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Spesa previdenziale: una discussione su cifre ballerine

Il sistema previdenziale in Italia è insostenibile o virtuoso? Circolano numeri contrastanti, basati su definizioni diverse di spesa pensionistica, previdenziale e assistenziale. Una maggiore trasparenza renderebbe più sereno il dibattito sul tema.

Quanto ci costano le pensioni?

Le pensioni sono un tema caldo delle ultime settimane e continueranno a esserlo per tutta la campagna elettorale. Se in gran parte le polemiche si sono concentrate sull’età di pensionamento (vedi il fact-checking de lavoce.info), forti diversità di vedute sono emerse anche sulla sostenibilità della spesa previdenziale e sul bilancio Inps. I due temi sono strettamente legati, se è vero che saldi negativi nel bilancio dell’Istituto possono essere interpretati come sintomi di una spesa pensionistica insostenibile. Sul tema si affrontano posizioni diametralmente opposte: c’è chi denuncia un buco di 88 miliardi (Federico Fubini sul Corriere della sera) e chi invece (Roberto Pizzuti) sottolinea come il saldo dell’Inps sia addirittura in positivo. Dove sta la verità?

Secondo bilancio Inps 2016, la spesa pensionistica gestita dall’Istituto ammonta a 258,8 miliardi di euro. È giusto ricordare però che l’Inps non si occupa solo di erogare assegni mensili per lavoratori in pensione, ossia di previdenza pagata principalmente dai contributi di lavoratori e imprese, ma anche di assistenza, finanziata dal bilancio pubblico e prevista dall’articolo 38 della Costituzione.

Così dei 258,8 miliardi di spesa pensionistica totale, 246,8 miliardi sono di spesa previdenziale, mentre 11,9 miliardi sono iscritti a bilancio come “pensioni erogate per conto dello stato”. Sono le pensioni e gli assegni sociali, le pensioni per gli invalidi civili (escluse le indennità di accompagnamento) e quelle per il settore agricolo ante 1989.

Ma anche dai 246,8 miliardi iscritti a “spesa previdenziale” possiamo sottrarre alcuni interventi non finanziati dai contributi dei lavoratori e delle imprese. Nel 2016 l’intervento dello stato per la spesa previdenziale arriva a 41,4 miliardi e corrisponde alla cosiddetta quota Gias (Gestione degli interventi assistenziali) che è finanziata per intero dalla fiscalità generale. Ne consegue che “solo” 205,4 miliardi sono finanziati tramite contributi.

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Si dice spesso che la quota totale della spesa previdenziale sul Pil sarebbe intorno al 15,5 per cento. Tuttavia, se escludiamo la quota Gias – 2,48 – e le pensioni pagate per conto dello stato – 0,72 per cento – la percentuale della spesa per le prestazioni previdenziali si ferma a 12,28.

Figura 1 – Scomposizione dell’incidenza sul Pil

Fonte: bilancio Inps 2016

Cosa rientra nella Gias

Ma che cosa rientra nella Gias? La Gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali è stata istituita nel 1989 e gli oneri totali a suo carico sono 110 miliardi di euro, coperti al 97 per cento dallo stato centrale. Ne fanno parte appunto i 41,4 miliardi citati come “quota Gias”, che corrisponde al contributo della fiscalità generale alla spesa previdenziale. Il perimetro tuttavia è molto più ampio: comprende anche 10 miliardi di spese per il mantenimento del salario, 22 miliardi a sostegno delle imprese, 4 miliardi a sostegno delle famiglie, oltre ad altri interventi di natura prettamente assistenziale.

Ma nella Gias rientrano anche 4 miliardi di fondi per la copertura di disavanzi di altre gestioni previdenziali e circa 9 miliardi per coprire le pensioni dei dipendenti pubblici. Appare dunque complicato individuare la quota precisa di assistenza nell’ammontare del bilancio Inps, perché se il raggio di azione della Gias comprende molti interventi assistenziali, non mancano quelli comunemente intesi come previdenziali. Ecco dunque che la divisione tra spesa assistenziale (finanziata dalla fiscalità) e previdenziale (di tipo assicurativo, a fronte di contributi) si fa meno trasparente.

Qual è il saldo?

I calcoli di Fubini e di Pizzuti necessitano entrambi di alcune precisazioni. Per ottenere il deficit di 88 miliardi Fubini fa la differenza tra le prestazioni istituzionali, ossia il totale di previdenza e assistenza (308 miliardi), e le sole entrate contributive che nel 2016 sono state pari a 220 miliardi. Ciò che rende il suo risultato impreciso è che le due cifre non sono propriamente comparabili: la prima include tutti gli interventi dell’Inps, mentre la seconda non comprende i trasferimenti dello stato, i quali servono proprio a finanziare l’assistenza e parte della previdenza. Il saldo positivo citato invece da Pizzuti (26 miliardi) deriva dal fatto che si considera come entrata dell’Inps anche il gettito fiscale ricavato dalle ritenute Irpef sulle pensioni (stimate in 42 miliardi di euro). Anche l’Inps lo prende in considerazione, ma come entrate per partite di giro che, una volta raccolte, l’Istituto versa all’erario.

