L’introduzione del Rei rappresenta un primo passo storico nella lotta alla povertà in Italia. Ora, però, c’è il rischio che si aggiunga alla già lunga serie di riforme incompiute del nostro paese. Per evitarlo è necessario un Piano triennale 2018-2020.
Il Rei, l’utenza e gli importi
La recente introduzione del reddito d’inclusione (Rei) ha dotato il nostro paese della prima misura nazionale, strutturale, contro la povertà assoluta, che entrerà in vigore dal prossimo 1° dicembre.
Si tratta di un risultato di grande portata, frutto dell’impegno di governo e parlamento. Il disegno del Rei riprende infatti numerosi aspetti della misura proposta dall’Alleanza contro la povertà, recepiti durante il dibattito parlamentare e nel memorandum siglato lo scorso aprile con il governo.
I finanziamenti sinora disponibili, però, permettono di seguire la proposta dell’Alleanza solo in modo parziale.
Secondo le stime Istat, in Italia vivono in povertà assoluta 4,75 milioni di persone, il 7,9 per cento della popolazione complessiva. Di questi, riceveranno il Rei 1,8 milioni di individui, cioè il 38 per cento del totale, mentre il 62 per cento ne rimarrà escluso. Il target di beneficiari sinora privilegiato dalla misura sono i minori in povertà: tuttavia, il 41 per cento di questi non la riceverà (tabella 1). Quanto alla distribuzione dei quasi 3 milioni di poveri ancora senza Rei, emerge la loro presenza, in modo abbastanza omogeneo, in tutte le fasce di età (tabella 2).
Tabella 1 – Utenti del Rei ed esclusi sul totale degli individui in povertà assoluta per fascia d’età, Italia
Nota: I dati delle tabelle sono stimati sui dati Silc 2015 avendo come riferimento le stime Istat sulla povertà assoluta, secondo cui 4,75 milioni di persone sono in tale condizione (7,9 per cento della popolazione). Nel campione, è considerato povero il 7,9 per cento delle persone con i livelli più bassi di Ise reddituale. Per quanto riguarda la platea dei beneficiari si fa riferimento al numero di utenti dichiarati dal governo nella relazione tecnica del decreto legislativo: 1,8 milioni di persone.
Tabella 2 – Distribuzione degli popolazione povera esclusa dal Rei per fascia d’età, Italia
La tabella 3 confronta l’importo medio mensile del Rei attuale con quello ritenuto adeguato dall’Alleanza (cioè la differenza tra la soglia di povertà assoluta e il reddito disponibile familiare).
La tabella 3 propone una stima di quanto riceveranno in media le famiglie beneficiarie, pari alla differenza tra la soglia prevista dal Rei per ciascuna dimensione familiare e il reddito disponibile. Pur essendo indubbiamente rilevanti per chi ha redditi estremamente bassi, gli importi non consentiranno dunque ai beneficiari di soddisfare adeguatamente le proprie esigenze primarie, che riguardano l’alimentazione, la casa, il vestiario e i trasporti e altre necessità di base.
Tabella 3 – Ammontare medio mensile del contributo economico, per dimensione del nucleo familiare
I percorsi d’inclusione
Attualmente, si prevede che il 15 per cento del nuovo Fondo nazionale contro la povertà sia destinato ai servizi alla persona per dar vita ai percorsi d’inclusione. La regia è in capo ai comuni, che operano insieme ai centri per l’impiego, al terzo settore e agli altri soggetti sociali nel welfare locale. Gli studi e le analisi empiriche mostrano, tuttavia, che si tratta di una percentuale insufficiente, da portare al 20 per cento. È altresì cruciale far sì che queste risorse vengano utilizzate nel modo migliore e verificare che ciò accada: si tratta di un obiettivo del Piano nazionale.
Il Piano nazionale contro la povertà 2018-2020
L’Alleanza contro la povertà propone di adottare un Piano nazionale 2018-2020, che superi progressivamente le criticità. Alla sua conclusione, l’Italia avrà una misura contro la povertà assoluta universale (rivolta a chiunque sperimenti tale condizione) e adeguata (nei contributi economici e nei percorsi di inclusione).
Il Piano prevede di procedere per gradi, ampliando l’utenza del Rei e rafforzando le risposte in ogni annualità rispetto alla precedente. Si tratta però di una gradualità all’interno di un percorso definito chiaramente sin dall’inizio, con precisi impegni riguardanti il punto di arrivo e le tappe intermedie. Dunque, l’imminente legge di bilancio dovrebbe prevedere il relativo finanziamento pluriennale. A regime, cioè a partire dal 2020, è necessario uno stanziamento annuo di circa 7 miliardi di euro, a carico dello stato. Sinora sono stati resi disponibili 1.759 milioni nel 2018 e 1.845 dal 2019. Servono, dunque, circa 5,1 miliardi annui aggiuntivi: vi si arriva progressivamente, stanziando ogni anno risorse superiori al precedente.
Il Piano prevede altresì uno sforzo particolare per sostenere l’attuazione del Rei a livello locale, che veda l’impegno congiunto di stato, regioni e realtà del welfare locale. Lo compongono varie attività che forniscono alle realtà del territorio gli strumenti necessari, così come l’attivazione di un efficace sistema di monitoraggio.
