Il divieto di apertura domenicale dei negozi favorisce i piccoli commercianti e una parte dei lavoratori. Danneggia però i consumatori, che sono una platea molto più vasta. Il governo dovrebbe perciò considerare le conseguenze sul benessere collettivo.
Obbligo di chiusura
Fa discutere, in questi giorni, l’intenzione dichiarata dalla maggioranza di governo di abrogare la liberalizzazione degli orari di apertura degli esercizi commerciali introdotta dal governo Monti nel 2011. In pratica, il governo vuole reintrodurre l’obbligo di chiusura domenicale o, almeno, porre forti vincoli alle aperture (si parla di un massimo di 25 per cento degli esercizi con facoltà di apertura domenicale per ogni settore merceologico).
Questo tipo di intervento ha effetti su quattro diversi soggetti: i lavoratori nel settore del commercio, i consumatori, i piccoli negozianti e la grande distribuzione.
L’obiettivo dichiarato della riforma è beneficiare gli impiegati negli esercizi commerciali che – a detta del ministro Di Maio – sono “costretti” a lavorare di domenica a scapito dell’armonia familiare. Posto che l’attenzione su un particolare settore appare singolare (perché la stessa logica non si applica agli impiegati nelle biglietterie dei cinema? O perché non estenderla ai panettieri, che lavorano di notte mentre il resto della famiglia riposa?), quantificare i benefici che cassieri e commesse otterranno dalla forzata chiusura domenicale non è semplice. In primo luogo, perché è arduo assegnare un valore al tempo in più passato in famiglia: gita fuori porta (un piacere) o pranzo con la suocera (un dovere)? In secondo luogo, è plausibile che almeno parte degli individui che contribuiscono a tenere aperti gli esercizi non lo facciano per obbligo. Il lavoro domenicale garantisce un supplemento salariale (come è previsto dai contratti collettivi), alcuni lavoratori hanno dunque l’opzione di scambiare parte del loro tempo libero per un maggiore introito. In altre parole, per alcuni passare la domenica al lavoro anziché in famiglia può essere una scelta e non una costrizione. E per loro il maggior reddito può servire proprio per preservare la serenità familiare.
Gli effetti sull’occupazione
C’è un altro aspetto sul quale i lavoratori rischiano di perdere dalla riforma. Se gli esercizi commerciali devono ridurre i loro giorni di apertura, verosimilmente occorrerà loro meno personale e potremmo assistere a una perdita di posti di lavoro nel settore. Quanti? Difficile dirlo con precisione senza un’analisi più approfondita. Possiamo però tentare di metter qualche limite – superiore e inferiore – alla cifra partendo da alcuni presupposti più o meno ragionevoli. Secondo l’Istat, il commercio al dettaglio conta 1 milione e 800 mila addetti. Non tutti i negozi sono aperti la domenica e alcuni fanno orario ridotto. Assumendo che la domenica lavorino la metà delle persone di un giorno feriale, il fabbisogno di lavoro medio giornaliero è di circa 277 mila (1.800.000/6,5). Pertanto per coprire la domenica servono poco meno di 140 mila addetti (la metà di 277 mila). Di questi, un quarto lavorerebbero comunque se i negozi rimanessero aperti il 25 per cento del tempo. Ciò significa che il limite massimo di riduzione di posti di lavoro è di circa 100 mila. Ovviamente, molti di questi addetti verrebbero riutilizzati nei giorni feriali: se la gente compra meno la domenica e più il sabato, ci vorranno più addetti alla cassa il sabato. Quale potrebbe essere la quota riallocata è difficile dire. Assumendo che vari da un minimo del 50 per cento a un massimo del 90 per cento, i posti di lavoro persi si collocherebbero fra i 50 mila e i 10 mila.
Consumatori e piccoli esercenti
Passiamo alla seconda categoria di soggetti interessati dall’imposizione della chiusura domenicale. I consumatori sono chiaramente penalizzati dalla scelta del governo. Secondo le fonti citate dalla stampa, 12 milioni di italiani scelgono di fare shopping la domenica e dovrebbero adattarsi a fare i loro acquisti in un giorno della settimana diverso e presumibilmente per loro meno conveniente. Si può immaginare che a soffrirne di più sarebbero le donne lavoratrici: infatti, anche quando impiegata, la donna si fa carico di una quota preponderante del lavoro familiare. Anche questo non facilita l’armonia familiare.
Dal punto di vista degli esercizi, la riforma aiuta i piccoli commercianti – che si avvalgono di minore personale e hanno maggiori difficoltà a garantire l’apertura domenicale – e penalizza la grande distribuzione, che si vede privata della possibilità di fare affari in una giornata in cui molte famiglie sono libere da obblighi lavorativi e più inclini a viaggiare dalle zone urbane a quelle più periferiche – dove i più grandi outlet sono in genere localizzati.