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Risultati tanto diversi sono la dimostrazione della confusione che vige in materia di contabilità previdenziale. Istat, Inps e Ragioneria generale dello stato utilizzano diverse definizioni di spesa pensionistica (da pagina 298), previdenziale e assistenziale. Persino le organizzazioni internazionali, che basano i propri confronti sui dati forniti dagli istituti nazionali, pubblicano numeri differenti. A beneficiare da un allineamento delle definizioni e da una pubblicazione congiunta dei dati – sul modello dei rapporti sul mercato del lavoro – non potrebbe che essere la trasparenza del dibattito.

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13 commenti

  1. Giuliano Cazzola

    La questione della separazione tra previdenza ed assistenza è già in corso, dopo la riforma del bilancio Inps con legge n.88/89 e con successivi provvedimenti. logica vuole che la spesa pensionistica sia quella che risulta, a prescindere da come viene finanziata, sia da contributi che da trasferimenti. trattare gli apporti dello stato come bolle di sapone che svaniscono nel nulla non ha senso.

  2. Massimo Matteoli

    La riflessione tra spesa pensionistica e spesa assistenziale non è da “ragionieri” ma serve ad evitare una pericolosa “bufala” sulla insostenibilità del sistema pensionistico italiano.
    Confondendo tutte le spese dell’INPS in un unico calderone si fanno gravare prima sui contribuenti previdenziali (lavoratori ed imprese) e poi sui pensionati interventi che servono non all’equilibrio del sistema pensionistico ma solo a coprire minori spese pubbliche.
    Con questo vero e proprio “stratagemma” gli oneri relativi queste spese non fanno carico alla collettività nel suo insieme, ma diventano una tassa occulta sul mondo del lavoro.

  3. Felice Roberto Pizzuti

    Essendo stato citato, mi limito a precisare che, diversamente da quanto riportato nell’articolo, io non considero le trattenute IRPEF sulle pensioni una entrata dell’Inps, al quale chiaramente non competono. Invece da anni richiamo l’attenzione sul pur semplice fatto che per il complessivo bilancio pubblico, le prestazioni pensionistiche rilevanti sono quelle al netto delle trattenute Irpef e che il saldo previdenziale (escludendo dunque le prestazioni assistenziali che, ovviamente, sono finanziate dalla fiscalità generale) con le entrate contributive è abbondantemente attivo (circa 39 mld di euro nel 2016, pari al 2,3% del Pil). Trovo poi impressionante che nel dibattito ancora non si capiscano le motivazioni contabili e macroeconomiche che impongano la distinzione tra spese assistenziale e previdenziali e, in particolare la sua rilevanza per la valutazione della distribuzione del reddito.

    • Gabriele Guzzi

      Gentile professor Pizzuti, grazie per la sua risposta. Anche noi rileviamo l’urgenza di dover distinguere con maggiore chiarezza la spesa assistenziale e previdenziale all’interno del bilancio Inps. Per quanto riguarda il secondo punto, Lei parla di bilancio pubblico complessivo, tenendo insieme il saldo dell’Inps con quello della fiscalità generale. Se da un punto di vista macroeconomico complessivo questo è corretto, troviamo tuttavia che la spesa previdenziale consista in una voce particolare del bilancio pubblico, e ne va quindi valutato il saldo specifico. Questo è equivalente alla perdita o all’utile registrato annualmente dall’Inps, il quale non considera le trattenute fiscali un’entrata ma una partita di giro. Comunque, dal mio punto di vista, le sue considerazioni sono perfettamente appropriate e toccano un punto importante della discussione. Un saluto. Gabriele

    • amadeus

      Se i contributi previdenziali, come accade in Italia, sono deducibili dal reddito imponibile, ne consegue che, per equità, le pensioni che generano debbano essere sottoposte a tassazione. A maggior ragione in una logica contributiva. Lei ragiona ancora secondo la logica del pay as you go. Ma quella è la logica che ci ha portato alla situazione attuale. Il sistema contributivo, per quanto virtuale, crea delle posizioni contributive individuali che in futuro dovranno essere onorate. Con che cosa (visto che non c’è uno straccio di patrimonio)? Non dico affatto che si debba accumulare un patrimonio pari al montante contributivo, ormai è assolutamente impossibile oltreché inutile e dannoso per l’economia ma un patrimonio nullo o addirituttura negativo è ancora più dannoso. Perchè lo Stato chiede, giustamente, alle casse professionali di dimostrare la sostenibilità delle prestazioni promesse e lo stesso esercizio non viene fatto per l’INPS?

