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Decarbonizzazione: la strada è lunga

Nella composizione dell’offerta complessiva di energia a livello mondiale la quota da fonti fossili è rimasta all’80 per cento negli ultimi 25 anni. Ma è altrettanto vero che il processo di decarbonizzazione, seppur tortuoso, è ormai avviato.

Venticinque anni di energia

La figura 1 stupirà i più. Rappresenta la composizione dell’offerta complessiva di energia a livello mondiale divisa tra fonti fossili e non fossili. E mostra che l’80 per cento dipende dalle fonti fossili. A sorprendere ancora di più potrebbe essere il fatto che la quota appare essere stabile negli ultimi 25 anni.

Figura 1

Fonte: International Energy Agency

Che fine hanno fatto allora tutti gli investimenti sulle rinnovabili? E l’infinita discussione sulla decarbonizzazione passata, futura e auspicabile? Una cosa è certa: negli ultimi 25 anni (ma si potrebbe considerare un periodo più lungo) il peso delle fonti fossili, inteso come quota sul totale dell’offerta energetica mondiale, non si è modificato in modo significativo.

Quell’80 per cento è un valore molto aggregato – da esaminare dunque con estrema cautela – che racchiude tutte le fonti di energia in due grandi gruppi: le fonti fossili (petrolio, gas naturale e carbone) e il resto. Nella super-aggregazione qualche vantaggio c’è: ci spinge a cercare di capire come sia andato il mondo dell’energia in questo quarto di secolo.

Entrare dentro ai numeri

Va detto innanzitutto che la stabilità del dato non deve essere data per acquisita. La figura 2 mostra quelli della Banca Mondiale per un periodo più lungo. A parte le minime differenze metodologiche e quelle dovute al grado di copertura dei paesi, emerge un primo elemento: l’importante decarbonizzazione degli anni Settanta – figlia delle due crisi – ha costretto le economie industrializzate a interventi tesi al risparmio e all’efficienza. Di un certo impatto – politicamente rilevante, numericamente meno – è l’inizio di programmi nucleari di diversi paesi, Francia in testa.

Figura 2

Un secondo fondamentale aspetto da tenere in considerazione è che una cosa sono le quote, altra cosa sono i livelli delle variabili considerate.

La domanda di energia nel periodo è cresciuta in media dell’1,7 per cento per anno. Ed è cresciuta con una dinamica simile sia per le fonti fossili che per quelle non fossili. Non è un risultato sorprendente alla luce della figura 1. Il livello della domanda è decisamente superiore (+56 per cento nell’intero periodo) ma le quote non sono mutate.

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Resta quindi da comprendere se, pur in una situazione per certi versi immutata, vi siano motivi di speranza e se tutto il dibattito sulla decarbonizzazione abbia qualche fondamento.

Per analizzare il tema mostriamo una variante della nota identità di Kaya, una semplice relazione che combina i diversi fattori che determinano il livello delle emissioni di anidride carbonica. È possibile peraltro esprimere le variabili in termini di variazioni percentuali, nel qual caso il prodotto diventa una somma algebrica di tassi di crescita (o decrescita).

Rispetto alla Kaya comunemente utilizzata,la versione che presentiamo presenta una piccola variazione che consente di tenere conto anche della composizione dell’offerta complessiva, dividendola tra fonti fossili e il resto. L’identità finale mostra come il tasso di crescita delle emissioni totali può essere espresso tramite il prodotto di cinque termini:

  1. emissioni di anidride carbonica per unità di energia fossile consumata
  2. quota delle fonti fossili sul totale dell’energia
  3. energia consumata per unità di Pil
  4. Pil pro capite
  5. popolazione

La dinamica della decarbonizzazione è fondamentalmente legata alle prime due componenti. Nella prima emergono i cambiamenti all’interno del mix attuale di fonti fossili. Il valore varia (si riduce) se, per esempio, aumenta il gas naturale e diminuisce il carbone all’interno dell’energy mix.

La seconda componente (quota delle fonti fossili sul totale dell’energia) varia in funzione della crescita delle rinnovabili (o comunque delle fonti non fossili) rispetto allo status quo.

La terza misura l’intensità energetica, ovvero il rapporto tra offerta totale di energia e Pil.