E gli acquisti on line?
Una possibile conseguenza dell’imposizione della chiusura domenicale riguarda un quinto soggetto: i grandi distributori on line, come per esempio Amazon. Benché il governo menzioni che il bando alle attività domenicali dovrebbe estendersi agli acquisti su portali di e-commerce, è difficile immaginare come la restrizione sia realizzabile. In ogni caso, se anche si vietassero le consegne domenicali di quanto comprato on line, come sembra sia nelle intenzioni, non si possono impedire gli acquisti: il tempo oggi dedicato alle compere nei negozi e centri commerciali verrebbe in parte dirottato on line, con consegna il lunedì. Si può perciò immaginare che una frazione dei consumatori che oggi scelgono di destinare parte del loro giorno di riposo allo shopping potranno continuare a farlo semplicemente visitando una pagina web invece che un centro commerciale.
Questo attutirebbe la perdita per ciascun consumatore. Tuttavia, avrebbe ricadute pesanti sui lavoratori della grande distribuzione, anche oltre il limite massimo dei 50 mila addetti calcolato sopra. Per quel calcolo, infatti, avevamo assunto che, dopo l’introduzione del divieto, la spesa domenicale sarebbe stata semplicemente trasferita ad altri giorni della settimana, rimanendo appannaggio dei negozi “fisici”.
L’idea del governo è di beneficiare molto una platea ristretta (dipendenti e piccoli esercenti) a scapito di una piccola perdita individuale di una platea più vasta. Ma data la vastità della platea interessata – milioni di consumatori – anche una piccola perdita per ciascun consumatore può rappresentare un elevato costo collettivo. Il ruolo della politica è di curare gli interessi collettivi. L’impressione è che la strategia generale del governo sottovaluti come il miglioramento delle condizioni di pochi possa avvenire a scapito del benessere dei più.
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Michele
Il provvedimento allo studio da parte del governo è una reazione sbagliata a un problema vero. Il problema vero – sul quale occorre concentrarsi – è quello dei lavoratori. Tutto bene quando esiste uno scambio – volontariamente accettato da entrambe le parti, lavoratori e imprese – minor tempo libero nel weekend in cambio di una maggiore retribuzione. Però è evidente che in realtà le cose non sono così semplici e ben fatte. Le testimonianze di abusi e gli escamotage per realizzarli sono sotto gli occhi di tutti. 20/30 anni di provvedimenti verso la precarizzazione del lavoro hanno lasciato i loro segni. Occorre invertire la rotta, anche bruscamente. Cosa che vale per tutti i settori non solo quello del commercio al dettaglio. Pertanto servirebbero provvedimenti ben più generali che rafforzino il potere contrattuale dei lavoratori e quindi (tra le molte altre conseguenze) il lavoro festivo diventi ben più costoso. A questo punto le poche chiusure domenicali necessarie le decideranno le imprese nell’ambito di un sano contesto concorrenziale. Pertanto alla base di tutto c’è da contrastare l’ideologia che: 1) un lavoro disgraziato sia meglio di nessun lavoro (altrimenti non ci sarebbe limite al peggio) 2) il mercato – specialmente quello del lavoro – sappia regolarsi spontaneamente senza generate pesanti esternalità
Henri Schmit
Sono perfettamente d’accordo. L’argomento è in apparenza esterno al dibattito, in realtà è il suo tallone d’Achille. Per evitare una nuova categoria di sub-sfruttati bisogna regolamentare severamente il LAVORO domenicale, non limitandolo, ma prevedendo una congrua extra-remunerazione e (!) farla rispettare. Solo questa garanzia dissuade il datore da facili abusi, che consistono nell’obbligare i lavoratori a lavorare la domenica contro la loro volontà o peggio concentrare il lavoro domenicale su lavoratori particolarmente deboli. Faccio notare che l’abuso del lavoro supplementare gratuito e domenicale non correttamente remunerato è prassi comune nel settore della distribuzione farmaceutica dei grandi gruppi internazionali operanti nelle regioni settentrionali. Figuriamoci allora le catene di supermercati! L’argomento è d’interesse teorico notevole: senza attenzione al sociale, qua il mondo del lavoro, il teorema liberale diviene insostenibile, potenzialmente oppressivo.
