Lavoce.info

Equal pay day: per le donne due mesi di lavoro senza paga

L’Eu Equal pay day ci ricorda che dal 3 novembre e fino al 31 dicembre è come se le donne europee lavorassero gratis, rispetto ai colleghi maschi. In Italia si aggiunge il problema della scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro.

Differenziali salariali in Europa e in Italia

Il differenziale salariale medio tra uomini e donne nei paesi europei è pari al 16,2 per cento. Per questa ragione, sabato 3 novembre è il cosiddetto “EU Equal pay day”, una giornata simbolica che segna la data a partire dalla quale è come se le donne “smettessero” di essere remunerate per il loro lavoro, con il 16 per cento dell’anno (58 giorni) ancora da trascorrere. L’individuazione di questa giornata dipende dall’anno preso in considerazione, a seconda del differenziale salariale registrato. È perciò significativo che anche nel 2018 l’Equal pay day cada il 3 novembre come lo scorso anno, senza alcun segno di miglioramento.

In Italia l’Equal pay day sarebbe più in là nell’anno, intorno al 12 dicembre. Il divario salariale tra uomini e donne italiani ammonta infatti al 5,3 per cento, il secondo valore più basso tra i paesi dell’Unione Europea.

Una buona notizia? Non esattamente. Il dato italiano maschera infatti una situazione di significativo svantaggio delle donne rispetto agli uomini nel mercato del lavoro. Anzitutto, l’Italia registra uno tra i maggiori differenziali nella partecipazione al mercato del lavoro tra uomini e donne, con un valore pari al 19,8 per cento contro una media europea di 11,5 per cento. Sono in particolare le donne con bassi livelli di istruzione e bassi salari potenziali a rimanere fuori dal mercato del lavoro, riducendo il gap salariale italiano rispetto a quello osservato negli altri paesi europei. Inoltre, il risultato per l’Italia è caratterizzato da una notevole eterogeneità tra settore pubblico e privato. Infatti, nel settore privato il differenziale di genere è pari al 17,9 per cento, un valore in linea con gli altri paesi europei, contro il 4,4 per cento del settore pubblico.

Un divario che cresce con l’età

Le statistiche rappresentano dati grezzi, ossia non tengono conto delle differenze nelle caratteristiche individuali dei lavoratori e delle imprese che li impiegano. È tuttavia importante tenere conto di questi elementi per capire cosa determini l’apertura e la persistenza del divario salariale e per individuare misure adatte a contenerlo.

Utilizzando un campione dei dati Inps sulle storie lavorative e contributive dei lavoratori italiani nel settore privato cerchiamo di analizzare l’evoluzione delle disuguaglianze salariali di genere lungo la vita lavorativa. Focalizzandosi sul periodo 1985-2012 per i lavoratori a tempo pieno nati tra il 1960 e il 1970, la figura 1 mostra l’evoluzione dei salari medi lordi maschili e femminili tra i 25 e 50 anni di età (asse di sinistra) e il relativo differenziale salariale (asse di destra). La figura mostra come quest’ultimo passi dal 9 per cento a 25 anni a circa il 18 per cento a 50 anni e rivela due fatti importanti. Il primo è che le donne in Italia pagano una penalità rispetto ai colleghi maschi già dall’ingresso nel mercato del lavoro. Può essere la conseguenza di una “segregazione” in occupazioni o imprese meno remunerative, un fenomeno che abbiamo già documentato. Il secondo è che il differenziale tende ad aumentare nel corso degli anni per via di una diversa traiettoria nella crescita dei salari maschili e femminili. La figura 2 mostra infatti che, eccetto che per gli esordi della vita lavorativa, la crescita salariale maschile è più accentuata di quella femminile, determinando un ampliamento del divario salariale di genere medio.

