La diffusione dell’economia digitale in tutti i settori ha determinato un nuovo scenario, nel quale i dati sono il motore della trasformazione. Sembra esserci un effetto positivo sulla produttività di imprese e Pa. Più incerto quello sull’occupazione.
Dati, il lubrificante della nuova economia
È ormai chiaro a tutti che siamo all’alba di una nuova era dello sviluppo economico e sociale, frutto di un continuo, inarrestabile processo di innovazione, che ha caratterizzato nel corso degli ultimi due decenni lo sviluppo di Internet, attraverso la diffusione dell’economia digitale in tutti i settori, non più soltanto legati alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Tecnologie, piattaforme e sistemi innovativi come Cloud Computing, Internet of Things, Big Data & Analytics, Blockchain, Artificial Intelligence, Augmented Reality & Virtual Reality, Advanced robotics & 3D printing e 5G costituiscono i nuovi strumenti abilitanti dell’economia digitale, che, grazie alla diffusione pervasiva in tutti i settori, promette di dar luogo più in generale a una nuova fase dell’esistenza umana.
In particolare, all’interno del nuovo scenario, i dati rappresentano il motore della trasformazione. Il dato è elemento chiave per lo sviluppo del business ed è proprio per questo motivo che viene considerato “il lubrificante” della nuova economia.
Negli ultimi anni, più che parlare di semplici o singoli dati, si è soliti riferirsi a un concetto molto più ampio e complesso, riconducibile al termine “big data”, proprio in riferimento alle ingenti quantità di dati disponibili all’interno del nuovo ecosistema digitale, prodotti ad alta velocità e provenienti da una moltitudine di fonti, la cui gestione e analisi richiedono nuovi e più potenti processori e algoritmi.
La letteratura si è concentrata sull’aspetto quantitativo e dunque sul volume dei dati e sulla loro costante esponenziale crescita. Secondo le stime, infatti, ogni giorno ne vengono prodotti circa 2,5 exabyte, un numero elevatissimo. Tuttavia, il volume non è l’unica caratteristica importante. La velocità alla quale i dati vengono generati e resi accessibili è parimenti impressionante. Per citare alcuni esempi, secondo alcune stime del 2016, relativamente ai dati generati sui social, Facebook genera circa 10 miliardi di “like” ogni giorno da parte di 1,09 miliardi di utenti, mentre su Istagram vengono condivise più di 95 milioni di immagini al giorno, con una media giornaliera di 4,2 miliardi di “like”. Su YouTube si registrano oltre 400 ore di contenuti caricati dagli utenti ogni minuto di ogni singola giornata.
La capacità di analisi
In alcuni casi, il fenomeno dei big data è definito anche in ragione della capacità di analizzare una varietà di insiemi di dati non strutturati provenienti da fonti diverse come registri web, social media, smartphone, sensori e transazioni finanziarie. Ciò richiede la capacità di collegare insiemi di dati diversi, oltre alla capacità di estrarre informazioni da un insieme di dati destrutturati.
Il carattere della varietà dei dati fa riferimento essenzialmente alla loro struttura: i dati strutturati entrano in un data warehouse già contrassegnati con un tag e sono facili da smistare. Oggi, tuttavia, sono per la maggior parte non strutturati, informazioni casuali, difficili da analizzare e gestire.
Realtà leader negli analytics, come Apple, Google, Amazon, Facebook, Microsoft, GE, Baidu, Alibaba Group e Tencent sono solo alcune delle principali aziende affermatesi a livello mondiale. Queste imprese si sono differenziate grazie alla disponibilità di enormi fonti di dati, scienziati altamente qualificati, nonché importanti investimenti in infrastrutture.
Il valore generato dai dati e dalla loro analisi ha rivoluzionato e completamente ribaltato il tradizionale rapporto tra consumatori e produttori. In passato, le aziende vendevano i propri prodotti ai rispettivi clienti in cambio di denaro e dati di trascurabile valore. Oggi, le transazioni, e in generale ogni interazione con il consumatore, generano preziose informazioni. Pertanto, le aziende sono disposte a offrire servizi gratuiti per ottenerle, e in questo modo il “cliente” scambia i propri dati con l’utilizzo gratuito di un prodotto o di un servizio.
L’utente è dunque al centro del sistema, i suoi dati hanno un valore primario per le imprese. Le nuove applicazioni e soprattutto gli analytics stanno diventando dunque una realtà anche nei settori più tradizionali che solo fino a poco tempo fa sembravano estremamente lontani dal mondo digitale.
Gli effetti possibili
Non è ancora del tutto chiaro quali saranno, complessivamente, gli effetti economici generati dal fenomeno data-driven, tuttavia dagli studi disponibili emerge chiaramente l’esplicarsi di un effetto positivo sulla produttività delle imprese e delle pubbliche amministrazioni, mentre rimane incerto l’effetto sull’occupazione.
Particolarmente rilevante appare poi l’utilizzo combinato dei big data con le tecniche di intelligenza artificiale per l’automazione di attività e compiti (data mining, machine learning, deep learning). In questo ambito si ci interroga sempre più sull’impatto delle tecnologie sul mercato del lavoro. Secondo alcune stime, con il consolidarsi dei sistemi di intelligenza artificiale potrebbero essere a rischio molti posti di lavoro, soprattutto in determinati settori. Altri sostengono che il mercato del lavoro semplicemente si trasformerà, ovvero l’automazione non sottrarrà posti di lavoro ma creerà nuove opportunità lavorative, diverse da quelle attuali.
Senza dimenticare le altre sfide relative al mondo dei big data, che riguardano la carenza di investimenti in infrastrutture adeguate a sostenere il nuovo paradigma tecnologico (reti veloci, 5G, infrastrutture di sicurezza), la privacy, la concorrenza e la sicurezza del dato.
* L’articolo si basa sullo studio L’Economia dei dati, trend di mercato e prospettive di policy, realizzato da ITMedia Consulting con il contributo scientifico del Centro di ricerca ASK – Università Bocconi.
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