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A tutto gas, ma con nuove infrastrutture

L’incidente al gasdotto in Austria ha risvegliato la discussione sull’approvvigionamento e sul prezzo del gas, considerato la fonte di transizione verso la completa decarbonizzazione. Tanto più in Italia, dove gli è stato assegnato un ruolo chiave.

La transizione verso la decarbonizzazione

Per le singolarità degli eventi cui ci ha abituato la storia, due giorni dopo l’appello del presidente francese Macron durante il “One Planet Summit”, evento organizzato da presidenza francese, Onu e Banca Mondiale, ecco l’incidente all’impianto di distribuzione del gas di Baumgarten. Singolarità accentuata dal fatto che il vertice, enfatizzando ancora una volta la necessità di azzerare prima possibile le emissioni di gas-serra per evitare un eccessivo riscaldamento del clima, ha sottolineato l’esigenza di completare al più presto la transizione energetica dei nostri paesi verso economie de-carbonizzate. E a tal fine non si potrà non utilizzare il gas naturale.

L’incidente occorso in Austria è stato tanto serio quanto raro. La località austriaca è, però, il terminale di uno dei principali gasdotti che porta energia dalla lontana Siberia: l’esplosione ha dunque aggredito la giugulare del sistema energetico europeo. Da Baumgarten transita infatti poco più del 10 per cento della domanda europea di gas naturale, per un volume di circa 40 miliardi di metri cubi l’anno. Si tratta di gas che proviene soprattutto dalla Russia, via Ucraina, e dal nodo austriaco si dipartono altre infrastrutture, che portano il metano in Italia, Francia, Germania, Croazia, Slovenia ed Europa orientale.

Il gas naturale è l’idrocarburo che l’Italia impiega più di qualsiasi altro paese europeo, che serve per riscaldarsi, cucinare e per generare elettricità. Basti pensare che per la sola produzione di energia elettrica (dati 2016) il gas naturale, in Italia, fornisce il 42 per cento del totale, contro il 38 per cento delle rinnovabili e il 15 per cento circa del carbone. Un dato in decisa riduzione (era il 50 per cento nel 2010) a tutto vantaggio delle rinnovabili (grafico 1).

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Grafico 1

Il gas è quella che gli esperti considerano fonte di transizione verso la decarbonizzazione completa di un mondo al 100 per cento rinnovabile. E in Italia le è stato assegnato un ruolo chiave, ora che la Strategia energetica nazionale (Sen), di fresca approvazione governativa, ha deciso l’uscita completa dal carbone entro il 2025. La SEN è chiara e prevede una “accelerazione della chiusura della produzione elettrica degli impianti termoelettrici a carbone al 2025, da realizzarsi tramite un puntuale piano di interventi infrastrutturali”.

Prezzi e infrastrutture

Così nei giorni dopo l’esplosione di Baumgarten, da noi è ritornata la psicosi del gennaio 2006, quando a causa del blocco ucraino alle forniture russe all’Europa, nel cuore dell’inverno avevamo seriamente temuto di restare al freddo. Ci eravamo dimenticati di quegli eventi in virtù di un clima patologicamente clemente e di una congiuntura economica nazionale non particolarmente brillante.

Ora sono ripartire le discussioni: sulle ripercussioni sul prezzo e sulla nostra prossima bolletta e sulla questione delle infrastrutture.

Rispetto al prezzo sarebbe necessario fare un ragionamento più ampio.

Il mercato, in questo momento, attraversa qualche difficoltà ed è, come si dice in gergo, “corto”, manca cioè di offerta. Tra i problemi che lo affliggono oggi vanno ricordati, in ordine sparso, il basso livello di produzione idroelettrica in tutta l’Europa del Sud, il nucleare francese che è rimasto alla finestra per un po’ e non è chiarissimo quando sarà nuovamente pienamente disponibile, il prezzo internazionale del carbone alle stelle, la domanda di Gnl (gas naturale liquefatto) in Asia che ha toccato livelli record, il gas russo che viene prodotto utilizzando la massima capacità disponibile.

