I paesi del gruppo Visegrád si sono opposti con forza all’ingresso di richiedenti asilo. Ora però devono ovviare alle carenze del mercato del lavoro. E poiché l’inverno demografico coinvolgerà tutta l’Europa, forse converrebbe cercare strategie comuni.
Tendenze demografiche dei quattro paesi
I paesi UE del cosiddetto “gruppo di Visegrád” (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia) sono tra i più rigidi per quanto riguarda le politiche migratorie. L’apice della chiusura è stato il rifiuto di rispettare la quota stabilita dei cosiddetti ricollocamenti di migranti da Italia e Grecia tra il 2015 e il 2017: una barricata ideologica, visti i numeri degli impegni previsti: circa 6 mila per Varsavia, 2.700 per Praga, 1.300 per Budapest e 900 per Bratislava.
In realtà, si tratta di paesi con una bassissima presenza straniera e con una forte tendenza all’invecchiamento della popolazione. Se oggi registrano un’età media nettamente inferiore rispetto a Italia e Germania e al di sotto della media UE, nel 2050 sfioreranno o addirittura supereranno i 50 anni di media, con una quota di anziani (over 65) intorno al 30 per cento, proprio al livello di Roma e Berlino. In altri termini, questi paesi registreranno un calo significativo della popolazione in età lavorativa (tra il 15 e il 26 per cento) e un contemporaneo aumento della popolazione anziana (dal +42,8 per cento dell’Ungheria al +87,6 per cento della Slovacchia). Complessivamente, nel 2050 i V4 avranno quasi 10 milioni di persone in meno in età lavorativa e quasi 7 milioni di persone in più in età pensionabile.
Quali sono allora le loro strategie per mantenere sostenibile il sistema produttivo?
Tabella 1 – Tendenze demografiche nei paesi di “Visegrád”
Fonte: elaborazioni Fondazione Leone Moressa su dati Eurostat, scenario base
Le soluzioni ipotizzate
Il paese più popoloso è la Polonia (38 milioni di abitanti), che negli ultimi dieci anni, dopo l’ingresso nell’Unione europea, ha vissuto l’esodo di almeno 2 milioni di lavoratori principalmente verso la Germania e il Regno Unito.
L’economia è in buona salute e dal 2010 gli stipendi sono cresciuti del 20 per cento, ma circa il 30 per cento delle piccole e medie imprese polacche fatica a trovare personale sia tecnico che generico. Il governo polacco, ostile verso l’immigrazione africana o asiatica, ha però aperto le porte a oltre un milione di ucraini, dapprima accolti come rifugiati (per la guerra civile in corso in alcune aree dopo l’occupazione russa della Crimea) e poi riconosciuti anche formalmente come migranti economici con visti temporanei di lavoro. Oltre agli ucraini, allo stesso modo sono entrati anche armeni, bielorussi, georgiani, moldavi e russi. Infine, il governo polacco ha stipulato un accordo con le Filippine. Ecco quindi che la Polonia nel 2018 è diventata il paese europeo con i maggiori flussi migratori in entrata per lavoro, superando la stessa Germania. Anzi, ora la preoccupazione è non vedere troppi lavoratori transitare solo brevemente in Polonia alla ricerca di migliori salari in altre aree dell’UE.
Stessi problemi ma risposte diverse nella vicina Ungheria (poco meno di 10 milioni di abitanti). Dal 2010, circa 600 mila lavoratori ungheresi sono emigrati in cerca di migliori salari all’interno dell’Ue. Lo scorso dicembre il parlamento ha approvato una legge che aumenta le ore di straordinario annue da 250 a 400, con la possibilità per le aziende di pagarle dopo tre anni. Formalmente lo straordinario è volontario, ma in un paese con un sindacato debolissimo, ben pochi lavoratori riusciranno a opporsi alle richieste delle loro aziende, tanto è vero che le opposizioni hanno ribattezzato la norma come “legge schiavitù”. Nonostante duri scontri di piazza a Budapest prima di Natale, il presidente della repubblica ha controfirmato la legge. La sua applicazione, tuttavia, potrebbe ledere la popolarità del premier Orban.
Repubblica Ceca (10,6 milioni di abitanti) e Slovacchia (5,4 milioni) cercano invece di battere la strada dell’automazione industriale e della robotizzazione. Soprattutto la Repubblica Ceca vanta una tradizione in questo campo (la parola “robot” significa in slavo “lavoratore”). Occorrono risorse significative per investire nella robotica, ma si aprono anche interrogativi inediti come quello su chi pagherà le tasse e i contributi nelle società che puntano alla riduzione dei lavoratori. Se ne è occupato anche il Parlamento europeo: già nel 2016 la deputata lussemburghese Mary Delvaux (Partito socialista) ha depositato una proposta di legge per tassare il lavoro dei robot. Non si tratta di una novità assoluta poiché già nel 1927 l’economista Frank Ramsey aveva proposto una svolta nelle politiche fiscali incentrata sulla tassazione della produzione anziché delle persone fisiche. Non sarà una svolta semplice poiché, dal punto di vista delle imprese, rende più onerosi gli investimenti in tecnologia.
Dunque, i paesi che più si sono opposti alla politica di Angela Merkel che ha favorito l’ingresso di richiedenti asilo anche per ovviare alle carenze del mercato del lavoro, non sospettavano di dover trovare risposte adeguate agli stessi problemi in così breve tempo. Le soluzioni fin qui avanzate implicano non poche contraddizioni e punti interrogativi, ma rappresentano una presa di coscienza del problema. Dato che l’inverno demografico coinvolgerà tutta Europa, converrebbe forse cercare strategie comuni anziché alzare barricate interne.
