Il fact-checking de lavoce.info passa al setaccio le dichiarazioni di politici, imprenditori e sindacalisti per stabilire, con numeri e fatti, se hanno detto il vero o il falso. Questa volta tocca alle affermazioni dell’ex sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini sulle norme del diritto internazionale in materia di sbarchi. Vuoi inviarci una segnalazione? Clicca qui.
La disputa sul ruolo dell’Italia
Il caso della nave Aquarius, il cui approdo nei porti italiani è stato impedito dal nuovo ministro degli Interni Matteo Salvini, domina uniformemente tutti i palinsesti televisivi. Da giorni, infatti, politici e commentatori si interrogano sulla legittimità o meno del diniego, soppesando norme internazionali e prassi consolidate. Nell’ultima puntata di Non è l’arena (La7), l’ex sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini (Pd) è intervenuta telefonicamente, dichiarando:
“È il diritto internazionale che stabilisce che è l’Italia che deve portare in porto quella gente lì, perché è l’autorità marittima che ha coordinato il soccorso.”
Secondo Nicolini, l’Italia, in quanto responsabile del coordinamento delle operazioni di soccorso, avrebbe anche dovuto accogliere la nave Aquarius in un porto italiano. Questa linea, in effetti, trova eco nella posizione ufficiale de La Valletta, espressa dall’ambasciatrice di Malta in Italia, che ha sostenuto:
“I 629 migranti dell’Aquarius non li accogliamo, è una questione di principio. L’operazione Sar (Search and rescue) nel Mediterraneo è avvenuta nella Sar libica coordinata dal centro Rcc di Roma. Per cui è assolutamente escluso che i migranti debbano essere sbarcati a Malta”.
Molti articoli di stampa hanno tentato di far luce sulle aree di competenza ascritte ai paesi coinvolti (fra gli altri, Repubblica, il Corriere, il Post), ma alcuni dubbi permangono: chi determina la destinazione dell’imbarcazione impegnata nel soccorso dei migranti? È l’autorità marittima che coordina i soccorsi a dover aprire i porti?
Cosa dice il diritto internazionale
Per trovare il bandolo della matassa, occorre esaminare le norme internazionali che disciplinano la ricerca e il salvataggio marittimo. A partire dalla convenzione di Montego Bay del 1982, che sancisce l’obbligo di prestare soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo, e dal principio di non respingimento dei richiedenti asilo, stabilito dall’articolo 33 della Convenzione di Ginevra del 1951.
Per quanto riguarda il soccorso in mare, il diritto internazionale si rifà principalmente alla convenzione di Amburgo del 1979 (ratificata dall’Italia solo nel 1989), secondo la quale tutti gli stati con zona costiera sono tenuti ad assicurare un servizio di Sar (Search and rescue), ovvero di assistenza e salvataggio di persone in pericolo di vita, il cui coordinamento deve essere condiviso.
Il Mar Mediterraneo, in particolare, è stato suddiviso tra i paesi costieri nel corso della conferenza dell’International Maritime Organization (Imo) tenutasi a Valencia nel 1997. Secondo la ripartizione delle aree Sar, la superficie di competenza italiana rappresenta circa un quinto dell’intero Mediterraneo, ossia 500 mila chilometri quadrati.
Sempre secondo la convenzione di Amburgo, insieme ad altre norme dell’Imo sul soccorso marittimo, gli sbarchi devono avvenire nel “porto sicuro” (place of safety) più vicino al luogo del soccorso. Il place of safety è da intendersi, secondo il Regolamento Ue n. 656/2014, come il luogo in cui “si ritiene che le operazioni di soccorso debbano concludersi e in cui la sicurezza per la vita dei sopravvissuti non è minacciata”. Nel caso in cui siano a bordo richiedenti asilo, il place of safety deve assicurare la garanzia di poter presentare domanda di protezione internazionale. L’individuazione del luogo spetta quindi al Maritime rescue coordination centre che ha la responsabilità del coordinamento delle operazioni in mare, salvo che ci si trovi nelle acque territoriali, dove resta la competenza esclusiva dello stato costiero.
L’obbligo – così come quello di condivisione del coordinamento – è ribadito anche dal comma 1 dell’articolo 10 del regolamento Ue del 2014, in cui si afferma che “lo stato membro ospitante e gli stati membri partecipanti cooperano con il centro di coordinamento per individuare un luogo sicuro e […] assicurano che lo sbarco avvenga in modo rapido ed efficace”.
Chi doveva aprire il porto all’Aquarius?
Dal grafico 1, si può osservare la divisione del Sud del Mediterraneo in zone Sar di competenza; e, dal grafico 2, il tragitto effettuato dalla nave Aquarius, appartenente alla Ong Sos Méditerranée, tra il pomeriggio del 9 e il 12 giugno.