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Savino
1) Il lavoro, dal punto di vista della dignità umana, è meglio dell’assistenzialismo e della carità; 2) ragioniamo sul fatto che questi strumenti non sono soltanto assistenzialismo politico, ma, qualora si arrivasse al reddito di cittadinanza, ciò sarebbe vero e proprio incentivo ad una civiltà consumistica, cioè una manna per le multinazionali, laddove non importa più se sei lavoratore, ma ti regano i soldi utili per consumare; 3) c’è, poi, un problema tutto italiano: a quali categorie di persone diamo accesso a questo nuovo welfare? Alle stesse che hanno avuto accesso fino ad ora ai sussidi di disoccupazione, alle pensioni d’invalidità, alle case popolari, alle borse di studio, alle agrvolazioni su imposte, tasse e trariffe varie? Gli italiani furbetti dell’Isee e del reddito zero avranno ancora la meglio con il loro piagnucolare e dichiararsi “poveri”?; 4) Può vincere una sfida del genere l’odierna P.A. con il suo personale inadeguato, fatto o di “sistemati”, che al CPI hanno trovato impiego a sè stessi, oppure composta dal paradosso di precari nei CPI?
giovanni
Salvo errori od omissioni nella spiegazione della riforma non trovo da nessuna parte la parolina “Italiani”. In altre parole a chi è destinato questo REI? agli Italiani che sono in dificoltà economiche o a chiunque si trovi sul nostro territorio? nel secondo caso questa sarebbe un’ ennesima manovra elettorale che fa il paio con lo ius soli per catturare i voti degli stranieri visto che le giovani leve degli Italiani non votano più questo Governo.
sergio bevilacqua
Giovanni è il caso che la politica intesa come propaganda, la si facci nei posti delegati a questo e si eviti di infastidire con argomentazioni strumentali e assolutamente irrazionali chi sta lavorando per rendere efficaci i servizi. Oppure nella sua logica va bene fare propaganda in qualunque posto e pazienza se così facendo si riducono energie e tempo per risolvere i problemi pratici dei servizi?
Mauro Soldini
Il misuratore della condizione economica, l’ISEE, così come riformato dal 2015, può garantire certamente una maggiore equità nell’accesso al ReI. Ma in questi mesi di proclami, pochi hanno sottolineato che l’ISEE stesso o meglio la dichiarazione sostitutiva unica (DSU), utile alla richiesta del calcolo del proprio ISEE all’INPS, non sarà più accessibile alle famiglie, a partire da lla fine di settembre, perchè il 97% delle DSU transitano attraverso ai CAF (Centri di assistenza fiscale), grazie ad una convenzione con l’Istituto che non garantirà più il compenso economico da quella data e che non è certamente attrezzato, perchè da sempre convenzionato, a rispondere alle istanze dei cittadini su questo specifico servizio. A meno che non ci si voglia lavare le mani, sostenendo che vi è la possibilità di prodursi in autonomia la DSU attraverso i servizi online dell’INPS, non considerando la complessità della dichiarazione e il digital divide.Il valore necessario alla copertura economica dell’ultimo trimestre dell’anno, con un compenso ai CAF che soddisfa il 60% del costo industriale di una DSU (che non può essere ulteriormente tariffata al cittadino a differenza del mod. 730) è di circa 20 milioni di euro. Una goccia nel mare del bilancio dell’INPS ma anche dello stanziamento del governo sul ReI.
Henri Schmit
Sono stupito del fatto che il Rei (un nome che forse promette troppo) copre maggiormente i più giovani che non i più anziani. Per i giovani l’unica soluzione è il lavoro, quindi la crescita del PIL, l’investimento, la formazione, l’orientamento, o la parte servizi del programma (quali servizi?) di “inclusione”, non l’assistenza economica. I più anziani fanno più fatica a reinserirsi, a ridefinirsi, e la logica contributiva delle pensioni sempre più ritardate rischia di giocare brutti scherzi a molti; per loro il trasferimento monetario è spesso l’unica soluzione. Vedo l’assistenza un dovere crescente con l’età e l’inserimento nel ciclo produttivo (formazione, ricollocamento, etc) un dovere dello stato inversamente proporzionale all’età dei residenti (e non solo dei cittadini, come vorrebbe la nuova destra nazionalista, da modello anni 20, non solo in Italia).
Henri Schmit
Faccio notare che ieri l’altro Mario Draghi ha fatto delle osservazioni molto simili al mio commento: ai giovani non serve assistenza, ma occupazione, attraverso l’investimento privato, ovviamente. Sono felice, non sono più solo ….
piero
1,8 miliardi per 1,8 milioni di persone significano 1000 euro medi a testa, 80 euro al mese. Ho capito bene?
Michele
Beh un po’ meno: il 15% dei 1.8 mld verrebbe speso per “servizi alla persona per dar vita ai percorsi di inclusione”. Un po’ come nella canzone di De Andé: “Un galantuomo che tiene sei figli ha chiesto una casa e ci danno consigli”. Tra l’altro, nel complesso non si tratta di fondi aggiuntivi, ma solo ridenominazione di somme già previste, per la stessa finalità, ma con altro nome.
saverio vendola
1) bisognerebbe spiegare al popolo cos’è il reddito di inclusione 2) le statistiche sulla povertà non sono credibili perchè non considerano l’economia nera, intere famiglie vivono sul nero specie al sud
shadok
A regime si prevede un costo di 7 mld di €/anno, da dove arriverebbero?, non è tantissimo ma se non venissero da corrispondenti tagli ad altre voci porterebbero ad un incremento della spesa pubblica di circa un punto percentuale (e di circa mezzo punto del rapporto spesa / pil), per una misura che rischia di essere assistenza pura, francamente a percorsi di inclusione efficaci performati dai centri per l’impiego è difficile credere… inoltre, immagino che gran parte delle risorse verrebbero allocate nel sud, ma lì che prospettive realistiche di inclusione (lavorativa) possono esserci se mancano le imprese?