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Luca Ba
Il punto è più complesso di come analizzato nell’articolo. I paesi citati non si oppongono in generale all’arrivo di immigrati, come dimostra ampiamente la Polonia, ma vogliono un controllo capillare su chi arriva. Ovviamente non vogliono gli immigrati che arrivano con i barconi perchè non c’è nessun controllo su di loro e probabilmente porterebbero più problemi di quanti ne possano risolvere come sta succedendo in Italia da qualche anno con tutta l’immigrazione incontrollata. Il punto è proprio quello di trattenere gli immigrati con buoni profili che invece preferiscono il nord-Europa è un po’ quello che è successo nel passato nell’America Latina. Diciamo che la sola soluzione possibile è quella di alzare i salari in modo da trattenere sia gli immigrati sia i propri cittadini.
Marcomassimo
Se ci sarà bisogno di manodopera in quei paesi sarà un bene anche per l’italia perchè magari i giovani disoccupati italiani, specie meridionali, sapranno dove emigrare, sempre che non ci sia la concorrenza al ribasso degli extracomunitari a guastare la festa
mb
E se la “soluzione” fosse il sostegno alle nascite, magari?
Davide K
E se, semplicemente, la minore disponibilità di manodopera a basso costo, portasse da un lato ad un incremento dei salari, e dall’altro alla ricerca di una maggiore produttività del lavoro stesso (alla ricerca di un evidente equilibrio col maggiore costo del lavoro), e quindi innovazione e progresso tecnologico (“i robot da tassare” non mi pare un gran modo di esprimere il concetto)?
Non è forse così che il mondo occidentale ha permesso di ottenere standard di vita “importanti” proprio per la massa di gente comune?
A volte mi sembra di leggere concetti che, se applicati 100 anni fa, non avrebbero consentito di far crollare la quota di popolazione impiegata in settori “vecchi”, a vantaggio di quelli nuovi.
Vedasi crollo di persone impiegate nell’agricoltura, ad esempio.
Maurizio Angelini
E’incredibile l’opportunismo dei governanti polacchi che hanno riempito l’Europa germanico-anglosassone di loro immigrati e hanno ricevuto cifre altissime del bilancio europeo e ora fanno gli schizzinosi se non i razzisti. Ma si ricordano di quello che dicevano in Francia e in UK dell’idraulico polacco
Marcantonio
Inutile dire che secondo Pew Research Center non esiste una nazione al mondo che voglia più immigrazione, e che l’utilizzo della migrazione come compensazione demografica è egualmente osteggiato in maniera universale. Servono soluzioni ”condivise”, cioè al riparo dalla volontà elettorale.
Federico Leva
Marcantonio intende http://www.pewresearch.org/fact-tank/2018/12/10/many-worldwide-oppose-more-migration-both-into-and-out-of-their-countries/ , presumo.
La situazione in USA muta velocemente però:
http://www.pewresearch.org/fact-tank/2019/01/11/how-americans-see-illegal-immigration-the-border-wall-and-political-compromise/
Nel 2018 si è raggiunto un sostanziale pareggio in USA fra chi vuole ridurre l’immigrazione e chi la vuole incrementare (29 % vs. 28 %), il margine si è ridotto di 10 punti in un anno.
https://news.gallup.com/poll/1660/immigration.aspx
Anche in questo caso, quindi, i sedicenti difensori della volontà popolare non fanno che rappresentare la volontà di una minoranza, spesso imposta dall’alto.
Nicola
Un paese potrebbe chiudere ai richiedenti asilo ma aprire le porte a chi entra per motivi di lavoro, nel caso dell’Italia questo vorrebbe dire aumentare le quote del decreto flussi … non bisogna fare confusione tra l’immigrazione e la questione dell’asilo
Federico Leva
Anche la Germania lamenta problemi di eccessiva emigrazione (di dottori verso la Svizzera):
https://www.reuters.com/article/us-eu-migration-germany/eu-may-need-rules-to-stop-doctors-emigrating-german-minister-idUSKCN1P70GO?il=0
(Avranno considerato l’opzione di alzare gli stipendi in Germania perché la gente non emigri? Non pervenuto.)
Enzo
Orrore : in repubblica Ceca disoccupazione al 2,3 in Polonia al 4, in Ungheria al 3 bisogna correre ai ripari. Ovviamente non applicando in questo caso la legge della domanda e dell’ offerta, quella vale solo al contrario, quando la disoccupazione è alta, allora si, flessibilità. Poi ci sarebbe il rischio che i polacchi preferirebbero tornare a lavorare a casa loro. Invece no , importiamo carne da lavoro, che i salari non crescano se no dove andremo a firire
politicamente scorretto
i polacchi ricorrono agli ucraini ed altri polacchi che lavorano all’estero per colmare qualsiasi problema di mancanza di forza lavoro, tranquilli non si meticeranno
SR-71
La parola robot deriva dal ceco “robota” (lavoratore).
La correlazione con i “robot” come si intendono oggi deriva da un dramma scritto da Karel Capek negli anni ’30 del 1900, tradotto in italiano con “R.U.R. – Robot Universali di Rossum”.
Nel lavoro di Capek si immagina che il protagonista, Rossum appunto, abbia inventato una tecnica per produrre uomini artificiali intelligenti, ed abbia fondato un’azienda che li produce e li commercializza in tutto il mondo. Di fatto una versione moderna della schiavitù.
La produzione di tali esseri, per mantenere la segretezza del processo, e’ realizzata in una remota isola, sede di una specie di citta’-fabbrica.
Purtroppo per Rossum, alla fine, i robota si ribellano al loro creatore e lo uccidono, cosi’ che il segreto della sintesi di questi esseri artificlali e’ perso per sempre.