La lotta alla burocrazia è uno dei temi centrali dell’esecutivo Conte. Si dovrebbero però evitare gli errori degli ultimi governi. E utilizzare quegli strumenti già presenti nell’ordinamento che possono permettere di realizzare interventi sistematici.
Semplificazioni che diventano aggravi
La lotta alla burocrazia è uno dei temi centrali dell’esecutivo Lega-Movimento 5 stelle. Poiché il tema era stato affrontato anche dagli ultimi governi, giova rammentarne le tappe essenziali, per non perdere traccia del percorso già fatto.
Le politiche di semplificazione degli anni scorsi sono state connotate da un’attività che ha impresso una svolta rispetto al passato: la preventiva misurazione degli oneri “burocratici” in materie individuate, al fine di definire a priori quelli più gravosi su cui intervenire e di stimare a posteriori la loro effettiva riduzione e quindi l’efficacia dell’intervento. Dunque, si è proceduto con una sistematica integrazione fra programmi di riduzione degli oneri e azioni di semplificazione. Nel 2007, con il Piano di azione per la semplificazione e la qualità della regolazione è stato recepito l’impegno assunto con la Commissione europea di diminuire del 25 per cento, entro il 2012, gli oneri derivanti da obblighi informativi, misurati secondo lo “standard cost model”, specificamente per le imprese. La relativa procedura è stata dettata dalla legge “taglia-oneri” (legge n. 112/2008), che ha previsto un programma di misurazione (2007-2012) e piani di riduzione. Successivamente, sempre in vista del taglio del 25 per cento, è stato varato il Piano per la semplificazione amministrativa 2010-2012; e nel 2012 (decreto legge n. 5), in conformità a indirizzi UE, il Programma 2012-2015 per la misurazione e la riduzione dei tempi dei procedimenti amministrativi e degli oneri regolatori (adottato con Dpcm. 28 maggio 2014) che – partendo dai risultati degli interventi già fatti e usando gli stessi criteri – ha ampliato l’ambito dei “tagli”. Il programma è stato poi integrato con l’Agenda per la semplificazione 2015-2017, aggiornata nel dicembre 2017 con l’Agenda 2018-2020.
Gli strumenti già a disposizione
In tema di burocrazia, il nuovo governo farà bene a considerare ciò che talora ha depotenziato l’azione di quelli precedenti e che può essere così sintetizzato: “spesso, per una misura di semplificazione attuata (e resa effettiva), ve ne sono altrettante (e spesso anche di più) che introducono nuovi adempimenti che possono porre (e spesso pongono) a rischio il mantenimento di risultati raggiunti con precedenti interventi di semplificazione”.
Per evitare questo rischio e incidere sugli oneri burocratici in modo sistematico non serve elaborare nuove soluzioni: l’esecutivo dispone di strumenti già presenti nell’ordinamento, ma finora scarsamente usati, che possono dimostrarsi efficaci per alleggerire gli aggravi regolatori. Va ricordato, innanzitutto, il “regulatory budget” (legge n. 180/2011): atti normativi e provvedimenti amministrativi generali non possono introdurre nuovi oneri senza ridurne o eliminarne altri, per un pari importo stimato (secondo misurazioni in base a linee guida) con riferimento al medesimo arco temporale (one-in-one-out); e se il “pareggio del bilancio” non viene raggiunto, il governo provvede con i “tagli” necessari. Lo strumento è funzionale a non accrescere il “peso della burocrazia”, e altrove viene utilizzato anche per ridurla, non consentendo l’introduzione di un nuovo onere se non ne siano soppressi due o addirittura tre (one-in-two-out o one-in-three-out): tuttavia, esso è, “allo stato, totalmente inattuato”. L’ultima relazione del dipartimento della Funzione pubblica (Dfp) spiega che il meccanismo non funziona, tra l’altro, perché i ministeri vi si sono adeguati in misura molto ridotta; perché spesso l’attuazione di norme richiede provvedimenti emanati in più anni e, specie se questi ultimi sono atti di soft law, i nuovi adempimenti possono sfuggire alla quantificazione nel budget; perché sono esclusi dal “bilancio” gli oneri inerenti alla materia fiscale e creditizia, cioè i più gravosi.
