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Il debito pubblico preoccupa? Allunghiamolo

L’Italia emette circa 400 miliardi di titoli all’anno per rinnovare le quote di debito pubblico in scadenza e per finanziare il fabbisogno annuo. Si tratta di una cifra molto elevata, che si potrebbe ridurre con un piano di allungamento delle scadenze.

Ogni anno 400 miliardi da collocare

L’elevato livello del debito pubblico italiano costituisce uno dei principali fattori di vulnerabilità della nostra economia. Gli investitori esteri continuano a percepirci come rischiosi e, in vista dell’appuntamento elettorale, anche le istituzioni europee e internazionali richiedono alle forze politiche un impegno serio e credibile per la riduzione del debito. Il miglioramento delle prospettive di crescita potrebbe favorire il processo di risanamento delle finanze pubbliche timidamente intrapreso da qualche anno. A partire dal 2013 la crescita del rapporto debito/Pil ha registrato un forte rallentamento (soli 3 punti percentuali dal 2013 al 2017). La vita media residua del debito è risalita a fine 2017 sino a 7,4 anni (nell’estate 2014 raggiunse un minimo di 6,77), mentre la vita media dello stock titoli risulta pari a 6,9 anni (6,2 anni il minimo toccato durante la crisi).
Tuttavia, nonostante questi dati positivi, nei prossimi anni l’Italia sarà ancora alle prese con la sfida di collocare titoli per circa 400 miliardi all’anno per scadenze e nuovi fabbisogni. Si può però ragionare sulla possibilità di attuare una strategia di ulteriore allungamento delle scadenze che permetta di abbattere in misura significativa le emissioni annue su un orizzonte temporale di 5-6 anni. I bassi tassi di interesse, il lento percorso di rialzo nei prossimi anni e il sostegno all’acquisto di titoli da parte della Banca centrale europea (che si protrarrà almeno sino a settembre 2018, con acquisti mensili complessivi di 30 miliardi) conducono a ritenere il contesto odierno ancora favorevole alla realizzazione di una simile politica di gestione del debito.

Abbattere le emissioni annue a costi contenuti

Abbiamo dunque elaborato un’ipotesi di allungamento delle scadenze che prevede una progressiva riduzione delle emissioni di Bot, le quali scenderebbero dagli oltre 150 miliardi preventivati nel 2018 a 80 miliardi nel 2022, e un’intensificazione delle emissioni di Btp a 10, 15 e 30 anni per il finanziamento delle emissioni diverse da Bot e dei fabbisogni. Una siffatta strategia permetterebbe di allungare la vita media residua dello stock di titoli al 2025 sino a quasi 9 anni, 2 anni in più di quella attuale.
Già nel 2022 le emissioni lorde annue scenderebbero di circa 150 miliardi rispetto a uno scenario di base in cui si ipotizzi che i titoli in scadenza vengano rinnovati con altri di uguale durata (figura 1). Al 2025, con il turnover dello stock di titoli attualmente in essere in gran parte avvenuto, le emissioni si normalizzerebbero su un livello medio di 220 miliardi, oltre il 40 per cento in meno dei volumi previsti nello scenario di base.
L’aggravio di costo insito nella strategia, rispetto allo scenario di base, è quantificato in meno di 4 miliardi nei primi anni e attorno ai 5 miliardi a regime, cioè appare contenuto e stabile (figura 2). La ragione principale risiede nel fatto che la riduzione delle emissioni annue garantita dall’allungamento delle scadenze offre una parziale copertura dal graduale rialzo atteso dei tassi. Allungare oggi vuole dire infatti garantirsi tassi bassi per un periodo più lungo di tempo in luogo dei maggiori tassi che ci si attende prevarranno in futuro. Anche l’atteso appiattimento della curva dei rendimenti nelle nostre previsioni contribuisce a rendere meno oneroso lo spostamento verso scadenze più lunghe.
Alcune precisazioni sono però necessarie. Innanzitutto, nell’esercizio abbiamo ipotizzato che la curva dei rendimenti non risenta della variazione nell’offerta relativa di titoli a lunga e a breve, sebbene nella realtà sia plausibile che una maggiore raccolta sul segmento a lungo termine possa comportare un aumento dell’inclinazione della curva e quindi fare salire il costo. Inoltre, bisognerebbe valutare se la graduale riduzione dei Bot ipotizzata sia compatibile con le esigenze del bilancio pubblico e con la domanda da parte di banche e fondi per finalità gestionali e regolamentari.
Nonostante le precisazioni e gli ulteriori approfondimenti che sarebbero opportuni, due risultati ci sembrano degni di riflessione. Il primo è che con un allungamento di circa 2 anni della vita media del debito si potrebbero quasi dimezzare le emissioni lorde annue nel giro di 6-7 anni. Il secondo è che il costo dell’allungamento potrebbe essere contenuto e stabile (nell’ordine dei 4-5 miliardi per anno) in quanto l’abbattimento delle emissioni annue farebbe sì che il graduale rialzo dei tassi previsto per i prossimi anni si riverberi su una proporzione minore del debito. In vista dei rischi e delle incertezze cheil futuro ci riserva, è una strada che forse vale la pena percorrere.