  4. Enrico Parisini

    Analisi accurata, ma non finita. Rimane la confusione : io vorrei sapere se i 220 miliardi incassati da contributi di lavoratori oggi sono sufficienti a pagare la sola parte pensionistica delle erogazioni INPS, e se le previsioni garantiscono lnel prossimo futuro

    • Felice Pizzuti

      Come ho scritto anche nel commento, attualmente i contributi superano le prestazioni previdenziali nette di circa 39 miliardi. Le previsioni indicano un calo costante del rapporto prestazioni pensionistiche/Pil nei prossimi decenni.

  5. Savino

    Di insostenibile c’è il fatto che non si possa continuare a coprire la spesa per pensioni con una fonte finanziaria che sia diversa dalla contribuzione per pensioni, cioè con la fiscalità generale. In una S.p.A questo storno di fondi dà luogo a falso in bilancio.
    Per motivi di lavoro, mi è capitato di ricercare su quali fondi venissero effettuati investimenti infrastrutturali ed anche lì l’incoerenza è sovrana, passando dall’iniziale fondo di rotazione fino alle forme di cartolarizzazione.

  6. Sarà in corso dal 1989 ma evidentemente a qualcuno interessa sempre enfatizzre la spesa previdenziale con voci assistenziali, meppoure i sindacati hanno mai avuto interesse a fare chiarezza sui conti. Così, pero, nlle statistiche europee e su tutti i medai sembra che la nostar spesa sia superiore alla media europea, il chè non è affatto vero, ma serve a distrarre il dibattito pubblico sul vero problema del paese, il differenziale negativo su evasione ed elusione fiscale.

  7. amadeus

    Il sistema previdenziale in Italia è insostenibile o virtuoso? Questa era la domanda iniziale. Da quando si valuta la sostenibilità sulla base dei soli flussi monetari correnti, come fate nel vostro articolo, senza guardare cosa potrebbe accadere in futuro? E’ ben vero che le ultime riforme hanno riguardato quasi esclusivamente il fabbisogno di cassa, cioè i flussi correnti, e non hanno intaccato il fabbisogno futuro, che è addirittura aumentato, ma proprio per questo motivo bisognerebbe guardare oltre l’orizzonte immediato. Nel sistema contributivo – infatti – il differimento dell’età di accesso alla pensione non cambia il valore cumulato della stessa visto che viene calcolata in base al montante contributivo ovvero i contributi pregressi. Quindi l’allungamento dell’età aumenta il debito pensionistico futuro, anche per i nuovi contributi che nel frattempo vengono versati e servono per pagare le pensioni correnti. Il problema vero è che, in mancanza di un patrimonio accumulato, la curva demografica incipiente potrà essere affrontata solo con le entrate correnti ovvero i contributi versati da coloro che sono in attività e percepiscono un reddito da lavoro. Quindi il calcolo sulla sostenibiltà andrebbe fatto proiettando di anno in anno le pensioni da erogare sulla base dei contributi già versati aumentandole progressivamente per effetto del montante dei nuovi contributi che di anno in anno vengono versati, ma, nel sistema contributivo diventano ipso facto maggiori pensioni.

  8. Enzo Brescia

    allora,alla fine,quanti sono questi soldi?

  9. giancarlo

    Poniamo la questione in questo modo: se l’INPS funzionasse come un normale Fondo Pensioni privato, le entrate da contributi + i rendimenti da impieghi finanziari garantirebbero pensioni dignitose ? al netto del sostegno dalla fiscalità generale…vista l’entità del debito pubblico ? Grecia docet.

  10. Franco Pischedda

    Intanto complimenti a Lorenzo Borga e Gabriele Guzzi per la chiarezza espositiva.
    La spesa previdenziale di 205,4 mld è interamente coperta dai contributi -220 mld (2016).
    La spesa relativa alla GIAS-Gestione interventi assistenziali 41,4 mld è anch’essa coperta dall’Irpef sulle pensioni -42 mld – purchè lo stato li versi all’Inps.
    La spesa per altre prestazioni assistenziali 11,9 mld è giusto che venga finanziata con la fiscalità generale (principio solidaristico, costituzionale).
    Una riforma del sistema pensionistico è necessaria, ma in senso strutturale, cominciando con il chiarire che non ha alcun senso parlare di sistema contributivo -visto che il sistema non è assicurativo- e che i contributi si versano per solidarietà e non per costituire rendite di posizione, e stabilendo per tutte le persone che non lavorano per infermità o vecchiaia sia l’importo della rendita minima di dignità che l’importo della rendita massima.
    Parlatene con il prof. Tito Boeri e la prof.ssa Fornero.
    Un cordiale saluto. Franco Pischedda

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