Leggi anche:  Abuso economico, una violenza di genere

Figura 1 – Salari lordi medi giornalieri (euro, asse di sinistra) in termini reali e differenziale salariale di genere (percentuale, asse di sinistra) lungo la vita lavorativa

Figura 2 – Crescita salariale di uomini e donne tra 25 e 50 anni

Le tre componenti

Cosa determina questa diversa crescita nei salari di uomini e donne? L’aumento di salario può avvenire sia all’interno dell’impresa in cui si lavora, oppure si può realizzare cambiando azienda. L’incremento salariale interno può a sua volta derivare da promozioni nella scala gerarchica o dalla maggiore esperienza lavorativa maturata, pur in assenza di promozione. Ovviamente, è molto difficile identificare le promozioni senza informazioni dettagliate sulle occupazioni, ma seguendo la letteratura economica identifichiamo come tali gli episodi di crescita dei salari di un lavoratore superiore di 10 punti percentuali rispetto alla media dei colleghi nella stessa impresa e nello stesso anno. Possiamo quindi scomporre il divario salariale cumulato nel corso della vita lavorativa nel contributo dei tre fattori appena individuati: crescita interna, dovuta a promozioni o a esperienza, e crescita dovuta alla mobilità tra imprese. La figura 3 riporta i risultati della scomposizione e mostra che sono le promozioni a spiegare gran parte del gender gap cumulato lungo la vita lavorativa. In media tra i 25 e i 50 anni, gli avanzamenti di carriera spiegano il 54 per cento del divario salariale cumulato, mentre la mobilità spiega il 20 per cento e la crescita salariale interna indipendente dalle promozioni spiega il rimanente 26 per cento.

Figura 3 – Scomposizione del gender gap cumulato nella crescita salariale

Il gap nelle promozioni può essere determinato dal lato dell’offerta di lavoro, se le donne sono meno inclini a chiedere una promozione per via di preferenze personali, un minor numero di ore lavorate o la difficoltà di conciliare il maggior contributo alla produzione domestica e alla cura dei figli o degli anziani con un lavoro più impegnativo. Oppure può dipendere dal lato della domanda di lavoro, se i datori di lavoro discriminano le donne o se incorporano aspettative negative sulle loro performance per via della possibile maternità. In entrambi i casi, c’è spazio per interventi correttivi. A livello di impresa, incrementando la conoscenza e il monitoraggio delle carriere maschili e femminili – come richiesto ad alcuni tipi di imprese dal decreto legislativo 254 del 2016 relativo alla pubblicazione di dati non finanziari –, promuovendo la flessibilità di orario, offrendo mentoring alle donne e rafforzando l’offerta di servizi di cura, a livello aziendale o in collaborazione con le istituzioni del territorio.

Leggi anche:  Se ti è chiaro il divario di genere, apprezzi le quote*

La politica, dal suo canto, dovrebbe mantenere alta la guardia sul lavoro delle donne, sulla disuguaglianza di genere e sulle politiche che possono ridurla. Dai congedi di paternità – che dovrebbero essere estesi rispetto agli attuali quattro giorni per contribuire a un vero riequilibrio dei compiti di cura e ai quali invece la legge di bilancio non sembra destinare risorse neanche nella loro forma attuale – al sostegno ai servizi di cura. Queste misure non determinerebbero certo un Equal pay day al 31 dicembre di ogni anno, ma contribuirebbero senz’altro a spostare la data sempre più in là nel tempo.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Abuso economico, una violenza di genere

Precedente

Tutto quello che avreste voluto sapere sulle pensioni

Successivo

La rete bucata

10 commenti

  1. Davide Gedda

    Analisi estremamente superficiale. Avete fatto solo le medie dei salari, senza contare azienda, dipartimento e livello. Una volta contate, il famoso ”gap” si riduce al 2-4%. https://www.economist.com/graphic-detail/2017/08/01/are-women-paid-less-than-men-for-the-same-work, altro che ”2 mesi gratis”. Il resto è dovuto ad ore straordinarie lavorate, e differenze di base nella personalità. Altro che discriminazione dei cattivi datori di lavoro uomini e ”lavoro non pagato”.

