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E Theresa May marcia impavida verso il baratro

Theresa May continua imperterrita a ripetere che bisogna “consegnare al paese quello che ci ha chiesto”, ossia l’uscita dalla Ue, anche senza accordo. Ma il paese dovrà pagare un prezzo altissimo. E non sono certo di aiuto le ambiguità di Jeremy Corbyn.

May sconfitta, ma ancora in sella

La pesante sconfitta del suo governo in parlamento, la più pesante mai registrata nell’intera storia della democrazia britannica, non ha minimamente intaccato la cocciuta determinazione di Theresa May nel proseguire a folle velocità verso l’abisso dell’uscita dalla Ue, anche a costo di farlo senza alcun accordo formale.

Come ampiamente previsto, il primo ministro ha spazzato via come una mosca fastidiosa l’infantile mozione formale di sfiducia presentata dal leader dell’opposizione Jeremy Corbyn. Si è alzata nella camera dei Comuni a reiterare il trito ritornello sulla necessità di “consegnare al paese quello che ci ha chiesto”. Non importa se la locale confindustria, la camera di commercio, la confagricoltori, la stragrande maggioranza delle associazioni che operano nei servizi hanno implorato di non essere mandati allo sbaraglio: bisogna “consegnare al paese quello che ci ha chiesto”. I rettori dichiarano Brexit la peggior minaccia del settore universitario? Bisogna “consegnare al paese quello che ci ha chiesto”. La banca d’Inghilterra stima attorno all’8 per cento la riduzione del Pil attribuibile all’assenza di un accordo, che, detto in altri termini, è come se una persona su dodici si trovasse senza lavoro? Dobbiamo “consegnare al paese quello che ci ha chiesto”. Il servizio sanitario nazionale (sì, lo stesso che avrebbe dovuto ricevere 400 milioni di euro alla settimana grazie alla Brexit) dovrà affrontare le emergenze di mancanza di medicine e impossibilità di assumere personale specializzato? Bisogna “consegnare al paese…”.

C’è un istante, magicamente creato da Stanley Kubrick in 2001 Odissea nello spazio, in cui Dave capisce che il computer di bordo Hal non aprirà il porto di rientro nell’astronave. Abbiamo raggiunto il punto in cui la testardaggine di Madam May si è rivelata equivalente a quella di Hal, il punto in cui pubblico si rende conto che Hal è ormai solo una macchina, pur estremamente intelligente, incapace di cambiare percorso.

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È anche impossibile fare previsioni. Senza un regolamento parlamentare e senza precedenti storici, senza buon senso da parte di chi controlla le decisioni (“consegnare al paese quello che ci ha chiesto”), senza una maggioranza in parlamento, può letteralmente succedere di tutto. Per il momento il programma prevede un nuovo voto la settimana prossima su una proposta di accordo aggiornata. May ha dichiarato che consulterà deputati delle opposizioni, ma anche che non ha intenzione di modificare di una virgola il testo dell’accordo. Difficile immaginare che i 118 deputati tory che hanno votato contro l’intesa la prima volta e con loro almeno una decina di laburisti si convertano d’improvviso, magicamente fulminati, stile Paolo sulla strada di Damasco.

Nonostante il pacato ottimismo di qualche giornale, sono ormai convinto che Theresa May, a meno dell’improbabile conversione, preferisca uscire dalla Ue senza accordo. Ritiene che ogni deviazione dal “consegnare al paese quello che ci ha chiesto” porterebbe alla spaccatura dei tory, e non vuole che i futuri libri di storia contengano un capitolo intitolato “Theresa May: La morte dei tory dopo duecento anni di storia”. Non importa se il paese si impoverisce, se la disoccupazione cresce, se falliscono decine di migliaia di piccoli imprenditori i cui alberghi, le cui start-up, le cui agenzie sono costruite sulla base del commercio con la Ue. Non spaccare i tory val bene un “no deal”. Non sorprende che i fanatici della Brexit dura festeggino in stile (francese) la Caporetto parlamentare della loro leader/ostaggio.

