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Due codici per il terzo settore*

Non c’è stato coordinamento tra il Codice del terzo settore e il Codice degli appalti. Resta perciò aperta la questione se gli enti non profit siano assoggettati alle procedure di tipo competitivo. Deciderà l’Anac, ma forse dovrebbe farlo il parlamento.

I rapporti tra terzo settore e pubblica amministrazione

Il Codice del terzo settore (Cts) – emanato in attuazione della legge delega n. 106/2016disciplina in modo sistematico il mondo non profit, vale a dire l’insieme dei diversi soggetti privati che, senza scopo di lucro, perseguono “finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi”. Il rilievo del terzo settore è non solo sociale, ma anche economico: dal censimento permanente delle Istituzioni non profit dell’Istat nel 2015 risultano oltre 336 mila soggetti, che si avvalgono di oltre 5,5 milioni di volontari; le entrate complessive del settore ammontano a poco meno di 64 miliardi di euro (rilevazione Istat al 2011).

Il Codice dedica alcune norme ai rapporti tra gli enti del terzo settore e gli enti pubblici, prevedendo il “coinvolgimento” dei primi nelle “attività di interesse generale” indicate dallo stesso Codice, attraverso forme di co-programmazione, co-progettazione e accreditamento (articolo 55). Si tratta di strumenti già previsti dalla legge quadro in materia di servizi sociali e dal relativo atto di indirizzo, ai quali il Codice ha dato una veste giuridica più definita, oltre ad ampliarne l’ambito applicativo. Sebbene ispirati a una logica collaborativa con la pubblica amministrazione, gli enti del terzo settore sono comunque assoggettati alle procedure di tipo competitivo dettate dal nuovo Codice degli appalti? Il dubbio è sorto a causa della mancanza di coordinamento tra i due codici, nonostante la legge delega sul terzo settore chiedesse al legislatore delegato di definire “criteri e modalità per l’affidamento agli enti dei servizi di interesse generale”. Invece, da un lato, il Codice del terzo settore si limita a richiamare la legge sul procedimento amministrativo e i principi di “trasparenza, imparzialità, partecipazione e parità di trattamento” per l’individuazione degli enti con cui attivare il partenariato per la co-progettazione, senza alcun cenno alla regolazione tipica dell’affidamento di servizi da parte della Pa; dall’altro lato, il nuovo Codice degli appalti disciplina anche gli “appalti di servizi sociali”, esclusi dal Codice previgente. Data “la delicatezza della materia, che per alcune tipologie di attività sottende rilevanti interessi economici”, l’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), in vista di un proprio intervento chiarificatore da effettuare con l’aggiornamento delle “Linee guida per l’affidamento di servizi a enti del terzo settore e alle cooperative sociali”, ha chiesto un parere al Consiglio di stato.

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Il parere del Consiglio di stato

Il Consiglio di stato ha rilevato, tra le altre cose, che la normativa europea sottopone “alla disciplina pro-concorrenziale tendenzialmente ogni attività umana connotata da un rilievo economico allo scopo di evitare la permanenza di ‘sacche’ sottratte al confronto competitivo”; inoltre, le direttive del 2014 in tema di appalti pubblici hanno segnato, rispetto a quelle precedenti, un “avanzamento progressivo dei principi del mercato” anche nel terzo settore; infine, il concetto europeo di “appalti”, secondo cui va interpretato il codice nazionale, comprende tutti i “contratti a titolo oneroso (…) aventi per oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti e la prestazione di servizi”. Pertanto, secondo il Consiglio di stato, le procedure del Codice del terzo settore finalizzate all’affidamento di servizi sociali – salvo ipotesi non selettive o di totale gratuità – sono “sottoposte anche alla disciplina del Codice dei contratti pubblici, che si affianca, integrandola, a quella apprestata dal Codice del terzo settore”, a tutela della concorrenza pure fra enti non profit.

Il parere dei giudici è destinato ad avere un impatto rilevante sul settore, poiché inciderà su prassi di co-progettazione e co-programmazione consolidatesi da tempo: una volta recepiti dall’Anac quegli strumenti – reputati finora a sé stanti rispetto a quelli di tipo competitivo per la loro “natura collaborativa e sinergica”, nonché tali da costituire una diversa linea di approccio per l’affidamento di servizi, come osservato anche dal ministero del Lavoro – saranno ricondotti alla disciplina concorrenziale.

Ma c’è un altro aspetto da considerare. Dettando criteri di collegamento tra la disciplina del Codice degli appalti e quella del Codice del terzo settore, l’Anac svolgerà un ruolo di supplenza del legislatore delegato che ha omesso di definirli. Ma le linee guida che l’Autorità dovrà aggiornare sono espressamente preordinate solo a “fornire indicazioni operative”. Ci si chiede, pertanto, se sia opportuno che il coordinamento fra norme di rango primario avvenga mediante un atto di soft law. Data la rilevanza degli interessi coinvolti nel contemperamento tra i principi di solidarietà e di concorrenza, un nuovo intervento del legislatore sarebbe forse più idoneo a garantire la certezza del diritto.

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* Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono l’istituzione per cui lavora.

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  1. Basilio Diotisalvi

    E’ il Codice degli Appalti che è di un altro pianeta. Non serve a nulla , ingessa oltre ogni limite le procedure. Inoltre nel terzo settore operano anche altri Enti pubblici come le IPAB, che sono tenute al margine in una agonia immonda. Enti pubblici che devono misurarsi con il privato (ogni tipo di privato) ma con tutti i legacci del pubblico. LE Ipab sono enti istituzionali e non territoriali. Non impongono tasse e altri balzelli; se i letti restano vuoti , possono chiudere; ne Stato ne Regioni soccorre. Allora perché non si ha coraggio di liberare questi Enti? perchè il terzo settore garantisce i finanziamenti occulti ai partiti- E non si dica che non è vero ? i casi di Roma e di Cona in Veneto sono esemplari.

  2. Il paravento fiscale dell’associazionismo sportivo ha sempre indotto ad un sistema di concorrenza sleale, rispetto a chi invece dello sport ne ha fatto impresa e ne ha rispettato i criteri fiscali: penso sia giusto far emergere dal “no taxing” le associazioni che hanno fatto da prestanome ad imprenditori ingordi…!

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