello di banca). In termini di diversificazione del rischio, tuttavia, la bad bank al livello nazionale non è la scelta ottimale. La proposta dell’European Banking Authority di creare una società di gestione degli asset al livello di Eurozona affronta il problema della diversificazione, ma dovrebbe anche considerare l’eliminazione del rischio sul tasso di recupero finale nei bilanci delle “good bank”.

La terza questione riguarda la necessità di stabilizzare il settore bancario attraverso l’offerta nell’area euro di un asset sicuro e liquido (simile ai buoni del Tesoro americani). Durante una crisi, gli spread sui titoli di stato dell’area euro crescono. Il processo destabilizza le banche che utilizzano i titoli sovrani come collaterale per ricevere liquidità sul mercato dei repo, per non parlare delle perdite che potrebbero avere nei loro portafoglio.

Sono state avanzate diverse proposte su come costruire un asset sicuro basato sui titoli di stato (von Weizsäcker and Delpla, 2010, Bofinger 2011, Brunnermeier 2016). Nelle giurisdizioni autonome (si veda De Grauwe and Ji, 2013), c’è l’idea implicita che, in caso di estrema necessità, la banca centrale comprerà i titoli di stato che il mercato non è più disposto a detenere. Nell’area euro, una simile garanzia violerebbe i trattati. Ma se un asset “sicuro” di questo tipo fosse disponibile sul mercato, la Bce non correrebbe il rischio di avere delle perdite, e quindi di finanziare i governi (si veda Corsetti 2016).

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Questo terzo elemento – la necessità di un “asset sicuro” – è il più controverso. Sebbene il concetto di “normalizzare” l’area euro sia largamente accettato, l’idea di mettere in comune i titoli sovrani si scontra con la forte resistenza degli stati membri, soprattutto nel fidarsi a vicenda sulla base di impegni di lungo periodo, in particolare a causa dell’azzardo morale e del rischio che l’intero meccanismo si trasformi in “un’unione di trasferimenti”.

Il problema dello spazio fiscale

Anche dopo aver completato l’unione bancaria, all’area euro mancherà ancora uno strumento per controllare la domanda aggregata quando la politica monetaria diventa sostanzialmente inefficace. In un contesto dove l’equilibrio dei tassi d’interesse reali rimarrà probabilmente molto basso per un lungo periodo, è una situazione che rischia di ripetersi spesso e perciò deve essere affrontata.

C’è un largo consenso sul bisogno di politiche fiscali anti-cicliche (o almeno di stabilizzatori automatici), ma ci sono diverse idee su come realizzarle. Barry Eichengreen e Charles Wyplosz nel loro contributo sostengono che la politica fiscale dovrebbe essere riaffidata ai governi nazionali (con l’obbligo di inserire in Costituzione un vincolo alla spesa e di costituire un organo di controllo della politica fiscale).

Alcuni economisti hanno proposto di introdurre un piccolo budget di spesa, come un’assicurazione europea contro la disoccupazione (Paul de Grauwe e Agnès Bénassy-Quéré, Daniel Gros), per creare un meccanismo federale di stabilizzazione automatica sia per singoli stati che per l’area euro nel suo complesso. Sono tuttavia proposte molto controverse, per il rischio dell’azzardo morale connesso a qualsiasi forma di assicurazione. Non c’è al momento consenso su come creare uno strumento per la stabilizzazione fiscale al livello aggregato quando la politica monetaria non basta a fronteggiare gli shock.

Su un diverso fronte, molti economisti sono a favore della formazione di un budget comune dell’area euro destinato agli investimenti (Thorsten Beck) o di una revisione della golden rule nelle attuali regole fiscali, che permetta ai governi nazionali di finanziare in debito gli investimenti pubblici. Sono anche queste proposte controverse, ma per ragioni differenti.

Per prima cosa, rientra già nei compiti del bilancio europeo investire nella convergenza di regioni specifiche e in progetti di rilevanza europea. In secondo luogo, la stessa golden rule non è priva di elementi di debolezza (enfasi eccessiva sugli investimenti fisici rispetto a quelli sul capitale umano, manipolazione dei ritorni sugli investimenti).

In terzo luogo, benché il finanziamento pubblico degli investimenti attraverso l’emissione di nuovo debito sia giustificabile se porta a un aumento della crescita potenziale, il rapporto debito/Pil continuerà a essere un indicatore chiave della sostenibilità finanziaria di un paese.

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In ogni caso, l’emissione di debito comune dovrebbe avvenire solo nelle situazioni più critiche e dovrebbe essere gestita basandosi su risorse comuni. Poiché le istituzioni dell’area euro non possono raccogliere risorse attraverso la tassazione, il bilancio dovrebbe basarsi, almeno nella prima fase, sui contributi nazionali. Quindi, c’è il rischio che la logica del “juste retour” (giusta contropartita) prevalga per il bilancio dell’area euro così come ha prevalso finora per il bilancio dell’Ue. Un modo per risolvere il problema è di modificare i contributi nazionali nel corso del tempo.

Il problema è reso ancora più arduo a causa dei livelli straordinariamente alti del debito pubblico in alcuni paesi. Alcuni economisti sostengono che finché i tassi d’interesse rimangono così bassi, rapporti di debito alti non sono un grande problema. Altri, al contrario, rimarcano la fragilità che i paesi più indebitati dell’area euro non avrebbero la capacità di reagire agli shock. Il debito pregresso rischia inoltre di bloccare qualsiasi forma di assicurazione europea poiché implica che le probabilità di dover affrontare una crisi sono diverse tra gli stati membri. Perciò, sono state lanciate alcune proposte per ridistribuire nel tempo il peso del debito pregresso e per annullarlo o riportarlo a un livello minimo tra i paesi (si veda Corsetti, Feld, Koijen, Reichlin, Reis, Rey and Weder di Mauro 2016 per un’interessante analisi sulla questione. Padre – Politically Acceptable Debt Restructuring in the Eurozone, come proposto in Pâris and Wyplosz, 2014, è un piano che non richiederebbe una redistribuzione tra paesi).

Per tutti questi motivi, pensiamo che la questione dello spazio fiscale non appartenga alla lista dei “problemi facilmente risolvibili”. Probabilmente richiederà un’ulteriore fase di integrazione politica, ma anche livelli di debito più bassi e una maggiore convergenza socio-economica tra i paesi. Per ora, “la sfiducia corrosiva tra paesi creditori e debitori” (Honohan) ha bloccato qualsiasi progresso in tema di spazio fiscale. Le difficoltà, però, non dovrebbero essere una scusa per non fare il massimo possibile, ma rappresentano un invito a legare l’agenda dello spazio fiscale a quella delle riforme strutturali.

* Questo testo è parte dell’introduzione all’e-book “Europe’s Political Spring: Fixing the Eurozone and Beyond”, pubblicato in inglese (e scaricabile gratuitamente qui) da Voxeu.org

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  1. Fabrizio

    Ma è davvero necessario assicurare i depositi fino a centomila euro? A me sembra uno sproposito. Oltretutto disincentiva il risparmiatore a controllare lo stato della sua banca.

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