Bisogna ricordare che, sebbene sulla carta la Libia abbia la responsabilità di ricerca e salvataggio su una vasta porzione del Mediterraneo, non ha mai svolto a pieno questo ruolo. Ancora meno dopo il ritiro, formalizzato a dicembre del 2017 all’Imo, della domanda per presidiare la sua zona Sar di competenza. Che ha di fatto lasciato all’Italia e al suo centro di coordinamento la gestione della quasi totalità delle operazioni nel sud del Mediterraneo.
Grafico 1 – Zone Sar Mediterraneo del sud
Fonte: Limes
Come si nota dal grafico 2, Aquarius ha raccolto i 629 migranti a largo delle coste libiche il 9 giugno 2018. In collaborazione con la Marina militare italiana e la guardia costiera, si è messa in contatto con il centro di coordinamento di Roma, che ha quindi assunto, in accordo al diritto internazionale, la gestione del soccorso e dello sbarco. È importante sottolineare come l’imbarcazione non sia mai entrata nella zona di competenza delle autorità italiane, sebbene l’operazione sia stata gestita da loro.
Il diritto internazionale non obbliga l’autorità che gestisce il salvataggio ad accogliere i superstiti in un porto del suo territorio. Al contrario, la autorizza a scegliere il porto che, a sua discrezione, è ritenuto il più vicino e sicuro. In questo tipo di operazioni – dove l’imbarcazione dalla Libia si dirige verso nord – il porto sicuro più vicino è ovviamente quello di Malta.
Grafico 2 – Tragitto Aquarius 9.6.18-12.6.18
Fonte: www.myshiptracking.com
Quindi, al contrario di quanto sostenuto da Nicolini e dall’ambasciatrice maltese, sebbene le operazioni fossero state gestite dal centro di coordinamento di Roma, l’Italia era libera di individuare una sede diversa per lo sbarco dei migranti, fatta salva la possibilità di quello stato di rifiutare l’attracco nel caso in cui non ci sia reale pericolo di vita per i superstiti. In accordo all’articolo 10 del regolamento europeo del 2014, infatti, sia il paese ospitante che gli stati membri partecipanti devono sottostare, in casi come questo, alla valutazione discrezionale del Maritime rescue coordination centre di Roma.
Naturalmente le considerazioni politiche sono altra cosa rispetto a quelle giuridiche e la differenza di superficie tra l’Italia e Malta – e quindi la diversa capacità di gestire i flussi migratori – rimane una questione dirimente. Va tuttavia ricordato che fu la stessa Malta a esigere, anche per questioni di prestigio internazionale, di avere una zona Sar così ampia, circa 750 volte l’estensione del suo territorio.
Il verdetto
L’ex sindaco di Lampedusa sostiene che l’Italia doveva accogliere, in accordo al diritto internazionale, la nave Aquarius in uno dei suoi porti. In realtà, è proprio il diritto internazionale che affida alla nazione che gestisce il salvataggio l’autorità di determinare quello sicuro più vicino. Ovviamente, la prassi in questi anni è andata nella direzione opposta, con l’Italia, e in particolare Lampedusa, ad accogliere la quasi totalità degli sbarchi (negli ultimi 3 anni Malta ha accolto in totale solo 152 richiedenti asilo). Tuttavia, questo non è stabilito, come sostiene Nicolini, dal diritto internazionale. Pertanto, la sua dichiarazione è FALSA.
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enzo chioini
Diversi organi d’informazione, all’inizio della vicenda, hanno raccontato che oltre 400 profughi sono stati inizialmente soccorsi e fatti salire su navi della Guardia Costiera e della Marrina Militare ITALIANE: quindi i profughi sono saliti su suolo italiano. Solo successivamente è stato chiesto ad Acquaris di poterli trasbordare sulla nave della ONG, per farli arrivare in un porto sicuro, italiano. Non si è tratato di un’espulsione bella e buona, senza il rispetto delle leggi che regolano il diritto d’asilo?
Gabriele Guzzi
Caro Enzo, la gestione del salvataggio non è direttamente collegata all’accoglienza nel porto. Anche se l’Italia ha gestito per intero il salvataggio e il trasbordo su Aquarius, poteva scegliere Malta come porto sicuro più vicino. Un caro saluto. Gabriele Guzzi
serlio
Il punto è che questi immigrati vengono “tratti in salvo” all’interno delle acque territoriali libiche e quindi andrebbero sbarcati, nel porto sicuro più vicino, cioè quello libico e non certo italiano o maltese. Se dalla Libia sono partiti non deve essere un porto così insicuro, altrimenti sarebbero partiti da altri porti.
Le ong contribuiscono di fatto al traffico di uomini… e come tali devono essere bloccate, trattenendo le loro navi nei nostri porti e privandole di qualsiasi finanziamento governativo italiano (qualora presente).
Roberto S.