Marinella
Non sono in grado di pronunciarmi sull’argomento. Tuttavia mi ha suggerito un’immagine “suggestiva” . Ho immaginato le famiglie (visto che si deve solo parlare di famiglie) che affollano la domenica i centri commerciali e gli outlet e quelle che affollano i musei in quella tanto discussa prima domenica del mese. Secondo me sono due “popolazioni” così distinte e separate da far riflettere su quale sia ormai la linea rossa che “stratifica” la nostra società. Spero di sbagliarmi.
Stefano
sono il primo a commentare ??? … ma Vi siete letti le riflessioni all’articolo del prof. Ichino ??? … non vorrei che adesso fossero tutte riprese, ribadite, aggiunte, contestate anche qui … taglio corto: vediamola da un altro punto di vista “sta proposta di chiusura domenico/festiva” … ovvero: e se fosse l’intera collettività a beneficiarne, a prescindere dai soggetti coinvolti ??? … spostando il focus dalla “necessità di vendere e comprare sempre” al “vivere serenamente un meritato giorno di riposo” … secondo me, senza entrare in tematiche filosofeggianti”, alla lunga ne gioverebbe parecchio chiunque … anche il nostro sistema nervoso.
Giancarlo Biasini
Scrivete “se anche si vietassero le consegne domenicali di quanto comprato on line”, Non mi è mai successo in tanti anni di ricevere consegne la domenica
Asterix
Qui si continua a pensare che l’occupazione si crea o si distrugge cambiando le regole di un contratto o gli orari di apertura dei negozi. Sono le commesse che creano occupazione. Quindi ripeto vi sono solide basi scientifiche che la domanda di beni e servizi che veniva esercitata dai cittadini la domenica, scompaia? Ci sono solide basi scientifiche per dire che le regole sui CTD ridurranno le vendite delle imprese e quindi le ORE LAVORATE ??
In un negozio vi sono dipendenti addetti alla cassa ed addetti al servizio clienti. Se la domanda di beni esercitata la domenica si concentrerà negli altri giorni (come immaginabile) i negozi avranno bisogno di maggiori cassieri e commessi per quei giorni (salvo creare file oceaniche che, quelle si, faranno perdere clienti).. Si tratterà di redistribuire le ore di lavoro nell’arco della settimana esattamente come con le norme del decreto dignità porteranno ad un maggiore turn over nelle ore lavorate che resteranno le stesse a parità di vendite.. Se fosse vero che la chiusura dei negozi la domenica produrrà un crollo della domanda si dovrebbe dimostrare che la liberalizzazione ha prodotto dal 2011 una crescita dei consumi. Qualcuno obietterà che eravamo in crisi e non sono confrontabili. Giusto, infatti i consumi sono legati ai redditi non alle modalità di spesa.
GerogeOrwel2084
«Si può immaginare che a soffrirne di più sarebbero le donne lavoratrici” e aggiungo “E di conseguenza i mariti, che così, senza più la possibilità di parcheggiare le mogli a fare shopping la domenica pomeriggio, se le ritroverebbero giocoforza in casa, nel bel mezzo del campionato di calcio. Questo, presto o tardi, convincerà le mogli a prender finalmente coraggio ed ad avanzare una richiesta che mai sino ad allora avrebbero mai pensato di poter fare, “Amore, usciamo?'”. La richiesta, timida inizialmente, si farà col tempo sempre più insistente divenendo quasi una pretesa, cui gli uomini più deboli saranno costretti alla fine a cedere. Negli anni. questo si tradurrà in un drastico calo degli abbonamenti payperview, con il collasso del sistema calcio italiano e, quindi, di tutto l’indotto. In buona sostanza, una nuova crisi mondiale dopo quella dei subprime. Ed addio mondiali. Ma non è tutto. Perché le richieste divenute sempre più pressanti delle donne, se avranno l’effetto di far capitolare i più deboli, si tradurranno invece in una nuova ondata di violenza per gli uomini più riottosi ad abbandonare le vecchie abitudini. Molte di quelle donne, che sino a pochi anni prima trascorrevano felici domeniche pomeriggio in centri commerciali a fare shopping, si ritroverebbero così nei reparti di pronto soccorso, ormai sovraffollati ed al collasso! Solo l’industria degli occhiali da sole, scuri, probabilmente ne tratterrebbe vantaggio.Inconclusione, siamoprontiadaffrontaretuttociò?
Riccardo
Il problema è quello dei lavoratori, come detto da Michele.
In questo si è dimostrato che la contrattazione tra lavoratori e datori di lavoro non porta ad un risultato equo, a causa dell’enorme potere contrattuale dei datori di lavoro.
Mentre (per esempio) i medici degli ospedali lavorano per turni, una domenica al mese, succede che molti commessi siano di fatto costretti a lavorare tutti o quasi i giorni festivi.