Le colpe di Corbyn

Se la posizione di May una logica, pur perversa e immorale, ce l’ha, l’ossessione ugualmente cocciuta, seppur meno isterica, di Jeremy Corbyn davvero non si può comprendere se non con la sua fanatica fede antieuropea. Una cosa è chiara: se la leadership laburista dichiarasse di appoggiare la mozione pro-referendum di Dominic Grieve, l’astuto tory ex-ministro della Giustizia e avvocato generale, la mozione verrebbe approvata in parlamento (almeno 15-20 ribelli pro-UE tory voterebbe a favore). Perché non lo fa, nonostante la quasi totalità dei deputati e l’86 per cento dei membri del partito siano a favore? Perché non lo fa di fronte a sondaggi che prevedono il peggior risultato elettorale della storia se i laburisti continuano a pappagallare la filastrocca del primo ministro (bisogna “consegnare al paese quello che ci ha chiesto”)? Crede davvero che la Ue gli impedirebbe di offrire aiuti di stato a imprese in difficoltà o di nazionalizzare servizi essenziali, come le ferrovie e l’acqua potabile? Forse ci crede davvero, anche se sarebbe sufficiente studiare un po’ di storia recente, oltre ai trattati leninisti, per convincerlo che se fosse al numero 10 di Downing Street l’intransigenza di Bruxelles sarebbe l’ultimo dei vincoli a politiche interventiste. In realtà, penso che anche questa sia una scusa e che Corbyn riassuma in sé tutti i tratti peggiori dell’inglesista meschino, una vena di razzismo, mascherata da selettivo pacifismo (e allora gli americani?), la difesa snob dei lavoratori, a spese di chi non è mai riuscito a entrare in una fabbrica, un pacifismo superficiale che copre appena un antisemitismo istintivo (e allora Israele?).

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12 commenti

  1. Henri Schmit

    Sono sempre d’accordo con le analisi del prof. Fraja. Aggiungo solo che senza la previsione di una maggioranza schiacciante, diciamo vicono a 60 vs 40, un secondo verdetto popolare a favore del remain non risolverebbe nulla. Gli ultimi sondaggi danno lo spread in rialzo a 12 punti. Nonostante gli evidenti danni che creerebbe qualsiasi Brexit, da entrambi i lati della Manica, soprattutto se più hard che soft, la separazione è preferibile ad una permanenza incerta, non convinta. E questo è anche colpa nostra, un’UE litigiosa e paesi inadempienti, incapaci di riformarsi, anzi incapaci di dire la verità. Prepariamoci a tempi duri. Invece di fuggire in avanti rivalutiamo il sovranismo, nel doppio senso nobile delle responsabilità nazionali e del consenso popolare all’azione governativa fondato su in discorso pubblico veritiero.

    • oskar

      mi sembra un classico esempio di priorita’ politiche, evidentemente il gruppo della May avra’ valutato vantaggi e svantaggi elettorali e deciso che questa e’ la linea che pagera’ elettoralmente
      non che non abbiano fatto calcoli del genere in passato sbagliando, da una parte e dall’altra
      conoscendo bene il paese e avendo lavorato in uk negli anni 70 so che gli inglesi han visto di ben peggio della Brexit e non sono convinto che sia una scelta sbagliata per il paese, un paese con risorse straordinarie e una profonda vocazione globalista

      • Henri Schmit

        Presumo che il commento sia finito per errore sotto il mio; non vedo infatti alcun nesso con quello che affermo io. Per quanto riguarda la vocazione e le risorse dell’UK posso pure essere d’accordo, ma è un’opnione. La questione è come vocazione e risorse sono meglio espresse e sfruttate: hard Brexit, May-Brexit, Brexit-in the common market, o Remain. Su questo i pareri si dividono; e non ci sarà alcuna prova per sapere chi ha ragione, perché il futuro sarà uno solo.

  2. Marcomassimo

    Non è solo la May che procede verso il baratro; è tutta l’europa dell’establishment che lo sta facendo; i mea culpa di Junker sono patetici e tardivi; intere masse di differenti paesi sono abbastanza incarognite e possiamo solo sperare che i prossimi inquilini della commissione siano di spirito e di formazione ben diversi dai personaggi che ci sono adesso, i quali saranno ricordati sui libri di storia come dei grotteschi incapaci

    • Henri Schmit

      Consiglio di leggere il testo del breve discorso di Juncker, disponibile online. Inizia in francese e finisce in tedesco. Non contesta un’eccesso di austerità in genere, ma un eccesso nei confronti della GR, un ruolo eccessivo e dannoso del FMI, e fra le righe, contesta un atteggiamento dietro le quinte troppo rigido della Germania. Nell’elenco dei paesi, quando parla di queste decisioni non ottime, non menziona ma allude secondo me indirettamente anche all’Italia, in modo non lusinghiero. Aspettiamo la pubblicazione delle memorie di Juncker, menzionate non si capisce con quale livello di ironia alle fine del discorso, per sapere che cosa intendeva esattamente. Penso di aver capito.