La quarta e la quinta componente non hanno bisogno di spiegazioni.

Figura 3

Legenda

CO2/FF: Contenuto medio di CO2 nelle fonti fossili
FF/TPES: Quota delle fonti fossili sul totale energia offerta
TPES/PIL: Intensità energetica
PIL/POP: Reddito pro capite

Lascio al lettore la disanima del grafico anno per anno. Soffermiamoci, però, sul 2016. Il tasso di crescita delle emissioni è pari a zero. E il grafico consente di osservare il perché.

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Tre componenti hanno contribuito a far crescere le emissioni: il contenuto medio di CO2 nelle fonti fossili; il reddito pro-capite; la popolazione.

Ma la quota delle fonti fossili sul totale energia e l’intensità energetica hanno riequilibrato la situazione.

La dinamica della decarbonizzazione – ovvero l’andamento delle emissioni di anidride carbonica – è riportata nella figura 4. Negli ultimi 25 anni ci sono stati più incrementi che riduzioni. Ma il grafico 3 ci dice che il tasso di crescita della popolazione è sempre positivo, così come quello del reddito pro capite. Siamo di più e più ricchi e questo non ci aiuta a decarbonizzarci. L’intensità energetica, al contrario, aumenta, e dunque il rapporto energia/reddito continua a ridursi. Dunque, siamo sì di più e più ricchi, ma anche più efficienti dal punto di vista dell’uso dell’energia.

Figura 4 – Tassi di variazione anno su anno per le emissioni di anidride carbonica

Rimangono due fattori. Il primo riguarda la composizione di fonti fossili e mostra un andamento altalenante: in alcuni anni il tasso di crescita è positivo, mentre in altri avviene il contrario. E infine la relazione da cui siamo partiti, ovvero il peso delle fonti fossili sul totale dell’energia: anche in questo caso il rapporto non pare avere una direzione definita e, comunque, si tratta di piccole variazioni.

La strada da percorrere verso una più decisa decarbonizzazione è ancora molto lunga, soprattutto se si considera l’intero pianeta. E nel caso del cambiamento climatico pare essere la dimensione corretta.

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  1. Bruno Jimenez

    Ottimo articolo.
    Parte da un dato che tende a sbigottire un po’, ma poi disaggrega il totale in modo da renderlo piu plausibile.
    Personalmente credo che un grande equivoco stia nella differenza fra produzione di energie elettrica e produzione di energia primaria. Il primo e’ un piccolo sottogruppo del secondo.
    Di sicuro si sono fatti enormi passi avanti per quando riguarda la decarbonizzazione della produzione elettrica, molti, molti di meno per la sostituzione delle fonti fossili negli altri ambiti di utilizzo (come precursori chimici, per usi termici, per il trasporto, etc…).
    C’e’ anche da considerare che c’e’ una buona parte della popolazione mondiale (~50%) che sta pasando in pochi anni da una stile di vita “low tech” ad uno ad alto consumo energetico, e per questi paesi le fonti fossili rappresentano la parte del leone, sia perche minimizzano l’investimento iniziale, sia perche valorizzano risorse energetiche spesso gia presenti nel paese.
    Insomma poteva andarci ancora peggio…
    E comunque l’industria e’ relativamente svelta a cogliere gli avanzamenti tecnologici per recuperare competitività (in quest’era di tassi bassi e sovracapacità di risparmio): appena una nuova tecnologia raggiunge un valore critico di redditività diventa un bene di investimento! L’adozione e’ parabolica, e chi resta indietro si adegua o va fuori mercato. Credo insomma che una volta che queste tecnologie saranno “economicamente” mature (e quasi ci siamo), l’adozione sara rapida e massiccia.

  2. Flavio

    Interessante. Quello che è confortante è la decisa decelerazione delle emissioni dal 2011. Ma è tutto ancora troppo lento rispetto alle esigenze del pianeta secondo me. Tra l’altro andrebbe precisato che si tratta di flussi e non di stock. In altre parole se anche la crescita di emissioni si arrestasse (come nel 2016), esse rimarrebbero positive e quindi contribuirebbero ad aumentare lo stock di CO2 e altri gas in atmosfera. All in all non sono ottimista, almeno a politiche pubbliche e attitudini private vigenti.

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