Il 26 maggio si terranno le elezioni per il Parlamento europeo, con regole diverse da paese a paese. Rispetto per le identità e tradizioni nazionali o discriminazione tra cittadini? In ogni caso, una scelta che non garantisce uguali diritti politici.
Poche regole comuni e tante differenze
Cosa penseremmo se per le elezioni del Parlamento italiano ognuna delle venti regioni fosse libera di scegliersi la propria legge elettorale, seppure rispettando alcuni vaghi criteri comuni? Probabilmente, l’ultima cosa che ci verrebbe in mente è che si tratta di una scelta rispettosa delle singole identità regionali; al contrario, penseremmo a un sistema caotico e forse perfino ingiusto. Ebbene, questa è proprio la situazione in cui si ritrovano i cittadini europei dal 1979, visto che, nonostante gli auspici del Trattato di Maastricht del 1992 per una legge elettorale europea, la scelta nel 1997 (Amsterdam) fu quella di limitarsi solamente a qualche, peraltro vago, elemento di uniformità. Già allora il Consiglio, che avrebbe dovuto votare all’unanimità la proposta del Parlamento, non riuscì a trovare un accordo. E da lì in poi nulla è sostanzialmente cambiato. I principi comuni (solo tre, all’interno degli infiniti cavilli delle leggi elettorali) riguardano, secondo i trattati e le direttive seguenti, il diritto di voto e di eleggibilità, che è esercitabile anche in stati membri di cui non si è cittadini ma solo residenti; l’incompatibilità tra la carica di parlamentare europeo e altre incarichi, tra cui – ma l’elenco è molto lungo – quelle di membro del governo di uno stato, membro della Commissione, giudice, avvocato generale o cancelliere della Corte di giustizia, membro della Corte dei conti e parlamentare nazionale; il richiamo a criteri di proporzionalità per il riparto dei seggi tra le liste partecipanti alla competizione elettorale.
Molto più numerosi sono gli elementi di differenza. Innanzitutto, le soglie di elettorato attivo e passivo: solo Italia e Grecia hanno scelto la soglia dei 25 anni come età minima per essere candidati. Ben sette anni in più della maggiore età (18 anni), soglia in vigore invece nella maggioranza degli stati (insieme a quelle di 21 e 23 anni). Sarà un caso che siano proprio Italia e Grecia, con i loro trend demografici preoccupanti, a chiudere le porte ai più giovani?
Davvero poi non si capisce perché la stessa Unione europea si preoccupi tanto di richiamare alla parità di trattamento su numerosi aspetti della vita economica (si pensi, giustamente, a quella tra uomini e donne), ma non si sia mai occupata di stabilire regole uniformi per i diritti politici dei suoi cittadini più giovani. Peraltro, grazie alle clausole di reciprocità, un cittadino italiano di 23 anni residente in Francia non sarebbe candidabile in una lista italiana, ma lo sarebbe in una lista francese: davvero un paradosso.
In secondo luogo, le formule elettorali, che sono improntate ovunque a un criterio di proporzionalità, sono declinate per vari aspetti secondo le singole scelte nazionali. Nella maggior parte degli stati, tra cui l’Italia, è possibile esprimere almeno una preferenza. Nel caso italiano, le preferenze possibili sono al massimo tre, con obbligo di votare candidati di genere diverso quando si esprimano preferenze plurime. In nove stati membri (tra cui Germania, Spagna, Francia e Regno Unito), le liste sono invece chiuse (non si possono esprimere preferenze). In Lussemburgo è possibile il voto disgiunto (vale a dire votare per candidati appartenenti a liste concorrenti), in Svezia si possono aggiungere nomi alla lista oppure rimuoverli; a Malta, in Irlanda e in Irlanda del Nord è in vigore il cosiddetto voto singolo trasferibile, per cui l’elettore ordina i candidati della lista per preferenza. Tredici stati, tra cui la Germania e il Regno Unito, non prevedono una soglia di sbarramento, che invece ha valore massimo (5 per cento) in nove paesi, tra cui la Francia (in alcune circoscrizioni). In Italia vige dal 2009 una soglia del 4 per cento.
Dalle elezioni del 2024, però, tutti gli stati dovranno adeguarsi a una nuova normativa (del 2018) che prevede, per le elezioni europee, una soglia minima obbligatoria compresa tra il 2 e il 5 per cento per le circoscrizioni con più di 35 seggi. Per esempio, la Germania, stato composto da un’unica circoscrizione elettorale, dovrà introdurne una soglia minima del 2 per cento.
In quattro stati membri (Belgio, Lussemburgo, Cipro e Grecia), votare è formalmente obbligatorio (almeno in teoria, l’astenuto dovrebbe ricevere una multa); in Italia, benché l’articolo 48 della Costituzione reciti che l’esercizio del voto è un dovere civico, le conseguenze dell’astensione sono nulle.
Neanche sul giorno delle elezioni si è riusciti a stabilire un’unica data: la maggioranza degli stati voterà domenica 26 maggio, ma in alcuni paesi le elezioni si terranno già a partire da giovedì 23 maggio (o anche prima, qualora siano previste modalità di voto anticipato, ad esempio per posta).