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Figura 1 – Emissioni lorde annue in previsione

(in miliardi; elaborazioni su dati Banca d’Italia)

Figura 2 – Spesa per interessi

(in miliardi; spesa relativa ai titoli, circa l’85 per cento del totale del debito pubblico)

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Il Punto

  1. Enrico Zordan

    Secondo l’autore il livello del DP costituisce “uno dei principali fattori di vulnerabilità della nostra economia”. Si tratta di un fake news, piuttosto nota e spiace che nel 2018 si pubblichino ancora simili fesserie. Sarebbe interessante capire dall’autore come mai all’apice della cosiddetta “crisi” il governo Monti ereditò un livello di DP al 103% portandolo, grazie alle politiche intraprese e dettate dall’UE e FMI ad oltre il 120%: se fosse vero che il livello è il problema, probabilmente Monti dovrebbe sedere a Regina Caeli e non in Senato e l’Italia dovrebbe essere fallita da tempo. Giova poi ricordare che a parte il Portogallo, tutti i paesi entrati in crisi nel 2007 non presentavano livelli di indebitamento pubblico “elevati” ed anzi in riduzione progressiva da anni. Che il problema sia l’indebitamento privato e non pubblico negli anni è stato confermato perfino dalla BCE (http://vocidallestero.it/2015/01/19/la-bce-scopre-che-il-problema-e-la-finanza-privata-non-quella-pubblica/); perciò, ripeto, come è possibile prof Forni che Lei non ne sia al corrente?

    • Maurizio Cocucci

      L’autore si è espresso correttamente perché parla di vulnerabilità, ovvero fin quando un debitore trova creditori disposti a prestargli denaro a costi sostenibili il problema non si pone. Se invece questi aumentano mi pare lapalissiano che chi possiede un alto livello di debito rispetto alle entrate è maggiormente a rischio.
      Quanto al confronto debito pubblico con debito privato sono due scenari diversi, il primo è l’esposizione che ha l’intero settore pubblico, il secondo riguarda soggetti privati. Dal 2008 abbiamo assistito a crisi in entrambi i settori, governi che non riuscivano più ad accedere al mercato per finanziare la spesa in eccesso (vedi Grecia) e sistema creditizio privato che rischiava il collasso (vedi Spagna). Sostenere che la crisi dipenda da uno anziché dall’altro è non aver capito in primo luogo i fatti ed i secondi gli articoli menzionati. La Banca Centrale Europea, se si legge con attenzione ciò che è scritto, non ha mai sostenuto una ragione piuttosto dell’altra ma cita entrambe con conseguenze parallele sull’economia di alcune nazioni.

    • Lorenzo Forni

      Per la precisione, nel 2011 quando Monti si insediò il debito pubblico su PIL era al 116% e abbiamo avuto i problemi che sappiamo. Ora è al 130%, veda lei. Certo, anche il debito privato è molto importante, ma nel nostro contesto quello pubblico è al momento “uno dei principali fattori di vulnerabilità”. Siccome menziona le fake news, sarebbe utile sapere la sua affiliazione. Per la redazione: “fesserie” non è proprio un termine elogiativo! Grazie. LF

      • Paolo

        Fra il governo Monti e l’attuale è calato il PIL e questo spiega in buona parte l’aumento della percentuale.
        Perché non se ne tiene mai conto?
        Paolo Z.

  2. MARCO

    Interessantissimo argomento ma da semplice lettore non sono riuscito a comprendere alla fine quale dovrebbe essere l’operazione da SUGGERIRE per riequilibrare questa situazione che attanaglia il nostro paese ormai da troppo tempo. Mi sembra che ci siano tante teorie che però contrastano, e di molto,tra loro. Come è possibile ,mi sono sempre chiesto, al di là della politica,
    gli economisti (intesi come tecnici e quindi che si basano su delle nozioni e calcoli oggettivi…credo) non siano in grado di “fare di conto” come si diceva una volta ! Capisco che ci siano delle varianti che impediscano certe operazioni, ma una FORMULA magica che porti alla risoluzione del problema e da suggerire al governo (qualunque esso sia)non c’è? Le scelte politiche poi sono un’altra cosa . Non so se mi sono spiegato…scusatemi.

  3. Motta Enrico

    Allungare le scadenze del debito pubblico comporta inevitabilmente un aumento dei rendimenti, che a 15 -30 anni sono molto più alti che a 10; per non parlare dei Bot annuali o semestrali, che hanno tassi negativi. L’allungamento delle scadenze servirebbe secondo me solo a rimandare più in là la soluzione dei problemi, a costi aumentati.

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