Il 26 maggio si terranno le elezioni per la nona legislatura del Parlamento europeo, un organo composto da 751 deputati, di cui 73 spettanti all’Italia. Purtroppo non ci sono informazioni UE sul profilo dei candidati. Tra quelli italiani, buone notizie su donne e laureati, meno sull’età.
Voto europeo, ma regole nazionali
Tra meno di un mese si terranno le elezioni che daranno vita alla nona legislatura del Parlamento europeo, un organo composto da 751 membri, di cui 73 spettanti al nostro paese (sarebbero diventati 76 in caso di Brexit, cioè in assenza della partecipazione del Regno Unito). L’Italia rappresenta il terzo paese, proprio insieme al Regno Unito, per numero di seggi, dopo Germania (96 seggi) e Francia (74 seggi). Tuttavia, nonostante vengano continuamente chiamate “elezioni europee”, le regole elettorali cambiano da paese a paese. Quanto ai candidati, né il Parlamento europeo né nessun’altra istituzione europea raccolgono e offrono alcuna informazione di base su di loro. Probabilmente ciò avrà conseguenze sulla qualità dei politici candidati ed eletti. Quel che è certo è che, ancora una volta, il voto sarà da intendersi più come un insieme di elezioni nazionali concomitanti che come vere e proprie elezioni europee. Dall’analisi dei candidati italiani, i soli su cui è stato possibile raccogliere dati, emergono comunque interessanti elementi.
In corsa per un posto al (pallido) sole di Strasburgo
Secondo i sondaggi più recenti, supereranno la soglia di sbarramento, ottenendo seggi, solo cinque partiti: Lega, Movimento 5 stelle, Partito democratico, Forza Italia e Fratelli d’Italia. Quali sono le caratteristiche dei loro candidati? Il primo elemento analizzato è stata l’età. La lista con l’età media più bassa è quella del Movimento 5 stelle, che pure raggiunge una soglia pienamente adulta: 43 anni. In ogni caso, ben una decina in meno rispetto al Partito democratico (53), Fratelli d’Italia e Forza Italia (entrambi 51). Nel mezzo troviamo la Lega, con un’età media di 48 anni.
Figura 1
Il secondo elemento analizzato è stato il titolo di studio dei candidati. Su questo le informazioni non sono state semplici da recuperare; tuttavia, il campione analizzato copre in media oltre il 90 per cento dei candidati. La lista con il minor numero di laureati è quella della Lega (71 per cento di laureati tra i candidati), seguita da Fratelli d’Italia (74 per cento). All’altro lato della classifica, la lista con il maggior numero di persone laureate è del Movimento 5 stelle (oltre il 90 per cento). Il Partito democratico e Forza Italia sono molto vicine tra di loro, rispettivamente con l’82 e l’83 per cento dei laureati. La presenza femminile si aggira intorno al 52 per cento in ogni lista, tranne che in Fratelli d’Italia (45 per cento). Nelle liste figurano quindi più donne rispetto agli uomini.
Figura 2
Figura 3
Una buona parte dei 73 europarlamentari della legislatura uscente (per la precisione, 50) si ricandidano all’interno delle cinque liste: 20 con il Partito democratico, 11 con il Movimento 5 stelle, 10 con Forza Italia, 5 con la Lega e 4 con Fratelli d’Italia. Anche molti degli altri candidati hanno avuto precedenti esperienze politiche, in particolare nelle amministrazioni locali. Vantano cariche passate (o in corso) più del 60 per cento dei candidati di Forza Italia, più del 50 per cento dei candidati della Lega e più del 40 per cento dei candidati di Fratelli d’Italia e Partito democratico. Nel Movimento 5 stelle, che ha una storia politica più recente, i candidati con esperienze pregresse sono poco meno del 30 per cento. Infine, non mancano gli ex deputati ed ex senatori: non pochi nel Partito democratico (14 candidati), Fratelli d’Italia (12) e Forza Italia (11), mentre sono 5 nel caso della Lega e nessuno nel Movimento 5 stelle.
Note positive sono le quote elevate di laureati e di donne in lizza. Resta tuttavia troppo alta l’età media dei candidati, anche a causa dei vincoli per presentarsi alle elezioni (l’età minima per candidarsi, in Italia, è di 25 anni). In chiaroscuro la diffusa continuità nelle cariche. Se da un lato questa è positiva, perché permette a chi ha esperienza accumulata di farla valere senza dover ricominciare da capo, dall’altro viene ulteriormente compromessa la possibilità di ricambio generazionale. Tuttavia, vale la pena di ricordare che nel voto europeo è possibile esprimere fino a tre preferenze (se tre, devono essere di genere diverso): sarà molto interessante verificare dopo il voto se le stesse proporzioni di donne, laureati e giovani saranno rispettate anche dopo le scelte degli elettori.
Lavoce è di tutti: sostienila!
Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!
Henri Schmit
L’analisi è divertente, ma il tema è poco rilevante. Le elezioni al PE sono soprattutto un barometro delle politiche nazionali. Questo non è scandaloso: la politica UE viene fatta quasi interamente nelle cancellerie nazionali, nei governi, un po’ nei Parlamenti, se sono attrezzati, preparati ed interessati, e a Bruxelles nella Commissione. Il PE serve a poco, salvo in un’ottica di evoluzione a breve improbabile delle istituzioni. I paesi tendono a “inviare” (eleggere, per modo di dire) dei politici nazionali riciclati a Strasburgo; si vota spesso (F, D, E, P) con liste bloccate – per fortuna non in Italia che per una volta si distingue positivamente. La brutta abitudine poco democratica dei “Spitzenkandidaten” è contrastata solo dall’ALDE. In giro ci sono proposte per peggiorare ulteriormente la legittimità (o la credibilità) democratica degli eurodeputati. Il PE non è una vera assemblea democratica; assomiglia più a un parlamento da vecchio regime, una rappresentanza dei “soggetti” che possono esprimere pareri per far apparire il governo effettivo meno dispotico. Il governo UE in realtà è indirettamente democratico, nella misura in cui ogni stato membro riesce a farsi governare da un esecutivo che gode del consenso dei suoi cittadini. Ecco il punto dolente. Da quando l’Italia da beneficiario è diventata contribuente netto (Commissione Prodi, allargmanento, Costit. bocciata, euro), il film è cambiato: non è più conveniente, perché bisogna essere efficienti, saper fare riforme