Discriminazioni fra elettori europei
Non è un segreto che le elezioni europee siano poco sentite dagli elettori. Nel 2014, il tasso di partecipazione in Italia è stato di poco superiore al 57 per cento, in ulteriore diminuzione rispetto alle elezioni precedenti (per le politiche del 2018 è stato invece del 73 per cento). La campagna elettorale, da parte di alcuni partiti politici, sembra più incentrata su tematiche nazionali che europee, segno che alla politica interessano di più le dinamiche elettorali interne che l’ambizione di partecipare attivamente allo sviluppo delle istituzioni europee. La possibilità di selezionare politici più o meno capaci e quella di garantire parità di trattamento a tutti gli elettori, infine, è seriamente compromessa dall’incapacità stessa dell’Unione (in particolare, del Consiglio) di adottare regole comuni, lasciando magari spazio a piccoli correttivi su base nazionale. Forse uno dei tanti impegni che l’Europa dovrebbe prendersi nei confronti dei cittadini è proprio questo. Ma anche senza una iniziativa comune europea, l’Italia dovrebbe autonomamente riformare la sua legge elettorale (legge 18 del 1979), la più antica vigente, almeno per quanto riguarda l’età per candidarsi, se non vuole condannarsi a una totale assenza di giovani tra i suoi rappresentanti.
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Henri Schmit
Penserei a riformare la legge per eleggere le due camere del parlamento italiano prima di rivendicare non saprei quale omogeneità europea! L’UE è una confederazione di stati sovrani e alcune regole (non devono ma) possono benissimo essere decise, in qualche misura, stato per stato. Sono gli stati, i loro governi sostenuti dai loro parlamenti eletti più o meno democraticamente che attraverso il Consiglio UE decidono, legiferano, nell’UE. Il PE non è un’assemblea sovrana o rappresentativa di un popolo europeo sovrano. Detto ciò, è pure vero che alcuni stati membri usano più sfacciatamente di altri le elezioni europee come binario secondario delle politiche nazionali e strumento di riciclaggio di poltici nazionali falliti o scomodi. Mi riferisco in particolare alla F e alla D dove gli eurodeputati sono eletti – come i deputati nazionali italiani da ormai quattro legislature – su liste bloccate, sono nominati dai partit invece di essere eletti dai cittadini. E poi c’è qualcuno che si meraviglia se nascono nuovi barbari che creano una loro democrazia privata là dove lo stato ha rinunciato alla sua, a quella vera. C’è molta strada da fare, ma che ognuno inzi a pulire a casa propria, prima di imporre come legge comune i vizi e le mediocrità più frequenti !
Dario
Mi perdoni sig. Schmit, concettualmente la UE non è “una confederazione di stati sovrani”, bensi un’unione di stati che hanno ceduto per via pattizia una parte della loro sovranità. Per il resto ha ragione.
Henri Schmit
L’Unione è una confederazione di stati sovrani. Questi stati hanno deciso di riconoscere (nelle materie comuni) le regole comuni come prevalenti sulle proprie. Nello stesso tempo hanno deciso di riservare a se stessi l’ultimo potere di decisione nel Consiglio che decide a maggioranza qualificata o sui temi più importanti all’unanimità. Ogni stato è libero di uscire (articolo 50, Brexit). Se uno stato membro non si piega alle regole comuni allora il Consiglio può escluderlo dai benefici dell’UE (articolo 7 del Trattato). Questa è la situazione attuale che riguarda l’Italia. Commissione e Consiglio sono (stati di fatto troppo) deboli, non osano usare le maniere forti contro l’Italia, lo stato membro più inadempiente, che mette l’intera costruzione e soprattutto l’euro in grave pericolo. Da almeno tre lustri il governo italiano è inadempiente (deficit, riforme) e rema contro (eccezioni, Prodi, Monti Letta). I populisti al governo hanno capito (da poco) che non conviene uscire dall’euro o dalla UE; ma da inadempienti incapaci di (trovare partner per) riformare l’UE a loro gradimento ricatteranno gli altri governi e l’UE. Soluzione: una commissione più severa, meno alleati, rischio di articolo 7 e di troika, manovra fiscale drastica (imposta), più similare a quella greca che a quella di Monti. Dopo, tutti capiranno che è una confederazione, in cui tutti rimangono (condizinatamente: trattati, partner, mercati) liberi e responsabili delle loro azioni e dei loro debiti.
Henri Schmit
DEVO una SPIEGAZIONE: Pur chiamandosi unione e avendo tale progetto, l’UE è un’organizzazione internazionale governativa OIG tramite la quale 28 stati sovrani fanno numerose e importanti cose insieme, s’impegnano a sottostare alle regole comuni, ma in ultima istanza decidono loro, attraverso il Consiglio = legislatore. Gli stati rimangono sovrani (cf. politica fiscale); sono loro a decidere nell’UE e ognuno per sé nei limiti delle regole comuni, e in extremis possono subire solo la sospensione dei benefici economici (art. 7) a meno che decidano di lasciare (art. 50). Sono quindi loro che rimangono sovrani, nei limiti delle decisioni pregresse e della loro forza (Malta è meno sovrana, meno forte dell’Italia; prima di entrare; chi esce si trova in balìa alle forze globali, mercati, eserciti). L’UE non è una vera unione perché decidono gli stati e in caso di dissenso non si costringe il recalcitrante con la forza. Gli USA sono diventati unione solo con la guerra di secessione. Se quindi ci chiediamo (in una scelta binaria) se l’UE è unione sovrana di stati federati (=USA, CH, BRD) o confederazione di stati sovrani, la risposta è chiara. C’è un grave errore nell’ideologia dominante che lascia il concetto di sovranità ai sovranisti i quali approfittano di questa rinuncia. NB Manca il secondo volano sulla sovranità INTERNA, quella dell’art. 1 Cost. Conclusione: meglio accettare che sovranità = potere legittimo di decisione e responsabilità (debito), dentro lo stato e fra stati.
Savino
Gli italiani saranno capaci di sbagliare un’altra volta alle elezioni euroee. E anche se non sbagleranno, chi è oggi al potere, grazie a quel collante, non mollerà le proprie poltrone neanche di fronte ad una pesante sconfitta.