Dall’Assemblea generale del popolo emerge una Cina ben lontana dall’aprirsi al mercato. Anzi si rafforza un sistema di economia pianificata, con importanti finanziamenti statali alle industrie strategiche per sfidare le economie occidentali.
Vecchi slogan per un’economia pianificata
Anche quest’anno, gli analisti e osservatori che seguono l’Assemblea generale del popolo a Pechino hanno ascoltato con perplessità le previsioni di crescita annunciate dal premier Li Keqiang. La liturgia dell’assemblea fa ricorso allo stesso linguaggio di sempre, a termini abusati, come stabilità e qualità, che rimandano a concetti – sostenibilità della crescita, per esempio – il cui significato è chiaro agli occhi del resto del mondo, ma sfuggente nella versione in salsa cinese. E la perplessità aumenta di fronte alla sicurezza con la quale vengono presentate le solite vecchie priorità come se fossero nuove.
Stavolta però lo stupore è più grande che mai. Il congresso di fatto ha trasformato un sistema autoritario in un regime (quasi?) dittatoriale, che dichiara di voler risolvere gravi emergenze economiche – tra cui l’elevato debito pubblico – a suon di repressione delle attività delle imprese. Nello stesso tempo, però, l’Assemblea vara un programma di aumento degli investimenti pubblici di svariati punti percentuali: +8,1 per cento il budget militare, che toccherà i 175 miliardi di dollari Usa; +14 per cento gli stanziamenti per ricerca e sviluppo, ormai a 275 miliardi di dollari. Non solo: è previsto un sistema di sussidi e protezione a una decina di industrie – tra cui aviazione, energia, alte tecnologie, che nell’insieme coprono circa il 40 per cento del manifatturiero – affinché diventino leader mondiali nel loro settore entro il 2025 (il piano Made in China 2025).
Tutto ciò millantando di essere diventata un’economia di mercato, altro concetto chiaro a tutti, ma che in terra cinese assume l’insolita connotazione di un’economia in cui solo il sottobosco di piccole imprese opera libero dalle ingerenze dello stato, nonché spesso anche dalle regole condivise di una sana e leale concorrenza. Nei suoi settori strategici, quella cinese resta un’economia pianificata, nella quale le imprese vengono finanziate generosamente dallo stato per entrare a gamba tesa sui mercati altrui.
L’illusione del New Normal
E allora non è tanto sul tasso di crescita previsto che dovremmo concentrare l’attenzione, quanto semmai sui fattori della crescita. Per il 2018 si prevede un aumento del Pil del 6,5 per cento, inferiore al 6,9 per cento dell’anno scorso. Ma il dato non ha molto significato, se si ricorda che il governo cinese ha ammesso di aver rivisto e corretto al ribasso le stime almeno dal 2014, passando dal magico e tondo +10 per cento annuo indicato per una lunga serie di anni a percentuali più realistiche (e leggermente più credibili). Quali siano i contributi di investimento e consumo a quella crescita però non è noto, neppure nei piani del governo. Per lo meno dall’inizio del mandato di Xi Jinping, si continua a sostenere che la Cina è entrata in una nuova era – il New Normal – dove la crescita non è più fine a se stessa, ma si assesta su cifre più sostenibili e che il consumo delle famiglie si rafforza rispetto all’investimento delle imprese, sebbene di tutto ciò nei dati non si veda ancora neppure l’ombra.
Sembra chiaro che la Cina non solo non si sta “aprendo al mercato”, ma al contrario sta costruendo un sistema economico quasi impermeabile a quelle regole e anzi con l’evidente volontà di esportare i propri metodi all’estero. Nel breve-medio periodo, ciò significa che le imprese straniere avranno vita dura non solo in Cina (dove è già evidente un inasprimento delle condizioni, per non parlare dei rappresentanti di partito infiltrati nelle imprese), ma ovunque.
Ma nel lungo periodo, il rischio è ben più grande. Se gli altri paesi continueranno a lasciar entrare merci e capitali cinesi alle stesse condizioni previste per il resto del mondo, crogiolandosi nell’illusione che prima o poi le riforme promesse da Pechino saranno realizzate, il sistema cinese, per ora parallelo a quello “occidentale”, crescerà sino a inglobarlo di fatto.
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Vittorio Serito
Considerazioni, specie quelle finali sul New Normal, assolutamente condivisibili, purtroppo sembra che nessuno se ne stia rendendo conto.
