Lavoce.info

Più che precario il lavoro è stagionale

Potrebbero essere le caratteristiche stesse del mercato del lavoro italiano a generare un numero così elevato di contratti a termine. Ma allora non serve modificare il Jobs act o il decreto Poletti: la priorità è investire in politiche attive del lavoro.

Lavoro atipico in crescita

Il dibattito attuale sul mercato del lavoro italiano si muove attorno a due fatti ormai consolidati: è presente un incremento occupazionale, ma è in prevalenza atipico. La convinzione deriva soprattutto dalla lettura delle Comunicazioni obbligatorie. Tuttavia è forse opportuno studiare in dettaglio le professioni e i settori dove si registra un maggior incremento occupazionale, perché l’atipicità prodotta potrebbe spiegarsi non tanto con un comportamento “opportunistico” del datore del lavoro, ma piuttosto con le peculiarità dei settori coinvolti e anche perché, come sostiene ad esempio Bruno Anastasia, i lavori proposti sono intrinsecamente temporanei.
Oltre al concetto di stagionalità legato a caratteristiche particolari di specifici territori (ad esempio, a vocazione turistica), può essere interessante iniziare a comprendere se esistano temporaneità dovute ai processi di lavoro e, quindi, in parte legate alle specificità dei settori e delle professioni.
Per farlo occorre innanzitutto non fermarsi al concetto di “assunzione”, ma considerare i “singoli lavoratori” (definiti per comodità avviati al lavoro) e stimare l’effettivo rapporto di lavoro indipendentemente dal numero di ripetizioni avvenute tra datore e dipendente durante il periodo di analisi. Un esempio tipico sono i rapporti di lavoro realizzati in un albergo, dove si potrebbe contare 200 “assunzioni” nel corso dell’anno, ma in realtà i “lavoratori” coinvolti potrebbero essere addirittura la metà.
L’Osservatorio del mercato del lavoro della Regione Friuli Venezia Giulia ha sviluppato, ormai da un paio di anni, un’analisi geo-referenziata dei soggetti “avviati al lavoro”, che permette di studiare in dettaglio alcune caratteristiche della domanda di lavoro.

Figura 1 – Distribuzione territoriale degli avviati al lavoro in Regione Friuli Venezia Giulia

Fonte: nostre elaborazioni su dati Ergonet (anno 2016)

L’analisi della “durata media” dei rapporti di lavoro instaurati dagli avviati al lavoro corrisponde approssimativamente a un valore attorno ai sei mesi (172 giorni). Tuttavia, è presente un elevato livello di varianza intorno alla media: 8.113 di questi rapporti di lavoro nel 2016 sono durati meno di 10 giorni; d’altra parte, ben 18.195 contratti hanno una durata pari all’intero anno. A ciò si aggiunge che tantissimi contratti erano ancora in corso nel 2017 quando è stata effettuata l’analisi e di questi oltre 5 mila sono a tempo determinato.

Leggi anche:  A chi conviene il lavoro in remoto

Settori a tempo determinato

Oltre alla durata, è possibile conoscere il numero di contratti di lavoro realizzati con la stessa azienda per ogni avviato al lavoro: il valore si attesta a 1,4 con una scala che va da 1 a 152. In questo caso, però, la varianza è molto ridotta: oltre 98 mila presentano valori compresi tra 1 o 2 contratti. In sintesi, gli avviati al lavoro del Friuli Venezia Giulia sono stati assunti in prevalenza con un contratto a tempo determinato, per un periodo di quasi sei mesi e con lo stesso datore di lavoro hanno stipulato al massimo due contratti di lavoro.
Se consideriamo il dato per settore economico (secondo la classificazione Ateco definita dall’Istat), quelli più rappresentativi sono: il manifatturiero, l’attività di alloggio e ristorazione, l’agricoltura e il commercio.

Tabella 1 – I primi dieci settori economici della Regione Friuli Venezia Giulia

Elenco settori: v.a. %
Attività manifatturiere 14446 16,6
Attività dei servizi di alloggio e di ristorazione 13622 15,6
Agricoltura, silvicoltura e pesca 10816 12,4
Commercio all’ingrosso e al dettaglio; riparazione di autoveicoli e motocicli 9260 10,6
Servizi di supporto alle imprese 6750 7,7
Sanità e assistenza sociale 6099 7,0
Costruzioni 5641 6,5
Attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento 4750 5,5
Trasporto e magazzinaggio 3665 4,2
Altri settori 12081 13,9
Totale 87130 100

