L’uguaglianza di genere è la pietra angolare di una società prospera e moderna. In Italia però le differenze sono ancora ampie, in alcuni casi più che in passato. Per questo dobbiamo favorire l’occupazione e la partecipazione delle donne alla politica.
I dati del divario
Il 2 novembre il World Economic Forum ha pubblicato il Global Gender Gap Report 2017. Due settimane prima l’Ocse ha diffuso un importante report sulla disuguaglianza di genere. Entrambi i documenti ci aiutano a fare il punto sui progressi – o la loro mancanza – nella parità tra uomo e donna nel mondo del lavoro, nella politica, nella salute, nell’istruzione. E ci aiutano a capire come l’Italia si comporta rispetto agli altri paesi.
Le notizie non sono buone: da anni il Global Gender Gap Index ci ricorda come lavoro e politica siano gli ambiti in cui le disuguaglianze di genere sono particolarmente marcate in tutti i paesi del mondo, più di quanto accada per l’istruzione o la salute. In base agli ultimi dati disponibili, l’Italia si trova al 118° posto di una classifica con 144 paesi per quanto riguarda la partecipazione e le opportunità economiche e al 46° per rappresentanza politica. Peggio dello scorso anno e, soprattutto, sul fronte lavoro, peggio rispetto al primo anno di pubblicazione del rapporto nel 2006.
I progressi sicuramente significativi della presenza femminile nelle posizioni di vertice delle grandi aziende – i dati Eurostat ci dicono che la percentuale di donne nelle grandi imprese quotate supera il 30 per cento, quasi 9 punti percentuali in più rispetto alla media dell’Europa a 28 – non si accompagnano ad avanzamenti in nessuna delle altre dimensioni, sia nel lavoro che nella politica. I dati più recenti dell’Istat indicano che nel 2017 l’occupazione femminile ha raggiunto il 49,1 per cento, il livello più alto dal 1977. Ma l’Italia continua a registrare l’andamento peggiore tra i paesi europei, Grecia esclusa. Rimangono le profonde differenze geografiche: nel 2017 il tasso di occupazione è 59,4 per cento al Nord e 32,3 per cento al Sud. Nella sfera politica, la presenza femminile è circa il 30 per cento, in miglioramento negli ultimi anni. Ma la riduzione nel numero di donne ministro ha determinato una netta discesa rispetto allo scorso anno nel ranking sulla parità di genere in politica del World Economic Forum.
Dovremmo preoccuparci? Sì, perché, come ci ricorda in apertura il rapporto Ocse 2017, l’uguaglianza di genere non è unicamente un diritto umano fondamentale, ma è anche la pietra angolare di una economia prospera e moderna, che punta a una crescita sostenibile e inclusiva, in cui uomini e donne possono dare il loro pieno contributo a casa, sul lavoro e nella vita pubblica. A beneficio dell’economia e della società nel suo complesso.
Creare le condizioni per aumentare l’occupazione femminile, soprattutto nelle regioni del Sud e promuovere la partecipazione femminile in politica devono essere priorità per il nostro paese.
Aumentare l’occupazione femminile
Rafforzare l’offerta di asili nido, dare risorse ai voucher per le spese di cura, riconsiderare la decontribuzione per le assunzioni di donne, specialmente al Sud, dare incentivi monetari per chi torna al lavoro dopo il congedo obbligatorio senza usufruire del congedo parentale sono alcuni interventi da mettere in atto (di queste politiche parliamo più diffusamente nel libro curato da Andrea Goldstein #quali riforme, in uscita con Il Mulino). Congedi di paternità di durata superiore a quella attuale, sull’esempio degli altri paesi europei – non solo i soliti scandinavi, ma anche Spagna e Portogallo – sono un altro elemento essenziale per promuovere la cultura della parità.
I paesi Ocse che partecipano al questionario sul progresso nella attuazione delle raccomandazioni sulle politiche di genere indicano la riduzione dei costi di accesso ai nidi come la politica più efficace nel rimuovere le barriere all’occupazione femminile. Il coinvolgimento dei padri è un altro elemento cruciale, soprattutto in Italia dove osserviamo uno dei gap maggiori sul totale delle ore lavorate, a casa e sul mercato, con le donne che complessivamente lavorano più degli uomini.
Promuovere la presenza delle donne in politica
L’innovazione principale degli ultimi anni è la legge 215/2012 che introduce, insieme alle quote di rappresentanza di genere, la doppia preferenza di genere nelle elezioni municipali per i comuni con più di 5 mila residenti: dal 2013 gli elettori possono esprimere fino a due preferenze, a condizione che siano per due candidati di genere diverso. La riforma ha portato a un aumento significativo della rappresentanza femminile nei consigli municipali. Non solo. Il cambiamento nella composizione di genere dei consigli municipali ha anche comportato un impatto sulle policy che vengono decise a livello comunale, con un aumento della spesa pubblica destinata a istruzione e protezione dell’ambiente (Baltrunaite et al., 2017). Un’altra ragione per insistere su questa strada.
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