L’amministrazione Trump ha cancellato alcune direttive che promuovevano la diversità all’interno di scuole e di università. Anche l’opinione pubblica americana è divisa sulle azioni positive. E non è facile stabilire se abbiano mai avuto successo.

Martedì 3 luglio il governo Trump ha cancellato alcune direttive amministrative preesistenti che “suggerivano” a scuole e università una serie di procedure per creare diversità razziale ed etnica, in altre parole per avere in ogni scuola un corpo studentesco non troppo diverso dalla media nazionale. Per esempio, ai distretti scolastici si suggerivano procedure per ammettere studenti meno bravi a scuole di eccellenza. Il “suggerimento” era rafforzato dalla minaccia implicita del taglio dei fondi statali.

Benché neutrali nel linguaggio, di fatto le direttive ritirate favorivano afroamericani e centroamericani. Per esempio, uno studente che avesse chiesto l’ammissione alla University of Michigan nel 1999 con un punteggio nel Sat (test attitudinale) nei valori 690-750 sarebbe stato ammesso con una probabilità del 23 per cento se “non-minority,” e una probabilità del 93 per cento se “minority”. Disparità di trattamento ancora più elevate sono state riportate a livello nazionale fra gli studenti di legge.

Le disparità, se realizzate in maniera opaca e senza menzione esplicita di “quote”, sono considerate legali sotto la dottrina delle azioni positive (affirmative action). La Suprema Corte l’ha più volte esaminata e finora ha continuato a ritenerla legittima, ma con sempre minore entusiasmo.

Nel 2003, la giudice Sandra Day O’Connor sostenne che: “La Corte si aspetta che fra 25 anni il ricorso a preferenze razziali non sarà più necessario per raggiungere gli obiettivi di diversità razziale”. Una frase ambigua, che fu interpretata come una sorta di “da consumarsi prima del …”. E oggi l’università di Harvard si difende in una causa di discriminazione intentata da un gruppo di americani di origine asiatica che sostengono che uno studente con determinate caratteristiche avrebbe una probabilità di ammissione del 25 per cento se fosse asioamericano, del 36 per cento se fosse bianco, del 77 per cento se fosse centroamericano e del 95 per cento se fosse afroamericano. Il governo Trump è intervenuto nella causa depositando un memorandum contro Harvard.

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I cittadini americani sono divisi sulle affirmative action. Da un lato, quasi tutti riconoscono una forte discriminazione contro gli afroamericani nelle passate generazioni. Dall’altro, l’uso di quote razziali non è bene accetto da tutti. Degli otto stati chiamati a esprimersi attraverso referendum, in sette (fra cui la California) la maggioranza ha votato per eliminare le azioni positive. Lo stato del Michigan ha bandito la dottrina appena sono stati resi pubblici i dati sulle disparità di trattamento della University of Michigan.

Pochi dati sulle azioni positive

Ma la affirmative action ha avuto successo? È difficile dirlo, perché non esistono dati esaurienti. Sappiamo che fra gli studenti di legge ammessi, il 42 per cento degli afroamericani ha poi ottenuto negli esami una media inferiore al primo decile (10 per cento più basso) della distribuzione nazionale, e una probabilità molto più alta di non passare l’esame di stato per avvocato.

A livello più aggregato, dall’introduzione della affirmative action nel 1964, i salari degli afroamericani non sono cresciuti rispetto a quelli dei bianchi (figura 1).

Figura1– Rapporto fra salari di afroamericani e di bianchi e negli Usa, anni 1940-1990

Fonte: https://www.nap.edu/read/9719/chapter/6

Non vi è dubbio che, nei decenni passati, siano state necessarie forme di azione amministrativa per contrastare una dinamica sociale che penalizzava le minoranze etniche. Tuttavia, a quarant’anni dalla adozione della affirmative action, è difficile sostenere che l’insieme delle politiche tese a ridurre le disparità di condizioni economiche e sociali abbia funzionato. Una possibile conclusione è che sia necessario perseverare. Oppure, al contrario, forse queste politiche non hanno funzionato e sono impopolari, quindi bisogna dismetterle. Il governo Trump si è schierato sulla seconda posizione.

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