L’ordinamento prevede un ulteriore meccanismo, teso a prevenire l’introduzione di oneri ridondanti o sproporzionati: prima di emanare nuove disposizioni, il governo e altri regolatori devono rendere conto dei relativi impatti (Air) anche con riguardo agli oneri introdotti o eliminati (legge 246/2005). Pure questo meccanismo, come quello sopra descritto, è stato finora poco e male utilizzato, come rileva tra gli altri il Consiglio di stato.
Infine, un altro strumento già esistente per scoraggiare l’imposizione di oneri eccessivi è l’obbligo della loro conoscenza pubblica (legge n. 180/2011): regolamenti e atti a valenza generale delle amministrazioni dello stato devono recare in allegato l’elenco degli oneri introdotti o eliminati ed essere pubblicati nei siti istituzionali (oltre che, ove previsto, nella Gazzetta ufficiale). Tuttavia, anche questo è un rimedio poco usato, come dimostra il fatto che lo scorso anno solo il 27,3 per cento dei provvedimenti che modificavano carichi burocratici sia stato corredato dai relativi elenchi (v. l’ultima relazione del Dfp): e di certo non ha giovato alla sua efficacia deterrente l’assenza di sanzioni efficaci per gli inadempienti.
Servirebbe valorizzare e rendere effettivi tutti questi strumenti, per evitare che l’attivismo normativo, caratteristica di ogni nuovo governo, si traduca in burocrazia ulteriore. Per un esecutivo che si definisce “di cambiamento”, sarebbe un atto utile a dare un senso a quella definizione.
*Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono l’istituzione per cui lavora.
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Savino
Il problema non è procedurale, ma di persone. Ciò che è, nella stragrande maggioranza dei casi, sbagliato nella p.a. fa diretto riferimento e responsabilità alla infedeltà, alla incompetenza ed alla inefficienza delle persone che ne fanno parte.
Avrebbe detto Bartali: “è tutto da rifare”. Gli unici provvedimenti da prendere sono quelli che vanno verso un rapido ricambio generazionale e di mentalità. Togliere i profittatori sepolcri imbiancati e far entrare un pò di aria nuova di giovani con titoli di studio e competenza che fino ad ora hanno visto solo le sofferenze di disoccupazione e precarietà e le umiliazioni dei gesti dell’ombrello di chi si era messo al sicuro con le solite scorciatoie.
Lorenzo
Fra i tanti, bastano solo quatttro caratteri: DURC.
A cosa è servito e a cosa servira?
Ricardo_D
Temo che il commento di ‘Savino’ sia assolutamente centrato. E’ vero che gli strumenti esistono, ma se non vengono usati è anche perchè non c’è sufficiente pressione (politica? dirigenziale?) affinchè questi siano parte della valutazione dei risultati in molte strutture pubbliche. Ho vissuto in altri due paesi europei del centro e nord Europa e per quanto nulla sia perfetto, due cose mi hanno colpito: 1. gli strumenti e le regole sono messi a disposizione tenendo conto del cittadino/impressa come soggetto che ne usufruisce e questo facilita l’accesso e (soprattutto) 2. uno spirito di servizio volto ad aiutare l’utenza a risolvere la questione. Questo purtroppo un atteggiamento che in Italia ho trovato raramente. Auguro il meglio ma non sono sicuro che implementare gli strumenti citati nell’articolo sarà sufficiente.
bob
prof.ssa lei è troppo intelligente per non capire che eliminare la burocrazia vorrebbe dire licenziare il 50% dei dipendenti pubblici statali ma soprattutto regionali. Il nostro è un “Paese” creativo e la burocrazia un suo fiore all’occhiello. I 5-6 livelli di potere tra Stato per finire alle circoscrizioni non sono burocrazia creativa? Le leggi concorrenti ( cosa sono?) tra Stato e Regioni non sono burocrazia creativa? Nell’ era dei computer far partire un impiegato alle 6 di mattina dai Castelli Romani per andare a fare un certificato all’ufficio al centro di Roma non è burocrazia creativa? Poniamoci un altra domanda: durerà? io credo e spero di no!