    • Alessandra Casarico e Salvatore Lattanzio

      Ci dispiace abbia trovato il pezzo superficiale. Vorremmo sottolineare alcuni aspetti della nostra analisi su cui non siamo stati chiari o che non sono stati colti: le “sole medie dei salari” sono in realtà medie che tengono conto dell’età e della coorte di appartenenza. Questo nelle Figure 1 e 2. Nella Figura 3 guardiamo alle diverse dinamiche che coinvolgono uomini e donne nel mercato del lavoro, con l’obiettivo di evidenziare come le differenze salariali cambino con l’età e capire quanto dei differenziali salariali dipenda da una diversa probabilità di promozione, di cambio di azienda o di maturare esperienza all’interno di un’azienda. Quindi abbiamo ben in mente che questi fattori siano importanti per spiegare i differenziali. Come siamo consapevoli del fatto che all’interno di gruppi definiti da azienda, occupazione o mansione la differenza di genere nei salari sia inferiore a quella che si osserva nei dati grezzi. Tuttavia, studiare il differenziale salariale di genere significa capire perché le donne siano segregate in occupazioni o imprese meno remunerative, oppure perché siano meno frequentemente promosse. Banalizzando: dire che è normale che gli uomini siano pagati di più in quanto top manager non spiega perché le donne non siano top manager né implica che il differenziale salariale di genere scompaia. Di cattivi datori di lavoro invece non abbiamo parlato.

      • Davide Gedda

        Grazie per la risposta.
        Ho notato la differenziazione per età, ma non ritengo abbia particolare valora perché non aiuta a trarre alcuna conclusione. Se avete ben chiaro come dipartimento, livello e azienda siano i fattori principali a spiegare la discrepanza, non capisco perché abbiate omesso il dettaglio per poi presentare l’articolo come ”due mesi senza paga per le donne”. Titoli sensazionalisti, non giustificati dai fatti e che poi vengono puntualmente ripresi dai giornalisti, i quali puntualmente provvedono a condire il tutto con ulteriori sensazionalismi tipo ”il patriarcato”. Perché ci sono più uomini top manager? Perché le donne, una volta raggiunto un livello medio-alto, pensano di metter su famiglia (altrimenti conosciuto come baby penalty). Ci sono più uomini ( e sono relativamente pochi in ogni caso) disposti a sacrificare la vita privata per motivi di carriera rispetto alle donne. Il che non rende le donne discriminate, o pagate meno, o tantomeno rappresenta di per sé un ostacolo per quelle donne disposte a sacrificare la vita familiare per la carriera.

    • Luca Neri

      Caro Davide, molti studi dimostrano che il pay gap è addirittura inferiore al 2-4%, ovvero è inesistente, quando si considerino tutte le variabili che possono confondere la relazione tra genere e salario. Il fatto è ampiamente noto in ambito accademico. Quindi, la corretta interpretazione del pay gap dovrebbe essere che, a parità di produttività (assunto alla base del concetto di pay gap: uomini e donne hanno pari produttività), da oggi le donne non producono più valore aggiunto fino a fine anno mentre gli uomini continuano a lavorare. Come si può affermare che le donne sono discriminate sulla base della differenza delle medie dei salari?? Nessuna rivista scientifica accetterebbe di pubblicare sciocchezze di tale entità. Eppure questo è l’argomento principe della battaglia politica del moderno vittimismo al femminile che ormai ha invaso i giornali e persino i ministeri. Sono allibito che in questo articolo scritto da accademici si confonda una correlazione spuria con una relazione di causa ed effetto.

      • Alessandra Casarico e Salvatore Lattanzio

        Se leggesse con più calma l’articolo e non fosse mosso dal furore di denunciare il vittimismo femminile, forse vedrebbe che in nessun punto si parla di causa effetto. Né si ignorano i fattori che possono influenzare il gender pay gap (basta vedere l’esordio dopo il secondo titoletto). Il punto dell’articolo è quello di fare una fotografia della situazione italiana. Come abbiamo già scritto, siamo ben consci del fatto che il gap si riduce quando si introducono controlli per impresa (ne abbiamo parlato in questo articolo: https://www.lavoce.info/archives/45406/perche-le-donne-guadagnano-meno-degli-uomini/), ma ciò non giustifica concludere che il gap non esiste. La domanda da porsi è, a nostro giudizio, un’altra: perchè le donne fanno meno carriera degli uomini? Perchè lavorano in imprese che pagano in media salari inferiori? (su questo potremmo offrire numerosi riferimenti accademici anche su paesi diversi dall’Italia…). Immaginiamo che la sua riposta possa essere, ad esempio: perchè alle donne non piace far carriera. Noi pensiamo invece che ci siano degli ostacoli che impediscono che le donne abbiano le stesse opportunità degli uomini di far carriera.
        Queste domande non sono mosse da un “moderno vittimismo al femminile”, ma da una osservazione dei fatti, con lo scopo di fornire spunti per favorire un maggiore bilanciamento delle opportunità di uomini e donne nel mercato del lavoro.