Tutti elementi che presi insieme costituiscono un quadro decisamente poco favorevole a prezzi bassi. Se vi si aggiunge il freddo polare del Nord Europa e l’incidente Baumgarten si capisce come il mercato possa andare nel panico.

Immediatamente dopo l’esplosione nel gasdotto austriaco, il prezzo dei vari hub europei – che era già sui massimi – è aumentato in media del 15-20 per cento. In questi ultimi giorni, con le notizie positive da Baumgarten, è diminuito e nelle prossime settimane probabilmente la situazione migliorerà, anche se i prezzi rimarranno relativamente alti per tutto il 2018, fondamentalmente per la crescita della domanda in Cina. Dovremo forse aspettare il 2019 prima che tornino a ridursi a seguito dell’avvio di nuovi impianti di Gnl programmati in Australia e negli Stati Uniti.

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In una situazione già tesa, è dunque bastato un piccolo scossone aggiuntivo perché il mercato perdesse – quantunque temporaneamente – il proprio equilibrio.

Questa considerazione ci porta al discorso sulle infrastrutture. È ormai chiaro che se l’Italia vorrà rispettare quello che due ministeri hanno scritto nella Sen a proposito di uscita

dal carbone, la sola realizzazione del Tap, il contestato gasdotto pugliese, non sarà sufficiente. Vi sono importanti contratti di importazione gas in scadenza che devono essere rinnovati e sarà anche necessario prevedere nuovi impianti di Gnl prima del 2020. D’altra parte, come opportunamente il ministro Carlo Calenda ricorda a ogni occasione, il phase out dal carbone è condizionato dalla realizzazione di un “un puntuale piano di interventi infrastrutturali”. Non è forse esagerato spingersi a dire che sta parlando di nuove infrastrutture di importazione e nuove, magari più flessibili, forme contrattuali.

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Anche i notai all’assalto della concorrenza

  1. Stefano Minardi

    Salve, sbaglio ma l’incidente austriaco non rappresenta assolutamente un’emergenza come Calenda dichiara? Non è forse vero che lo stock di gas in Italia è di 15 mld di metri cubi a fronte di 60 di consumo annuo? Perchò continuare a parlare di infrastrutture aggiuntive e non di sviluppo delle rinnovabili?
    Grazie

    • arthemis

      Come spiegato dall’articolo, il gas serve al nostro sistema energetico per rendere possibile la “transizione” verso le rinnovabili (ammesso che si possa tenere in piedi un sistema elettrico con eolico, solare e idroelettrico, e non stiamo parlando di tutto il resto visto che l’elettricità copre meno della metà dei consumi finali): nel medio termine, avremo bisogno di più gas, non di meno. Non penso che avere (quasi) un unico fornitore sia molto furbo, a prescindere dagli stoccaggi…

      • Andrea

        “Perchò continuare a parlare di infrastrutture aggiuntive e non di sviluppo delle rinnovabili?”: non è solo un discorso di “quanto gas?” ma anche di “quale gas?” e quanto costoso. Anche perché come spiegato c’è un problema di contratti al 2020.
        “Nel medio termine, avremo bisogno di più gas”: non saprei sai, l’obiettivo SEN al 2030 parla di un 55% di rinnovabili elettriche, quindi difficilmente più di 40% di gas (che è la stessa percentuale attuale), e su altri usi come servizi e riscaldamento(che sono il settore in cui il gas viene maggiormente usato) dovremmo investire per ridurre così il consumo di gas (rinnovo edifici, elettrificazione, efficienza impianti), poi c’è la possibilità del biometano che, seppur più costoso, potrebbe compensare il calo della produzione nazionale. Restano trasporti e industria, ma tuttosommato mi pare che con adeguati investimenti potremmo non superare mai il record di importazioni pre-crisi.

  2. Savino

    Chissà se passare un intero inverno al freddo per tutta la popolazione possa bastare ad un Presidente di Regione per risparmiarsi certi sproporzionati paragoni storici. Li chiamano nimby ma sembrano bimbi, pur avendo a che fare con cose molto serie e di prospettiva.

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