Mentre i medici hanno un chiaro vantaggio economico nel lavorare la domenica, non è detto che ciò avvenga per i commessi sia perchè pare siano possibili contratti dove si considera la domenica come normale giorno lavorativo sia perchè anche con lo straordinario al 30% il guadagno per il lavoratore è bassissimo a causa della maggiore aliquota marginale.
La soluzione è si un intervento legislativo, che però vieti ad un commesso di lavorare oltre (per esempio) 2 giorni festivi al mese. Tra l’altro un intervento di questo tipo diminuirebbe il numero di ore lavorate per lavoratore (meno straordinari possibili) ma aumenterebbe il numero di lavoratori occupati.
Stefano A.
Segnalo che il settore del commercio è quello a più bassa sindacalizzazione dove ridotte sono le tutele per i lavoratori (non esistono ragazzi che si pagano il college modello USA).. Sugli effetti sull’occupazione si continua ad alimentare paure senza dati concreti. Il calo dell’occupazione può avvenire solo in caso di drastica riduzione dei consumi. Ciò può essere generato da un incremento dell’IVA oppure da un incremento delle imposte sui redditi, difficilmente dalla riduzione degli orari. Questo perché se le vendite semplicemente si redistribuiranno negli altri giorni allora servirà il medesimo personale per gestire la maggiore affluenza (il caos nel negozio quello si che fa perdere clientela). Peraltro se fosse vero un collegamento tra gli orari di vendita ed i consumi allora dal 2011 ad oggi con la liberalizzazione avremmo dovuto aver un boom dei consumi e, purtroppo non mi sembra ci sia stato.
Concordo che bloccare le vendite on line sia difficile salvo vietare le aperture dei magazzini che distribuiscono. Peraltro non esiste un rischio di passaggio alle vendite on line sia perché l’alfabetizzazione informatica in Italia è scarsamente diffusa sia perché per molte persone non si tratta di acquistare, ma di avere un luogo in cui passare la domenica… il centro commerciale è diventato il nostro muretto…il tema è sociologico non economico. L’apertura domenicale ha segnato un attacco contro i diritti del lavoratori, in conformità al pensiero UE..vedere la Grecia per info
Sig. Nessuno
Scusate la domanda un po’ ingenua: perché non imporre a tutti gli esercizi commerciali, a prescindere dalla dimensione, di fare almeno due chiusure domenicali al mese? In questo modo i consumatori avrebbero comunque un 50% di negozi dove poter fare shopping o acquisti più o meno utili, mentre chi in questi negozi lavora avrebbe due domeniche garantite per fare ciò che preferisce (famiglia, gita, ecc). Troppo semplice?
Cicci Capucci
Le famiglie dei dipendenti, liberate dal lavoro domenicale, andranno in gita in Puglia, a Matera.
Filippo Adani
Comprare comprare sempre comprare!deve essere questo il nostro destino?chetristezza,e per arrivare a questo dobbiamo diventare macchine da soldi,costrette a lavorare e correre dal lunedì al venerdì per poi riposarsi nel fine settimana dentro un supermercato?E non venitemi a raccontare che non è possibile fare la spesa dopo il lavoro dato che tanti di questo beneamati supermercati tengono aperto anche fino alle 2100.Ma che razza di società avete in mente?una società composta per la massima parte da beoti ridotti a spendere spendere spendere per dare un senso alla propria vita?che tristezza,così come mi fanno tristezza tutti coloro che non sanno godersi in altro modo il proprio tempo libero.Per non parlare dei contratti capestro con cui tante persone vengono assunte da queste grandi catene,pochi soldi e piccoli extra insignificanti per lavorare anche alla domenica.Mah…
Rino Ruggeri
Un supermercato di 1500 metri di superficie aperto 12 ore la domenica richiede due turni per coprire le postazioni fisse (accoglienza, macelleria, gestione magazzino e allestimento ad esempio) per circa 10 addetti escluse le casse. Se anche facesse zero vendite quel presidio va assicurato ed ecco perchè la chiusura domenicale sottrae lavoro in quanto le postazioni fisse negli altri giorni della settimana sono già presidiate
Savino
Il governo è davvero così vicino alla gente?
Marco Limonta
Oggi le vendite domenicali valgono il 11,4% del totale dei ricavi annuali di ipermercati e supermercati (stima IRI). Siamo sicuri che le chiusure domenicali sposteranno tutti gli acquisti negli altri giorni della settimana? Oppure una parte di questi verranno meno, aggravando l’attuale calo degli acquisti, con ovvie conseguenze negative su tutto il sistema?