Articolo interessante, ma in altre fonti trovo argomentazioni a favore di Malta:
“nel 2004 il governo italiano (Berlusconi 1-Lega, FI, AN) approva due emendamenti alle convenzioni
SAR e Solas secondo i quali l’obbligo di fornire un luogo d’approdo sicuro per i naufraghi “ricade sul Governo contraente responsabile per la regione Sar in cui i sopravvissuti sono stati recuperati”. Ratificano, e probabilmente nessuno spiega loro che il fatto che la piccola isola di Malta non ratifichi sia in realtà un problema enorme, perché la sua area SAR è immensa, rispetto alla sua superficie. Tradotto: quel che si recupera in prossimità delle coste maltesi – come i naufraghi salvati sull’Aquarius – sbarca comunque in Italia, e sbarca col foglio di richiesta di asilo politico, perché solo così si può entrare, e tocca all’Italia occuparsene,
perché così hanno deciso Berlusconi, Bossi e Fini. O se preferite, Forza Italia, la Lega e Alleanza Nazionale”.
giorgio ponzetto
Articolo molto interessante ed utile. Infatti al caso Acquarius sono stati dedicati tantissimi articoli, ma neppure i grandi quotidiani hanno dato un quadro di riferimento giuridico preciso e completo come fatto da La Voce. La maggior parte dei commentatori hanno sostenuto sui mezzi di informazione che coordinando i soccorsi, l’Italia aveva anche l’obbligo giuridico di accogliere i profughi nei propri porti Altra questione che andrebbe approfondita è quella citata nell’articolo per cui è solo per una prassi che l’Italia gestisce gli interventi nella zona di mare che sarebbe di competenza libica.Se cosi è, occorrerebbe superare questa situazione di fatto, trovando a livello internazionale o almeno europeo un accordo formale che regoli l’intervento nella zona marina della Libia attraverso il coinvolgimento non solo dell’Italia, ma anche di altri Stati
Auspico che La voce continui ad approfondire gli aspetti giuridici di questa problematica, spesso strumentalizzati nel dibattito politico.
Katia Mitrovich
Scrivono Leanza e Caffio in un PDF sul SaR Mediterraneo disponibile online: “(…) va sottolineato che la coo-
perazione SAR tra Italia e Malta non è stata mai istituzio-
nalizzata da alcun accordo, nonostante ciò sia
raccomandato dalla Convenzione di Amburgo e nono-
stante irapporti tra i due Paesi siano stati sempre eccellenti
a livello politico. Il disaccordo con Malta riguarda
anche l’estensione delle rispettive zone SAR (l’enorme
zona maltese, coincidente con la sovrastante FIR, si so-
vrappone con quella italiana in più aree, compresa quella
delle acque territoriale delle Isole Pelagie) e la nozione di
place of safety (7) in cui trasportare i migrantisalvati nella
propria SAR (Malta sostiene essere non Valletta ma Lam-
pedusa, se più vicina al luogo del soccorso).” Il fatto quindi che Malta non abbia recepito completamente la convenzione in tutte le sue parti può avallare l’affermazione del sindaco?
Sono stati inoltre sollevati in passato anche notevoli dubbi all’accoglienza maltese che pone dei dubbi sulla qualità di tale accoglienza che non la qualificherebbero secondo alcune ONG come luogo idoneo.
FRANCO BPRGHI
Intanto che voi fate disquisizioni appuntine su chie e come debe scegliere il porto di sbarco per i migranti, quesri si trovano in condizioni drammatiche ed anche a rischio fi morire o di infortuni. Si tratta dim persone umane, come noi, come voi. Immaginate se tra di essi ci fosse un vostro parente carissimo, che fareste?
ALEX
Prenderei in considerazione interessi un poco più “venali” della “questione di prestigio internazionale” che avrebbe indotto Malta ad esigere una zona SAR palesemente sproporzionata rispetto alla dimensione geografica dell’isola.
Alla zona SAR infatti corrisponde normalmente una uguale FIR (Flight Information Region), spazio aereo nel quale un FIC (Flight Information Centre) fornisce – a tariffa – il Servizio Informazioni Volo finalizzato alla sicurezza del traffico aereo, secondo la normativa ICAO.
Ad una ampia SAR corrisponde quindi un ampio ammontare di “diritti economici” sul traffico aereo di attraversamento, a beneficio dell’ente controllore del Paese responsabile dell’area; che nel caso di Malta diventa però “irresponsabile” nel momento in cui, per la frequente necessità di salvataggi in mare, è chiamata a fornire (anziché incamerare) le sue preziose risorse.
Trovando in Italia la comprensione delle troppe incompetenti “anime belle”, anche istituzionali, che sono la fortuna dei paesi nostri vicini nel naturale perseguimento dei loro interessi. Forse gli Stati non sono Agenzie Umanitarie.
francisco quintay
Dal grafico 2 si evince che il porto sicuro più vicino al luogo del soccorso era Lampedusa, per cui per le ragioni dette nell’articolo la dichiarazione è vera e il fact checking è fallato.