Puntare a un riscaldamento del pianeta di “solo” 1,5 gradi permetterebbe di salvare una parte della barriera corallina e di contenere l’innalzamento dei mari. In termini economici il costo sarebbe altissimo. Ma forse lo sarebbero anche i benefici.
Un rapporto speciale
Curiosa e interessante la coincidenza per la quale il giorno precedente all’attribuzione del Nobel al primo economista del clima, William Nordhaus, l’Ipcc – organo tecnico intergovernativo incaricato di tenere conto dei progressi della scienza in tema di cambiamenti climatici – ha dato alle stampe il suo ultimo prodotto. Si tratta del rapporto speciale sul “Riscaldamento globale di 1,5°C”: è speciale perché non è parte della serie degli Assessment Reports – il prossimo uscirà nel 2022 – che all’incirca ogni cinque anni fanno il punto del nostro sapere sul tema dei cambiamenti del clima.
L’Ipcc produce occasionalmente rapporti di questo tipo, ma quello in questione è speciale anche per un’altra ragione: è il primo a essere stato esplicitamente “commissionato” dalle parti negoziali dell’Unfccc (la convenzione Onu sui cambiamenti climatici firmata a Rio nel 1992), come previsto e concordato nell’ambito di quel Talanoa dialogue che è stato la principale novità e il maggior risultato di Cop23/Bonn. Si tratta di un dialogo “facilitativo” che dovrebbe portare i paesi a rilanciare ed incrementare l’ambizione dei propri contributi determinati a livello nazionale (Ndc), che sono il nocciolo dell’Accordo di Parigi. Consiste in una fase preparatoria con apporti di diversi portatori di interesse, sia statali che non-statali, e basata per l’appunto anche sui contributi dell’appena pubblicato Special Report dell’Ipcc su 1,5°C. Questa fase è poi destinata a sfociare in quella politica della Cop24 di Katowice (Polonia), in calendario dal 3 al 14 dicembre prossimo.
Il carbon budget
Ma cosa dice il rapporto? Il concetto chiave da cui partire è carbon budget, concetto oggi molto in voga tra gli esperti. Immaginiamo di avere uno stock di emissioni che l’umanità può produrre a partire dalla rivoluzione industriale fino ad arrivare a un riscaldamento del pianeta di +1,5°C. Fino a oggi la temperatura è cresciuta di 1°C. Ai ritmi emissivi attuali quando avremo esaurito il carbon budget? Difficile dare un data precisa, ma è molto probabile che sarà già stato esaurito quando, nel 2023, il sesto Assessment Report “ordinario” vedrà la luce. A meno che…
Già oggi si vedono gli effetti dei cambiamenti del clima, soprattutto a danno delle popolazioni più vulnerabili: basti pensare alla maggiore gravità degli uragani e alla siccità, alla perdita di ghiaccio artico e alla riduzione della barriera corallina, alle ondate di calore, al calo della resa dei raccolti agricoli, all’innalzamento del livello del mare. Tutti fenomeni di cui noi, alle nostre latitudini, ci accorgiamo ancora in misura limitata. Il rapporto ci dice cosa succederebbe e cosa eviteremmo se riuscissimo a contenere l’aumento della temperatura. Per esempio, entro il 2100 l’innalzamento del livello del mare su scala globale sarebbe più basso di 10 cm con un +1,5°C rispetto a +2°C. Con +1,5°C la probabilità che il Mar Glaciale Artico rimanga in estate senza ghiaccio marino sarebbe una in un secolo, mentre sarebbe di almeno una ogni decennio con un riscaldamento globale di +2°C. Con un riscaldamento globale di +1,5°C, le barriere coralline diminuirebbero del 70-90 per cento, mentre con +2°C se ne perderebbe praticamente la totalità (più del 99 per cento). E via discorrendo.
Per ottenere o evitare tutto ciò, le emissioni di CO2 nette globali dovrebbero diminuire del 45 per cento entro il 2030, rispetto al 2010, e azzerarsi entro il 2050, anche con il ricorso a tecnologie di rimozione della CO2 esistente – essenzialmente forestazione massiccia e introduzione di tecniche che letteralmente risucchiano la CO2 dall’atmosfera. Uno sforzo immane, insomma, e con costi proibitivi.
Il co-presidente del terzo gruppo di lavoro dell’Ipcc ha dichiarato che “limitare il riscaldamento a 1,5°C è possibile per le leggi della chimica e della fisica, ma richiederebbe cambiamenti senza precedenti”. Soprattutto, forse, non è possibile per le leggi dell’economia e della politica. Un noto economista del clima, Richard Tol dell’Università del Sussex, molto rispettato e assai poco tenero con l’Ipcc e i risultati dei suoi Assessment Reports, dichiara che l’obiettivo +1,5°C non è semplicemente fattibile (not feasible). Il costo degli investimenti nel solo settore energetico sarebbe di 1,6-3,8 trilioni di dollari all’anno fino al 2050, pari a un valore cumulato di 51,2-122 trilioni di dollari.
Il conferimento, negli stessi giorni, del premio Nobel a un economista che si è occupato di analizzare le interazioni tra sistema climatico e sistema economico ci ricorda tuttavia quanto sia cruciale la valutazione economica non solo dei costi della mitigazione, ma anche – e soprattutto – dei suoi benefici per il futuro del pianeta, dell’economia e della società.
Lavoce è di tutti: sostienila!
Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!
raffaele Principe
Per alcuni aspetti è surreale la discussione sui costi economici per bloccare l’emissione di CO2 nell’atmosfera. E come calcolare quanto costa un treno in corsa su un binario che fra qualche chilometro finisce nel baratro.
La vera discussione è: chi non deve emettere il CO2 nell’atmosfera? Se ci fosse un accordo globale il problema sarebbe risolto. Nessuno sarebbe autorizzato a farlo. Così come nessuno è autorizzato a praticare la schiavitù, a prescindere dai costi. Anzi i conti si fanno a partire da questi paletti.