Governo e Commissione europea sembrano vicini a un accordo per evitare la procedura di infrazione. Probabilmente, però, se ne riparlerà a primavera. Ragioni diverse hanno indotto i protagonisti al compromesso. E la Francia può aver giocato un ruolo.
Verso un accordo
Anche se non è ancora sicuro al 100 per cento e le trattative proseguono, sembra che dopo la riunione di mercoledì 12 dicembre a Bruxelles tra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e i vertici della Commissione, l’Italia dovrebbe riuscire a evitare l’avvio della procedura d’infrazione per violazione della regola del debito a gennaio 2019.
È una buona notizia, non a caso già salutata dai mercati con una riduzione dello spread. Con un’economia che tende sempre più verso la recessione e un governo che sembra sempre più frantumato al proprio interno, ci mancava solo l’innesco della procedura. E non tanto per le possibili sanzioni collegate, comunque salate, compresi i controlli minuziosi che la procedura impone, ma per gli effetti che il continuo braccio di ferro tra Commissione e governo avrebbe avuto sui mercati finanziari, il mercato del credito, le valutazioni delle agenzie di rating e la possibilità di collocare i titoli pubblici italiani in scadenza.
Naturalmente, la partita è solo rimandata. In primavera – una primavera molto “lunga” che si estenderà sicuramente al dopo elezioni europee – la Commissione rivedrà le stime del caso italiano sulla base dei dati di consuntivo del 2018, le previsioni relative al 2019 e agli anni successivi e la discussione ricomincerà, con la possibilità che la procedura venga di nuovo richiesta in quel momento. Ma allora ci sarà un’altra Commissione e forse anche un nuovo governo italiano, e chi vivrà, vedrà.
Sui dettagli dell’accordo, è probabilmente inutile spendersi troppo, anche perché la discussione è ancora in corso. Siccome si tratta di un accordo politico, l’obiettivo principale è quello di trovare un compromesso che consenta a tutti i partecipanti di non perdere la faccia. Così, anche se probabilmente ridotti in valore (si parla di un taglio di circa 3,6 miliardi) resteranno sicuramente i fondi per quota 100 e il reddito di cittadinanza, in modo da consentire ai due partiti di maggioranza di sventolare il successo nella prossima campagna elettorale. Le risorse che mancano ancora per raggiungere un accordo verranno probabilmente trovate con altri tagli (virtuali) ai ministeri, maggiori entrate da privatizzazioni (leggi, immobili pubblici), rafforzamento delle clausole di garanzia per il 2020-2021 (che il governo aveva inizialmente detto di voler togliere del tutto, ma pazienza), richieste di flessibilità legate agli investimenti per il dissesto idrologico e così via. Al di là del disavanzo nominale per il 2019 (del tutto virtuale, perché calcolato rispetto a un tendenziale che ha sempre meno senso) – che ora si dovrebbe fermare al 2 per cento del Pil invece del 2,4 per cento iniziale – il problema più serio sarà trovare l’accordo sul disavanzo strutturale: la Commissione insiste perché almeno non peggiori rispetto all’anno precedente. Si vedrà.
Ragioni economiche e ragioni politiche
La ragioni che hanno condotto alla ricerca del compromesso sono diverse per i due contendenti. Per il governo italiano ha giovato probabilmente una più chiara comprensione di cosa avrebbe potuto comportare per la nostra economia l’innesco della procedura. Magari un assist politico, ma con il rischio di trovarsi con una crisi finanziaria conclamata nel bel mezzo della campagna elettorale. Per la Commissione, hanno contato di più ragioni politiche: la volontà, una volta ottenute alcune concessioni dal governo italiano, di non esacerbare lo scontro in vista delle prossime elezioni europee. Un ruolo può averlo giocato anche il caso della Francia. Su un piano puramente tecnico, è probabilmente vero che, pur con le nuove concessioni promesse da Emmanuel Macron ai gilet gialli, la Francia avrebbe avuto ragioni per chiedere che la procedura di infrazione per deficit eccessivo – da cui è appena uscita – non venisse riaperta (il disavanzo strutturale francese dovrebbe comunque ridursi nel 2019). Ma sul piano politico l’argomento dei due pesi e delle due misure avrebbe avuto una sua rilevanza.
Alla fine di tutto questo, il nostro paese si troverà comunque nel 2019 con uno spread più alto di quanto sarebbe stato possibile e con una legge di bilancio largamente sbagliata, molto miope e inadatta ad affrontare i problemi strutturali. Ma negli anni della politica dei “like” inutile aspettarsi troppo.
* Massimo Bordignon è membro dell’European Fiscal Board. Tuttavia le opinioni riportate in questo articolo sono del solo autore e non coinvolgono l’istituzione di appartenenza
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Savino
La gente deve sapere chiaramente che le dirette Facebook e le partecipazioni ai talk televisivi di Di Maio e Salvini stanno a zero. Le dichiarazioni pubbliche su quota cento e reddito di cittadinanza non valgono nulla. Vale solo il risultato della trattativa con Bruxelles. Non voglio più sentire “l’ha detto Salvini” o “l’ha detto Di Maio” sui social o in tv.
Ermes Marana
Governo populista – “Sará tre volte Natale e festa tutto l’anno”.
Europa – “Con quali soldi?”
Governo Populista – “Visto? Ve l’avevamo detto che l’Europa é cattiva”.
Certe discussioni sembrano piú adatte dall’asilo che all’amministrazione pubblica.