Cordialmente
Gabriele
Articolo interessante che evidenzia i futuri pericoli per le altre economie
Ecco perché e’ fondamentale per l’Italia restare nell’euro , perche’ la Ue ha circa 450 milioni di persone ed uniti sara’ piu’ facile non restare schiacciati tra la Cina e i Usa
Proprio per questo , assisto inorridito alle esternazioni dei due capipolo italiani che vorrebbero fare il premier , Di Maio e Salvini , che da tempo vorrebbero l’Italia fuori dall’Euro . Una follia. Mi chiedo come questi politici pensino che davvero l’Italia da sola , magari con una nuova liretta riesca a restare sullo scacchiere economico mondiale e contare ancora qualcosa. D’ altronde pero’ lo spessore culturale , civile dei due e’ bassissimo , non sono laureati , non sanno parlare inglese , d’altronde sono l’espressione vera della maggioranza del popolo italiano , che ha cultura bassa senso civico nullo , ignorante sia in campo economico che finanziario , sciocco e credulone alle arringhe del politico che strilla di piu’ ( reddito cittadinanza , flat tax , abolizione Fornero etc )
D’altronde per fare il politico non serve nulla , basta prendere una manciata di voti , anche se sei un idiota ti puoi trovare al parlamento. Sono le regole della democrazia bellezza , voto al popolo , peccato che se il popolo e’ idiota non eleggera’ mai uno bravo , ma un idiota. Arrivo a pensare che oggi l’Italiano non meriti la democrazia . ( Anche in Libia hanno fatto libere elezioni , visto il risulto ottenuto ?
Mario Angli
Certo, dobbiamo metterci a competere con la Cina su chi ha la popolazione più grande, senza contare che loro hanno almeno 800 milioni di schiavi, ma non importa. Noi, grazie agli intellettuali che lo suggeriscono, prenderemo 800 milioni di schiavi dall’Africa, così il PIL aumenta e tu puoi ”competere con la Cina”. Poi fa niente se la società nel frattempo collassa in guerre etniche dovute alla povertà diffusa e al fatto che gli europei non accetteranno mai una riduzione del loro benessere tale da poter essere schiavi alla cinese. Progetto fallito, l’UE e tali idee verranno spazzate via.
aldo
“Nei suoi settori strategici, quella cinese resta un’economia pianificata, nella quale le imprese vengono finanziate generosamente dallo stato per entrare a gamba tesa sui mercati altrui”. Non vedo cosa ci sia da stupirsi. Qualsiasi paese serio opera in questa maniera. Lo facevamo anche noi quando lo eravamo.
Giuseppe G B Cattaneo
A me sembra che il sistema cinese assomigli all’Italia democristiana (e fascista), prima delle privatizzazioni. Tanto dirigismo in alto e tanto fai da te in basso. Ma è un sistema che non regge di suo.
bob
invece l’ Italia in particolare dei ” mille galli a cantare” e dei ” cani sciolti” regge??? Regalare un assetto strategico come le Autostrade è privatizzazione??
bob
..qualsiasi economia strategica di un Paese per esistere deve essere finanziata e protetta dallo Stato. Epiodi vergognosi come quello della Finmeccanica solo in uno stato-burrattino come il nostro possono avvenire. L’Europa deve capire che la Sua esistenza e la Sua sopravvivenza passano per 3 punti: i ricerca avanzata-produzione di alte tecnologie -preservazione dello stato sociale. Se è impensabile “convertire” la Cina altrettanto impensabile porre i dazi solo un elevato standard qualitativi sui prodotti importati può arginare l’invasione di “cineserie”. Un mercato di 500 milioni di persone ha peso nella economia globale che consente di imporre delle regole a chi vuole “conquistarlo”. L’Europa ha ragione di esistere solo se diventa la “Svizzera” del mondo
Alessandro Levati
Sì, quest’articolo ha proprio ragione. Dovrebbe ormai essere ben evidente per tutti che la Cina è impegnata in una politica di espansione a lungo termine, che non usa (almeno per ora) mezzi militari, ma non per questo è meno minacciosa, spregiudicata e persino brutale. Purtroppo l’occidente è destabilizzato dai problemi sociali causati dalla globalizzazione e dalla degradazione della democrazia, sistema di governo che ovunque funziona sempre peggio, e non sembra in grado di rispondere adeguatamente.