La Grecia è ufficialmente uscita dal terzo programma di salvataggio. Anche se restano dubbi restano sulla capacità di rispettare gli impegni presi con la Troika, è un segnale positivo per tutta l’Europa. Ma nuovi rischi aleggiano all’orizzonte.
La Grecia è “salva”
Lo scorso 20 agosto, dopo dieci anni, la Grecia è ufficialmente uscita dal terzo programma di salvataggio concertato dalla Troika. Non a caso, per celebrare questo giorno il primo ministro greco Alexis Tsipras ha scelto Itaca, l’isola dove Odisseo torna dopo dieci anni di peripezie seguite alla fine della guerra di Troia.
Dal 2010, la Grecia è stata destinataria di tre programmi di salvataggio (2010, 2012 e 2015) da cui ha ricevuto poco meno di 300 miliardi di euro. Come descritto in un precedente articolo, a giugno 2018 i ministri delle finanze europei hanno accertato il sostanziale rispetto degli impegni e approvato l’ultima tranche di finanziamenti, insieme a importanti misure di sostegno finanziario. In particolare, un allungamento delle scadenze e un lungo periodo di assenza di interessi sul debito. Tutto ciò dovrebbe consentire ad Atene di riappropriarsi della propria autonomia e accedere direttamente ai mercati dei capitali internazionali. Inoltre, la sostanziale sostituzione del debito pubblico detenuto da investitori privati, come le banche francesi e tedesche, con debito detenuto da creditori ufficiali, come BCE e partner europei, ha azzerato i rischi di una improvvisa crisi di liquidità.
Per la Grecia sono stati dieci anni terribili. Il Pil è diminuito del 25 per cento e la disoccupazione ha raggiunto il 30 per cento. Ancora oggi, un terzo della popolazione è vicino alla soglia di povertà (dati Ocse) e il 50 per cento dei prestiti bancari è in sofferenza. I dati del Fondo monetario internazionale indicano che solo le economie di Libia, Venezuela, Yemen e Guinea Equatoriale sono cresciute meno di quella greca nell’ultimo decennio. Tuttavia, i segnali positivi sono molteplici. L’economia ha ripreso a crescere: 1,4 nel 2017 e, secondo le ultime previsioni, 2 per cento nel 2018 e 2,3 nel 2019. Inoltre, la disoccupazione è scesa al 20 per cento e l’economia greca è più competitiva dopo le riforme parte dei programmi di salvataggio.
I nuovi rischi
Anche se i dubbi restano sulla capacità di rispettare gli impegni presi con la Troika in termini di avanzi di bilancio futuri (2,2 per cento fino al 2060), visto il debito pubblico molto elevato (180 per cento del Pil), l’uscita definitiva della Grecia dai programmi di salvataggio è un segnale positivo per tutta l’Europa. Tuttavia, nuovi rischi aleggiano all’orizzonte.
La prossima mina pronta a mettere a rischio la stabilità dell’Europa, se non la sua stessa esistenza, potrebbe essere proprio l’Italia. L’atteggiamento di sfida nei confronti delle istituzioni europee, le promesse di maggiori spese senza dettagli precisi sulle coperture e le minacce velate di ritorno alla lira, hanno fatto suonare più di un campanello di allarme tra gli investitori esteri, e non solo. L’aumento dello spread sul nostro debito pubblico, ora vicino al 3 per cento, si traduce in maggiore costo del debito e minori risorse da destinare ai programmi annunciati di riduzione della pressione fiscale e reddito di cittadinanza. Il rischio concreto è che le banche italiane, tra i principali detentori del nostro debito pubblico, siano presto costrette ad aumentare i tassi sui prestiti a famiglie e imprese, minando la debole ripresa. Non è un caso che dall’annuncio dell’accordo che ha partorito il nostro governo, l’indice azionario italiano abbia perso il 15 per cento mentre, nel medesimo periodo, quello europeo solo il 3 per cento.
L’Europa, con incredibili difficoltà, è riuscita a evitare l’uscita della Grecia dall’Unione monetaria e ad accompagnarla nel sentiero di ripresa. L’Italia, con un’economia e un debito pubblico dieci volte più grandi, potrebbe essere una sfida fuori della sua portata.
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