        • Giovanni

          “Noi pensiamo invece che ci siano degli ostacoli che impediscono che le donne abbiano le stesse opportunità degli uomini di far carriera.”

          D’accordo, ma quali?

        • Luca Neri

          Mi scuso per il ritardo nella risposta. Mi chiedo, il titolo “Equal pay day: per le donne due mesi di lavoro senza paga” è stato deciso a vostra insaputa? Questo titolo è giustificabile solo nel caso in cui il pay gap sia interamente spiegato dalla discriminazione di genere, ovvero le donne sono pagate meno degli uomini solo perchè donne. Al di la di tutti i distinguo che fate, il messaggio principale dell’articolo è fortemente fuorviante perchè la maggior parte degli studi accedemici ben fatti sul tema dimostrano che la discriminazione di genere è responsabile al più di una quota risibile (o nessuna quota at all) del pay gap (max 2-4%) . Altre sono le cause principali: differenze di preferenze che si riflettono in diversi obiettivi contrattuali (e.g. flessibilità del tempo di lavoro, sicurezza, comfort, ridotto tempo di commuting, etc “beni, scambiati con salario inferiore), ridotta propensione ai cambiamenti di datore di lavoro (e.g. i cambiamenti di azienda spesso corrispondono ai maggiori avanzamenti salariali), preferenza con professioni meno retribuite. Aggiungo che le donne hanno maggior elasticità dell’offerta di lavoro in relazione al reddito familiare complessivo (ovvero, se il reddito familiare è elevato, tendono con maggiore facilità a ridurre l’offerta del loro lavoro sul mercato). Pensare che queste preferenze siano effetto di una distorsione generata da “ostacoli” sociali (non meglio precisati) è una posizione ideologica.

  2. giuliano rivieri

    Crederò alla disparità salariale come fenomeno causato da discriminazione in base al sesso quando qualcuno dimostrerà che soggetti uguali in tutto tranne che per il sesso hanno differenti retribuzioni. Altrimenti stiamo sempre a discutere intorno a quello che a me pare come un evidente errore logico. Ovvero confondere l’aspetto descrittivo con quello esplicativo. In sostanza attribuire al sesso delle persone la ragione per cui quelle persone hanno redditi differenti (sorvolando bellamente le mille variabili che possono spiegare quel risultato). Se questa è Scienza….ditemi voi. Attendo il giorno in cui comunque verrà inaugurato il death gap day. Ovvero sulla base del fatto che i maschi muoiono sul lavoro in percentuali superiori al 90% stabilire un giorno dell’anno da dedicare ai maschi che da quel giorno cessano di vivere mentre le donne continuano a vivere fino al 31 dicembre…

    • Alessandra Casarico e Salvatore Lattanzio

      Non abbiamo scritto che i differenziali salariali sono causati da discriminazione, ma citato la discriminazione come una delle possibili spiegazioni dietro al gender gap nelle promozioni. Abbiamo piuttosto cercato di discutere quali fattori possono spiegare le differenze salariali che si cumulano nel tempo, guardando al ruolo delle promozioni in azienda, della mobilità tra aziende e dell’esperienza che uomini e donne maturano in azienda. Detto questo, studiare il differenziale salariale di genere significa capire, ad esempio, perché le donne siano segregate in occupazioni o imprese meno remunerative, oppure perché siano meno frequentemente promosse. Il fatto che un uomo abbia più probabilità di diventare amministratore delegato rispetto ad una donna può spiegare la differenza nei salari, ma lascia irrisolta la questione delle diverse opportunità di carriera – diventare o no amministratore delegato – di uomini e donne.
      Quanto alla giornata dedicata alle morti sul luogo di lavoro, esiste già: è la “Giornata mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro” e si celebra il 28 aprile, per uomini e donne.

  3. Giovanni

    Sto cercando di realizzare uno studio sul gender pay gap, potete aiutarmi?

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén