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La manovra italiana, un caso di espansione fiscale restrittiva?*

Gli effetti generalmente espansivi della manovra bocciata dalla Ue verrebbero prevedibilmente annullati dall’impennata nei tassi di interesse. Anche ipotizzando un moltiplicatore particolarmente generoso.

Il governo italiano si trova in una situazione di stallo con la Commissione Europea sulla sua prima bozza di bilancio. Invece di ridurre il disavanzo, come promesso dal governo precedente, il nuovo esecutivo intende aumentarlo in maniera rilevante. Siccome il debito italiano è molto alto – oltre il 130 percento del Pil – la proposta di bilancio viola le regole fiscali dell’Unione Europea. La Commissione ha annunciato che la proposta non può essere accettata, mentre il governo è rimasto inamovibile. Esperti e mercati sono ora attenti a come questo confronto potrebbe evolversi.

Politica restrittiva e crescita

C’è però un’altra questione ugualmente importante, cioè se la proposta di bilancio possa davvero supportare l’economia italiana, come sperato e sostenuto dal governo. Noi temiamo di no. Anzi, è molto più probabile che le politiche proposte abbiano l’effetto contrario.

Per spiegare il perché, è utile ricordare uno dei più accesi dibattiti avvenuti durante la crisi dell’Eurozona: quali sono gli effetti della politica fiscale in paesi con un alto debito pubblico? Ci sono determinate circostanze in cui una politica fiscale restrittiva supporta la crescita? Viceversa, può una politica fiscale espansiva ridurre il Pil?

Quando la crisi del debito si trovava al suo apice, molti politici ed economisti sostenevano che un deciso aggiustamento fiscale fosse necessario e che ciò avrebbe presumibilmente stabilizzato il prodotto. Secondo questa tesi, l’aumento della fiducia riguardante il pagamento da parte degli stati dei loro debiti avrebbe diminuito il costo del debito, rendendo i prestiti più economici. Questa rinnovata fiducia e un credito accessibile a condizioni più convenienti avrebbero compensato l’impatto negativo della stretta fiscale. Spinto dalla Banca centrale europea e dagli altri partner europei, nel 2012 il governo italiano ha ristretto la sua politica fiscale di oltre il 3 per cento del Pil. La visione opposta prevedeva che un aumento del disavanzo venisse consentito durante una recessione, fintanto che l’economia non avesse ricominciato a crescere. Il costo del debito, se fosse aumentato, sarebbe stato controllato in altri modi, tramite ad esempio l’intervento della Bce o del Meccanismo europeo di stabilità (Esm).

A nostro parere, l’evidenza è a favore della seconda posizione. La produzione in Italia è scesa quasi del 2 per cento nel 2013, nonostante i differenziali sui prestiti avessero effettivamente cominciato a scendere nel 2012, anche grazie al “whatever it takes” di Mario Draghi e al successivo annuncio del programma di Outright monetary transactions (Omt) da parte della Bce. E sebbene gli economisti non siano ancora d’accordo sul fatto che l’austerità abbia scoraggiato ancor più la produzione durante la crisi dell’euro, concordano sulla direzione dell’effetto. Nonostante “strette fiscali espansive” e “espansioni fiscali restrittive” siano teoricamente possibili, una politica fiscale espansiva generalmente aumenta la produzione e una restrittiva la rallenta – anche in paesi con un alto debito pubblico.

Cosa succede con l’aumento dei tassi

Ci possono comunque essere delle eccezioni. E ciò che sta accadendo in Italia potrebbe tranquillamente essere una di queste. Il motivo risiede nel fatto che l’aumento dei tassi di interesse sul debito, in risposta alle politiche espansive del governo, è stato particolarmente accentuato. Diversi fattori potrebbero interagire, compresi non solo il disavanzo più elevato ma anche il conseguente sprezzo delle regole europee e la composizione della proposta di bilancio, che non supporta la crescita di lungo periodo. Forse i mercati stanno reagendo in maniera ingiusta, ma ciò è irrilevante per valutare l’impatto della manovra bilancio sulla produzione. La domanda è quindi se l’effetto diretto della politica fiscale espansiva possa essere compensato, o persino rovesciato, dall’aumento dei tassi di interesse.

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È quindi utile cercare di mettere alcuni numeri per quantificare la possibile portata dei due effetti. Cominciamo dallo stimolo fiscale. I piani del governo prevedono un aumento del disavanzo (corretto per il ciclo) pari allo 0,8 per cento del Pil, di cui lo 0,1 è dovuto a un aumento della spesa per interessi — che andrebbe normalmente sottratto poiché non è il genere di spesa che stimola l’economia. In Italia però la maggior parte del debito è detenuto da creditori domestici. Prendiamo quindi lo 0,8 per cento come effettiva misura della manovra. C’è una grande incertezza su quali “moltiplicatori” debbano essere utilizzati per stimare come questa espansione possa riflettersi sul prodotto. Basandoci sull’evidenza empirica attuale, riteniamo che — dato un certo tasso d’interesse e per uno stato con ancora un elevato output gap — il moltiplicatore si attesti attorno ad 1 (forse poco più). Per concedere al governo il beneficio del dubbio, prendiamo un moltiplicatore di 1,5. Di conseguenza, ci si aspetterebbe un aumento del prodotto dell’1,5×0,8=1,2 per cento a causa dello stimolo fiscale.

Passiamo ora all’altra faccia della medaglia, l’aumento dei tassi di interesse. A partire da metà aprile, i rendimenti dei titoli italiani sono cresciuti di circa 160 punti base. Ciò si è verificato in due fasi: in maggio — quando la squadra e il programma della coalizione di governo si stavano delineando —  e a fine luglio, quando hanno iniziato a diffondersi le notizie sui contenuti della manovra. La proposta di bilancio dell’esecutivo riconosce questo aumento, ma lo tratta come esogeno, sottintendendo che l’Italia avrebbe fatto fronte a dei tassi di interesse più elevati anche se il governo si fosse attenuto al percorso di consolidamento fiscale annunciato dai suoi predecessori. Ciò non ha senso: l’aumento dei tassi di interesse è una reazione derivante dalle politiche descritte nella proposta di bilancio. A essere onesti, la crescita dei rendimenti riflette un insieme più vasto di preoccupazioni, tra cui le i dubbi sulla volontà del governo di restare all’interno dell’Eurozona. A ottobre i leader della coalizione a Roma hanno comunque ripetutamente ribadito il loro desiderio di rimanere nell’euro, e al momento le tensioni tra Italia e Unione Europea riguardano principalmente la proposta di bilancio.

Abbassamento del rating e borsa giù

Quali saranno gli effetti sull’economia italiana di questo aumento dei tassi sui titoli di stato? Dipende da come ne saranno colpiti consumatori e imprese. L’evidenza empirica, basata sull’esperienza italiana presente e passata, mostra che i tassi sui titoli di stato, sul finanziamento del sistema bancario e sui prestiti offerti dalle banche stesse, si muovono all’unisono. In Italia, i tassi sui nuovi prestiti sono in crescita da maggio. L’indagine di ottobre sui prestiti bancari condotta dalla Bce mostra come le banche italiane abbiano ristretto il credito maggiormente rispetto alle banche in altri paesi dell’eurozona. L’Italia ha subito un abbassamento del suo rating e potrebbe subirne un altro, e la borsa italiana ha perso il 25 per cento del suo valore. Anche i differenziali sui Credit default swap (Cds) delle banche sono aumentati notevolmente, una ripercussione delle perdite sui titoli di stato e, più in generale, dell’incertezza riguardante il futuro. Ciò suggerisce un possibile ulteriore restringimento del credito. Anche gli indicatori dell’incertezza basati sulle notizie sono cresciuti e ciò può scoraggiare gli investimenti anche più dell’aumento del costo del capitale.

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Ci si dovrebbe quindi aspettare che l’aumento dei tassi a cui il governo prende a prestito abbia un effetto rilevante sul Pil, per le stesse ragioni per cui l’aumento repentino dei tassi sui titoli di stato nel 2011 contribuì alla recessione del 2012-13 — e a causa degli stessi motivi per cui l’Omt aiutò la ripresa italiana. Ma di quanto? L’effetto dei tassi di interesse sull’attività economica è una delle questioni più studiate nella macroeconomia. La letteratura suggerisce che l’effetto medio di un aumento dei tassi di interesse a lungo termine sul prodotto è di circa 1 a 1 – un aumento di 100 punti base nei tassi a lungo produce una diminuzione dell’1 per cento nella domanda e nel prodotto – anche se, ripetiamo, ci sono notevoli differenze a seconda delle circostanze. Recenti stime degli effetti dell’Omt indicano numeri leggermente più bassi per l’Italia, attorno a una contrazione dello 0.8 per cento per ogni aumento di 100 punti base nei tassi dei titoli di stato.

Gli alti rischi di questa manovra

Sommando gli effetti del moltiplicatore fiscale e la contrazione dovuta ai tassi di interesse – e fornendo una stima generosa del moltiplicatore e conservativa delle conseguenze dell’aumento del tasso di interesse – la matematica suggerisce che l’effetto totale sulla crescita sarebbe dello 0,8×1,5 – 0,8×1,6 ≈ -0,1. Sebbene l’incertezza relativa a questo numero sia alta, il rischio è concentrato verso il basso. Ciò significa che l’espansione fiscale annunciata molto probabilmente non riuscirà ad aumentare la crescita – e potrebbe persino ridurla. Il disavanzo diventerebbe ancora più grande del previsto. I sostenitori del governo rimarrebbero insoddisfatti. Il governo potrebbe tenere il punto, e gli investitori fuggirebbero, causando una seria crisi.

È anche possibile che ci sia una fuga dal debito italiano ancor prima dell’effettiva implementazione della manovra. Mentre se gli spread restassero elevati ma stabili nei prossimi mesi, ci sarebbe una nuova sfida in attesa: la sfida a superare il rallentamento della crescita i cui semi sarebbero stati piantati dalla manovra espansiva di quest’anno. Questa, più della prospettiva di uno stallo perpetuo con la Commissione Europea, è la reale minaccia per l’Italia nei prossimi due anni.

*L’articolo originale in inglese “The Italian Budget: A Case of Contractionary Fiscal Expansion?” è pubblicato sul sito Piie-Peterson Institute for International Economics

Traduzione di Federico Seibold

 

“The Italian Budget: A Case of Contractionary Fiscal Expansion?” by Olivier Blanchard and Jeromin Zettelmeyer. Published by the Peterson Institute for International Economics, October 25, 2018. Reprinted with permission. www.piie.com.

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17 commenti

  1. Savino

    Una manovra fatta da chi un libro di economia non l’ha mai letto e da chi ha pensato bene di mettersi a fare politica anziché trovarsi un lavoro. Gli italiani si pentiranno delle loro scelte e di essere andati dietro solo a chi passa le giornate a fare selfie e dirette facebook denigrando addirittura Draghi.

  2. marco molgora

    Articolo ben argomentato, legato ai dati, senza pregiudizi per le politiche espansive, e quindi l’obiettivo macroeconomico dichiarato del governo.
    La domanda è: il governo che guida le attuali politiche macroeconomiche, lo leggerà mai questo articolo?
    Sarebbero in grado di capirne il significato, e di rispondere in modo costruttivo ed argomentato, cioè senza slogan? Anzi credo siano gli stessi slogan, che procurano in parte l’aumento dei tassi di interesse, causando l’effetto deflattivo.
    Quindi il dubbio: sbagliano strumenti senza capire, o sono scelte volontarie e per quali fini?
    La crescita è legata sempre nel medio periodo all’aumento di produttività del sistema economico e delle imprese? Quale politiche per la crescita della produttivià si vedono in questa politica macroeconomica?

  3. Aldo Di Fabrizio

    E’ possibile sapere il modello econometrico utilizzato per le stime da parte degli autori? Ottimo articolo!