  3. Enzo

    Povera May, tutte le colpe sono sue. Per prima cosa la May è stata nominata premier proprio per attuare la brexit non per boicottarla. Il parlamento non ha proposte alternative altrimenti alla maggioranza basterebbe sostituirla.

  4. Enzo

    Un’altra cosa. Sta cambiando lo scenario sul continente. Se due anni fa per l’asse franco-tedesco c’era un aspetto positivo nell’addio della GB, cioè la possibilità di un’europa più integrata senza che la GB tirasse il freno a mano e facesse da sponda ai paesi dell’est, ora qualche problema si ha anche in francia e germania. dopo le elezioni ci sarà forse un’europa più vicina alle aspettative britanniche

  5. Lorenzo

    A senso prevedo un uscita senza accordi. Fra 10-15 anni faranno un tagliando e potrebbero richiedere di rientrare (non alle stesse condizioni imposte dalla Thatcher) dato che alcuni paesi “riottosi” potrebbero aver chiesto e ottenuto di andar via.

  6. Gian Carlo Cincera

    E Theresa May marcia impavida verso il baratro (BREXIT) : DOPO LA GUERRA CHURCHILL disse che l’Inghilterra preferisce il largo. Poi poi ci fu il veto del Generale De Gaulle… Poi ci fu l’errore storico dell’Europa di accettare l’adesione… Perché gli inglesi non sono cittadini MA Sudditi di una Monarchia… Senza dimenticare che Enrico VIII pur di sposare l’amante Anna BOLEYN Creo’ la Chiesa Anglicana cancellando per un capriccio 1.000anni di appartenenza alla Chiesa Cattolica. Poi… fece tagliare la testa alla povera BOLEYN senza essere presente al processo… Che BREXIT sia…

  7. Henri Schmit

    (In reazione ad alcuni commenti:) Dal principio l’UE (CEE) è stata fondata su un’intesa fra F e D, e coloro che li appoggiano, in primis il Benelux, ma oggi circa 15 stati. L’Italia ha scelto da circa 25 anni di giocare un gioco diverso, quello suo storico dall’unità, cioè fare la sponda fra i più forti, oggi USA e Russia. Se l’UE fallisse (da definire! perché l’intesa F-D probabilmente sopravviverebbe), l’Italia potrebbe vantarsi di stare dal lato giusto. Se no, la sua strategia rischia di crearle più danni che benefici. La politica estera gialloverde non è che la stessa di prima, ma vista sotto una lente di ingrandimento.

  8. Davide K

    Pur avendo sempre considerato la Brexit una pessima scelta (probabilmente il referendum l’unico grande errore di Cameron dopo anni esemplari in cui ha cercato di raddrizzare il paese), riesce quasi a farmi ricredere. Mi sono permesso di leggere alcuni suoi articoli degli ultimi 2.5 anni prima di commentare, e devo dire che proprio non vi rendete conto di cosa abbia potuto portare a quella scelta. Continuate a raccontarvi le favole sui poveri ignoranti. Scelta probabilmente nel complesso dannosa, ma sarà il tempo a dirlo, e soprattutto quali saranno le relazioni commerciali effettive tra UK e resto del mondo. Leggendo la sua descrizione di May (“anti esperti”), probabilmente è un bene che si realizzi ciò che teme: un ridimensionamento della cd accademia, che in molti campi è nel complesso più dannosa che utile. Purtroppo è stato fatto l’errore di spacciare l’ideologia per scienza, e le conseguenze che ne sono scaturite sono molto gravi, anche per le reazioni che inevitabilmente vedremo in futuro.
    Non sono andato così indietro a leggere, ma suppongo che invece Blair, che ha lasciato un paese finanziariamente sfasciato e drammaticamente squilibrato, oltre ad aver lanciato un’immigrazione che ha fatto semplicemente venire repulsione agli inglesi, sia stato bravissimo, giusto? Devo dire che leggerla mi ha dato fiducia: se UK non scadrà nel protezionismo, dopo aver sopportato qualche inevitabile sacrificio di aggiustamento avrà, probabilmente, da guadagnarci.

  9. PL

    Bellissimo articolo Gianni.
    P.

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