Fonte: nostre elaborazioni su dati Ergonet

A eccezione del manifatturiero, che infatti risulta uno dei settori dove il rapporto di lavoro dura di più e dove la quota di contratti a tempo indeterminato è più alta della media, gli altri rapporti di lavoro appaiono vincolati alla stagionalità legata alle attività di agricoltura oppure ai picchi produttivi del turismo nei periodi estivi; e le assunzioni tipiche riguardano in prevalenza occupazioni a bassa qualifica. Insomma, moltissimi rapporti a tempo determinato, almeno nella Regione Friuli Venezia Giulia, sono vincolati alle specificità dello sviluppo locale territoriale ed è possibile che in altre regioni italiane si ritrovi una situazione analoga.
È lecito chiedersi, pertanto, se non siano la peculiarità del mercato del lavoro italiano a generare un numero così elevato di contratti a termine più che l’opportunismo delle imprese (e in che termini): se così fosse, emergerebbe la necessità non tanto di modificare il Jobs act o il decreto Poletti (anche se di quest’ultimo non condividiamo l’impianto normativo), ininfluenti rispetto a queste dinamiche, quanto di investire in politiche attive del lavoro (mobilità occupazionale e formazione continua volta all’occupabilità dei destinatari), ovvero strumenti che possano permettere ai lavoratori coinvolti in settori vincolati da “cicli di temporaneità” una rapida ricollocazione in altri ambiti.

Leggi anche:  Dentro il labirinto: il programma Gol visto dagli operatori

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  A chi conviene il lavoro in remoto

Precedente

Euro e bilancio Ue: qui si gioca il futuro dell’Unione*

Successivo

Alitalia vola con l’aiuto di stato?

  1. Maria Cristina Migliore

    E’ certamente molto utile sottolineare la stagionalità di alcune attività economiche e la loro concentrazione in determinati territori caratterizzati dal turismo per spiegare la diffusione del lavoro atipico. Ma credo sia importante non sminuire con questo l’agency di chi fa impresa e costruisce nel tempo la sua strategia d’impresa. Gli studi organizzativi sembrano mettere in luce un’arretratezza dei nostri imprenditori e quelli economici una preferenza degli stessi per un basso livello di rischio. Insomma, potrebbe esserci anche un dato culturale da indagare tra chi fa impresa in Italia e più in generale nella popolazione.

  2. Dizzy Spells

    Per come la vedo io, nel vostro contributo mi pare si ponga una relazione tra stagionalità / qualificazione del lavoro (job) e skill dei lavoratori. Tuttavia, entrambi i fattori – stagionalità e qualificazione del lavoro – mi sembra siano caratteristiche della domanda di lavoro che non dipendono significativamente dall’offerta di lavoro: una maggior qualificazione del lavoratore non renderà lavoro meno stagionale (il settore alberghiero nel vostro esempio), né un lavoro più qualificato (ad esempio, servizi generali o pulizie nelle imprese manifatturiere). Dai dati ISTAT emerge poi che l’aumento di flessibilità nel mercato del lavoro avviene non durante il periodo di avvio del jobs act (nel primo anno anzi aumentano i rapporti di lavoro stabili anche in relazione a quelli a tempo determinato) ma con il decreto Poletti, a dimostrazione che le imprese scelgono il contratto che per loro è meno costoso ovvero quello a tempo determinato. Le politiche attive sono certamente importanti, ma sarebbe bene cominciare a pagare di più – non di meno – il lavoro flessibile, anche se poco qualificato (dato che la flessibilità è comunque un vantaggio per l’impresa)

  3. bruno perin

    Finalmente qualcuno entra nei dettagli di una statistica troppo sintetica e generalista.Mi convince pienamente che i lavori atipici e a tempo determinato sono determinati dalla qualità della domanda e non dalle regole esistenti. Semmai sono le regole che si adattano ( in ritardo) al mercato.
    Il lavoro stabile e duraturo è una tipologia per imprese manufatturiere che lavorano su mercati consolidati per un tempo medio lungo. La crescita di terziario, le caratteristiche del primario e un mercato manifatturiero sempre più aperto non permettono la pianificazione globale del lavoro e conseguentemente, l’adattabilità degli organici e della stessa organizzazione del lavoro alle commesse di breve durata diventano un vincolo. Ciò comporta uno sforzo organizzativo molto elevato, soprattutto per le piccole e medie imprese.
    La soluzione di mobilità e formazione continua sembra quindi essere una risposta convincente. Ciò però presuppone un livello culturale in grado di concepire i due elementi come fondamentali e soprattutto il “sistema” adeguatamente predisposto e organizzato per agevolarli ( salari più elevati, sussidi di disoccupazione di sostegno, agenzie per il lavoro interconnesse col mercato, efficienza formativa e politica dei servizi alla famiglia e capacità di programmazione preventiva).

  4. Cyrano

    E poi ci si chiede quale sia l’effetto della fuga dei cervelli. Ebbene, è il seguente: restano quelli con il cervello in fuga, come gli estensori di questo bislacco articolo che ritengono di aver individuato le “caratteristiche stesse del mercato del lavoro italiano” sulla base di dati regionali di una regione a statuto speciale a spiccata vocazione turistica. Ve lo dico come consiglio: trovatevi un lavoro serio.

  5. Michele

    I lavoratori stagionali nel turismo e i tempi della raccolta in agricoltura sono sempre esistiti. Però solo negli ultimi anni si vedono così tanti lavoratori precari. Non ci si può nascondere dietro le stagioni per giustificare politiche volte invece solo alla svalutazione della componente lavoro. Inoltre nel frattempo la produttività non è migliorata, perché le imprese hanno utilizzato la maggior flessibilità del lavoro solo per aumentare i profitti

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén