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Riapre la scuola, con i problemi di sempre

La valutazione degli insegnanti è una questione su cui si sono cimentate le tante riforme della scuola succedutesi negli anni. Anche l’ultima versione non sarà di facile applicazione. Perché non si concede mai il tempo per imparare dall’esperienza.

Corsi e ricorsi

Aprono le scuole e ancora una volta si preannuncia un film già visto: girandola di cattedre e di insegnanti, supplenze e ansie dei genitori per le nomine in ritardo. In più quest’anno abbiamo anche il problema delle vaccinazioni. Piove sul bagnato.

Le riforme della scuola si susseguono con ritmo incessante. Il succedersi dei cambiamenti spesso non risponde alla logica di migliorare l’esistente, secondo il metodo dei “tentativi ed errori”, ma a una filosofia di breve respiro che consiste nell’accontentare coloro che si ritengono danneggiati dagli interventi attuati dai governi precedenti. In questo modo, si creano le premesse per successivi cambiamenti in senso contrario. D’altra parte, quella della scuola è una fabbrica troppo importante che, con il suo indotto di famiglie, docenti e alunni, attira inevitabilmente una forte attenzione da parte di coloro che coltivano il consenso elettorale.

Si potrebbero fare esempi significativi di “corsi e ricorsi”. Uno è certamente quello delle supplenze, della mobilità, delle immissioni in ruolo e della lotta al precariato. Anche di recente, sono state investite ingenti risorse, ma il risultato è quello che abbiamo (e che avremo tra qualche giorno) sotto gli occhi. Le norme si susseguono, vengono cambiate e non c’è mai il tempo per la loro completa attuazione.

Valutazione degli insegnanti: un “caso di scuola”

La valutazione degli insegnanti è un altro (si può ben dire) “caso di scuola”. Parte da lontano e la legge n. 107 (detta della “Buona scuola”) è l’ultimo (meglio dire il penultimo) atto della storia. Già nei contratti collettivi degli anni Novanta, che dovevano mettere in pratica la “privatizzazione” del rapporto di lavoro nel pubblico impiego, si tentò di trasformare gli scatti di anzianità degli insegnati in aumenti di merito. Non se ne fece niente. Poi si passò al famoso “concorsone” di Luigi Berlinguer, forse una delle idee migliori per inserire un percorso di carriera per gli insegnanti. Finì miseramente tra le polemiche. Ci provarono in successione quasi tutti i ministri dell’Istruzione che vennero poi. Anche la “riforma Brunetta”, che ridimensionava fortemente la fonte contrattuale nella regolazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego, si cimentò alquanto con i sistemi di valutazione. Il farraginoso e burocratico ciclo della “performance” avrebbe dovuto applicarsi anche alla scuola. Ma, in primo luogo, non era affatto chiaro come un sistema di valutazione dei risultati che era stato pensato essenzialmente per i dipendenti dei ministeri potesse essere applicato agli insegnanti. In secondo luogo, la riforma non vide mai la luce perché si sarebbe dovuta applicare solo dopo i rinnovi dei contratti collettivi. Ma questi non vennero rinnovati per lungo tempo.

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Veniamo così alla valutazione degli insegnanti messa in atto dal governo Renzi con la legge della “Buona scuola”. I sindacati sono stati estromessi dalla contrattazione dei premi legati al merito (“i compensi legati alla valorizzazione del personale “). La legge prevede che debbano essere gestiti dai dirigenti scolastici sulla base di criteri definiti dal comitato di valutazione degli insegnanti. Un comitato costituito con rappresentanze dei genitori, degli studenti, del direttore regionale e di figure terze.

Quello che è successo nella scuola con questa legge è a tutti noto. Si sollevò la protesta generale e il governo Gentiloni cercò di porre qualche rimedio. Approfittando anche del fatto che nel frattempo i rinnovi dei contratti nazionali erano stati sbloccati.

È iniziata una nuova fase di contrattazione collettiva, dove ai sindacati è stato riconosciuto un ruolo maggiore, modificando in parte la “Brunetta” e la stessa legge sulla “Buona scuola”. In primo luogo, gli aumenti di merito sono stati ridimensionati in valore e, in secondo luogo, sono rientrati in qualche misura sotto il controllo della contrattazione collettiva. A essa ora spetta definire i criteri sulla base dei quali i presidi definiscono gli aumenti salariali. Al comitato previsto dalla Buona scuola viene confermato il compito di elaborare i criteri che il preside deve applicare nella valutazione degli insegnanti, ma ora spetta alla contrattazione collettiva tra sindacati e preside indicare quelli sulla base dei quali i compensi legati al merito saranno effettivamente attribuiti ai singoli docenti.

Separare i criteri di valutazione dei singoli docenti da quelli da seguire per concedere gli aumenti retributivi agli stessi docenti non sarà di facile applicazione. E l’esperienza dimostra che, in passato, soluzioni analoghe hanno creato, in quanto mal gestite, confusione dei ruoli e scarsa efficacia dello strumento. Come sempre, le soluzioni sulla carta possono essere più o meno buone, occorre però una corretta gestione e occorre anche il tempo per imparare dall’esperienza per fare meglio in futuro.

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Siamo tornati quindi punto e a capo, in attesa di ulteriori iniziative del nuovo governo. Che per ora deve risolvere il problema, aggiuntivo, delle vaccinazioni.

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  1. Luca

    Insegno da ventisette anni (di ruolo dal ’93, vincitore di concorso ordinario). È da allora che sento dichiarazioni riguardo al “merito”, da premiare. Son d’accordo, naturalmente. La grande (insormontabile) difficoltà è però questa: come riconoscerlo?
    In effetti a monte sta una difficoltà ancor maggiore: merito di qual genere? Posto che sia possibile individuarli, premiamo gli insegnanti migliori nel far che? Quelli che san “tenere la classe”? Quelli che adottano prontamente le novità didattiche proposte dal ministero? Quelli che non si curano del ministero ma hanno una didattica estremamente efficace? Si può continuare con altre svariate ipotesi.
    Credo che l’incertezza che a lei pare un continuo fare e disfare derivi anche da questo.
    La riflessione mi è suggerita dai criteri ai quali l’ultima riforma rimanda per incentivare i docenti. Di fatto si incentiva chi si dedica ad altro rispetto all’insegnamento: attività organizzative, di coordinamento, spesso di segreteria. Ho l’impressione che siano stati fatti risparmi sulle segreterie scaricando parte del loro lavoro sui docenti che si prestano, e che vengono premiati per il “merito”. Ancora un risparmio a spese della scuola; mi pare che in questo i vari governi siano stati coerenti, ed il “merito” è la foglia di fico davanti ai continui tagli.
    Concludo ringraziandola per l’attenzione data alla scuola ed agli insegnanti, ma la prego di notare che le magagne citate in apertura non dipendono dagli insegnanti, ma dalla gestione.

  2. Maria Laura

    Io ora sono anziana e in pensione. negli anni in cui c’era il ministro Luigi Berlinguer, fui tra i pochi insegnanti d’accordo con la sua proposta, che andrebbe completata e rilanciata.
    Completata così: 1- Un docente che si presenta non può ripresentarsi prima di otto anni; 2- Va bene la verifica sulle conoscenze disciplinari; 3. Dovrebbe avere un peso anche la documentazione sull’ultimo anno di insegnamento (programmazioni, materiale didattico preparato, prove proposte agli alunni ecc.) esibita dal docente, e una tesi sull’esperienza. 4. Se il docente vuole presentarsi per l’anno X, dovrebbe deciderlo in anticipo, in modo che la sua/le sue classi vengano monitorate all’inizio e alla fine dell’anno scolastico e si possano rilevare i progressi di ciascun alunno rispetto ai livelli di partenza. 5. Dovrebbero valere, nei giudizi finali, anche le valutazioni espresse dagli studenti o, se questi sono bambini, dai genitori.
    Sono contraria alla valutazione prevista dalla buona scuola, perché un preside, che è di fatto quello che conta nell’esprimere il giudizio, non può farlo davvero: se è laureato in lettere, come fa a giudicare un professore di matematica? Potrebbe giudicarlo in modo molto soggettivo in base ai rapporti che l’insegnante ha con gli alunni e i colleghi. Così si separerebbe ancora una volta l’insegnamento dai rapporti interpersonali, e l’apprendimento dalla socializzazione. È una barbarie, questa separazione: se un alunno non impara, difficilmente si comporta bene.

  3. Markus Cirone

    Aspetto (e aspetterò a lungo, temo) di sapere come si valuta un lavoratore senza vederlo all’opera (nel caso del docente, in classe, nei consigli, nei ricevimenti genitori) e senza conoscere il contenuto del suo lavoro (nel caso del docente, la materia insegnata).

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