  4. Aldo Di Fabrizio

    Vorrei sapere se è possibile quale modello econometria è stato utilizzato per arrivare ai risultati presentati nell’articolo

    • Massimo GIANNINI

      Ottima analisi ? Peccato che scrivono castronerie del tipo “l’aumento dei tassi di interesse è una reazione derivante dalle politiche descritte nella proposta di bilancio” e “l’effetto medio di un aumento dei tassi di interesse a lungo termine sul prodotto è di circa 1 a 1”. Infatti nel primo caso la correlazione non è stabilita (i tassi sono aumentati in tutto il mondo e in Europa a causa della fine imminente del QE della BCE). Nel secondo caso l’effetto medio, traslativo, di un aumento dei tassi sui titoli lunghi o sul credito non è certo immediato. Infatti la durata finanziaria del debito è di circa 7 anni, quindi prima che lo spread (calcolato sul decennale) si rifletta in un aumento del costo del debito ce ne vuole. Lo stesso per il credito alle imprese o ai privati, i tempi di traslazione sul costo del denaro non sono né immediati né 1 a 1 , né è detto che dipendano dalle politiche economiche fiscali del governo.

    • Massimo GIANNINI

      Non c’è: dati e correlazioni sono inventati.

      • Henri Schmit

        La prima correlazione fra annuncio di un certo programma fiscale ed evoluzione dello spread è (invece) evidente, incontestabile. Sulla seconda correlazione il commentatore confonde il rapporto fra aumento spread e minor crescita (discusso nell’articolo e stimato 1:1) e il rapporto fra aumento spread e maggior costo del debito pubblico. La superficialità squalifica l’intero commento.

      • marco molgora

        PUNTO 1: “A partire da metà aprile, i rendimenti (forse si sarebbe dovuto dire i differenziali) dei titoli italiani sono cresciuti di circa 160 punti base. Ciò si è verificato in 2 fasi: in maggio — quando la squadra e il programma della coalizione di governo si stavano delineando — e a fine luglio, quando hanno iniziato a diffondersi le notizie sui contenuti della manovra.”
        Per cui se ne deduce, sul piano logico che: “L’aumento dei tassi di interesse (in Italia) è una reazione derivante dalle politiche descritte nella proposta di bilancio… la crescita dei rendimenti riflette un insieme più vasto di preoccupazioni, tra cui le i dubbi sulla volontà del governo di restare all’interno dell’Eurozona”. L’autore è sempre stato prudente nelle stime degli effetti delle variabili su parte reale e finanziaria.
        PUNTO 2° L’effetto di tali aumenti dei tassi sul costo del debito è legata alla durata finanziaria del debito. Ma l’effetto sull’economia reale è legato al costo del debito bancario per finanziare il circolante e gli investimenti, ed al cambiare delle aspettative (la fiducia imprese e consumatori o gli “animal spirit”).
        Il paradosso logico, passati in pochi anni dai governi “cultori” del rigore finanziario in grado da solo di produrre la crescita economica, ai “cultori” della spesa corrente in deficit capace di creare sviluppo senza guardare la composizione della spesa ed ai suoi effetti sui tassi di interesse.
        Limiti “ideologici” nelle relazioni fra parte monetaria e reale!

  5. Henri Schmit

    Si, ottima analisi, ma il mondo, internet, abbonda di giudizi seri come questo, solo che in questo paese sono soverchiati da coloro che gridano più forte o hanno più spazio nei media.

  6. Francesco

    Sarà interessante vedere se Blanchard tratterà questo tema anche nel dibattito che terrà con Emiliano Brancaccio a dicembre, in Fondazione Feltrinelli. Nemmeno Brancaccio è tenero con questo governo ma forse la sua proposta di policy sarà diversa.

  7. enzo di giangirolamo

    Non credo che Paolo Savona e Tria non abbiano mai letto un libro di economia. Piuttosto è la Bce che non svolge appieno le funzioni di Banca centrale perché non sostiene selettivamente, con l’acquisto dei titoli di stato in modo da evitare l’aumento dello spread e quindi degli interessi sul debito pubblico, i paesi che politicamente vogliono attuare politiche economiche espansive.
    L’europa persegue la stabilità finanziaria mediante la ferrea austerità e non con politiche economiche di disavanzo. Ciò non va bene per l’Italia (gli elettori lo hanno rimarcato) in quanto negli ultimi sei anni i poveri assoluti sono diventati 5/6 mln e gli indigenti circa 4 mln, il debito pubblico è aumentato di circa 200 mld di euro, la ripresa economica non è stata significativa (siamo l’ultimo paese in europa) l’occupazione stabile è diminuita e quella precaria aumenta solo da aprile ad agosto (lavori stagionali) per poi scomparire

    • Luigi

      Il probema non è rappresentato da Savona e Tria, che non sono politici, ma dal resto della “squadra”.
      Quando da Bruxelles o da Francoforte ci si muove un appunto, è come se in un consesso ci si dicesse: “attenzione, mi pare abbiate messo il bicchiere troppo sul bordo del tavolo, potrebbe cadere.”
      Le risposte di Tria, ma anche di Savona, sono sempre state nel merito, ovvero: “il bicchiere non cadrà per questo, questo e quest’altro”.
      Poi c’è però Salvini, che nella sua perenne campagna elettorale non si lascia sfuggire l’occasione di raccattere due voti con uscite a sogan per la casalinga di Voghera, tipo: “L’Europa se ne farà una ragione!”
      Se ci pensa, non è una risposta, è una rinuncia a rispondere, ovvero nol merito non dice nulla, però vale come: “che il bicchiere cada, non è problema mio”. E lo spred, di conseguenza, altro che cadere, vola. Ma solo a causa di un’uscita insulsa di un ministro incompetente nello specifico, che ha sempre selve di microfoni scodinzolanti pronti a cogliere, e quindi riportare sugli schermi, ogni esternazione, pertinente o meno che sia.
      Osserviamo criticamente alcuni fuori dall’Italia, anche se su quelli non possiamo farci nulla, ma non trascuriamo l’atteggiamento dei nostri che, volendo parlare sempre e troppo, alla pancia dei loro elettori, finiscono per causare danni enormi, ed assolutamente evitabili.

    • UgoF.

      In realtà, dopo la recessione del 2011 e per scongiurare ulteriori contagi come quello Greco é stato implementato il cosiddetto “bazooka” che permette alla BCE di acquistare titoli illimitatamente per ridurre lo spread degli Stati target.

      • Luciano PF

        Illimitatamente non direi, gli acquisti complessivi hanno un tetto mensile, attualmente di 15md, sono modulati automaticamente. L’obiettivo non è quello di aiutare gli Stati in difficoltà, anzi è escluso nella maniera più assoluta. basta approfondire un po’ le cose.

        • Carluccio Bianchi

          Non bisogna confondere le OMT (peraltro mai attuate), che non hanno alcun limite di acquisto rispetto ai titoli di un Paese membro in difficoltà, purché quest’ultimo accetti un piano concordato di aiuto con l’ESM, con il QE, che invece prevede un limite mensile agli acquisti di titoli di Stato, con quote proporzionali alla partecipazione al capitale della BCE (Italia 11,8%).

  8. Luca

    l’ex capo del FMI per il sud europa Ashoka Mody scrive che Blanchard stranamente non tiene conto del lavoro di altri colleghi del FMI. Oddly, they do not refer to work by Daniel Leigh and IMF colleagues, who conclude there is no evidence of expansionary fiscal austerity. Leigh also coauthored with @ojblanchard1, concluding that fiscal austerity can cause severe loss in output. In their latest, Leigh et al. find that even for countries with high sovereign risk, the premise has to be: a 1% fiscal consolidation will lead to a 1% contraction of GDP.
    Also, without accompanying interest rates cuts and currency depreciation, austerity will hurt even more.Put simply, since Italy cannot expect monetary easing, fiscal austerity–far from raising output–could cause a sharp output fall and raise the debt burden. Expecting that, markets will demand higher interest rates if there is fiscal austerity. Especially now, when Italian GDP has stopped growing and unemployment is rising–and since the declining pace of global trade will heighten an Italian recession risk–austerity could set Italy into a downward economic spiral. …. Is this a risk worth taking?

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