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Stato e mercato da soli non bastano

Oltre ai due pilastri tradizionali dell’economia, serve anche il supporto di una comunità coesa e forte per garantire il benessere dei cittadini. Ne parla l’autore de “Il terzo pilastro”, che chiuderà domenica 2 giugno il Festival dell’economia di Trento con un dialogo insieme a Tito Boeri.

L’importanza dell’equilibrio in una società

Questo libro si occupa dei tre pilastri che reggono una società e di come possiamo ottenere il giusto equilibrio tra di essi in modo che la società prosperi. Due pilastri su cui mi concentro sono «i soliti sospetti», lo stato e i mercati. […] Ciò che voglio reintrodurre nel dibattito è il terzo pilastro dimenticato, la comunità – cioè gli aspetti sociali della società. Quando uno dei tre pilastri subisce un indebolimento o un rafforzamento significativo – tipicamente a seguito di rapidi progressi tecnologici o di avversità economiche terribili come una depressione – l’equilibrio viene turbato e la società deve trovarne uno nuovo. […] L’interrogativo fondamentale di questo libro è come ripristinare l’equilibrio fra i pilastri di fronte al cambiamento disruptive di carattere tecnologico e sociale in corso.

Sosterrò che molti motivi di preoccupazione in ambito economico e politico oggi nel mondo, compresa l’ascesa del nazionalismo populista e dei movimenti radicali di sinistra, possano essere imputati all’indebolimento della comunità. Stato e mercati hanno ampliato il proprio potere e la propria portata in parallelo, e lasciato relativamente priva di potere la comunità nel far fronte al profondo e disomogeneo impatto dei cambiamenti tecnologici. […]

Il ruolo della comunità

La comunità svolge ancora vari ruoli importanti nella società. Tiene l’individuo ancorato a una serie di reti umane reali e gli conferisce un senso di identità; la nostra presenza nel mondo è confermata dall’impatto che abbiamo sulle persone che ci circondano. Permettendoci di partecipare a strutture di gestione locale – come le associazioni che mediano il rapporto fra genitori e docenti, i consigli scolastici, i consigli bibliotecari e i comitati di supervisione di quartiere – oltre che alle elezioni locali per nominare la giunta comunale o distrettuale, la comunità ci conferisce un senso di autodeterminazione, di controllo diretto sulla nostra vita, rendendo al tempo stesso i servizi pubblici locali più funzionali per noi. […]

Se capiamo che la comunità conta, diventa chiaro perché registrare una forte crescita economica – l’indicatore di performance prediletto dagli economisti – non è sufficiente per un paese. Anche i modi in cui la crescita è distribuita tra le comunità del paese contano immensamente. Le persone che considerano importante rimanere nella propria comunità non sono molto mobili. Dato che non possono trasferirsi altrove per andare a lavorare là dove vi è crescita, hanno bisogno che questa abbia luogo nella loro comunità. Se teniamo alla comunità, dobbiamo tenere alla distribuzione geografica della crescita.

Il disequilibrio di oggi tra i pilastri

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Qual è dunque la fonte dei problemi attuali? In una parola, il disequilibrio! Quando esiste il corretto equilibrio fra i tre pilastri, la società è nelle condizioni migliori per poter garantire il benessere della popolazione. […]
I pilastri sono oggi affetti da un grave disequilibrio. Gli effetti diretti della rivoluzione dell’Ict attraverso l’automazione, e gli effetti indiretti ma più localizzati della concorrenza commerciale, hanno portato alla distruzione di molti posti di lavoro in certe comunità dei paesi sviluppati. […]

La rivoluzione tecnologica sta avendo effetti dirompenti anche al di fuori delle comunità afflitte da problemi economici. Sta determinando un incremento significativo dello scarto fra il salario medio e quello delle persone più capaci, con le migliori impiegate da «aziende superstar» che offrono stipendi elevati ed esercitano un dominio sempre più marcato in vari settori. Ciò spinge le famiglie di ceto medio-alto ad allontanarsi da comunità in cui vive una popolazione mista sotto il profilo economico e a trasferire i figli in scuole situate in comunità più ricche, dove verranno educati meglio insieme ad altri bambini che come loro vengono seguiti in maniera adeguata. […]

Gli altri vengono lasciati indietro all’interno di comunità in declino, dove è più difficile per i giovani imparare ciò che serve per svolgere lavori desiderabili. Le comunità rimangono intrappolate in un circolo vizioso in cui il declino economico alimenta quello sociale, che a sua volta alimenta un ulteriore declino economico… Le conseguenze sono devastanti. […]

Il populismo come rifugio

Quando la comunità più vicina è disfunzionale, gli individui alienati hanno necessità di qualcos’altro verso cui incanalare il proprio bisogno di appartenenza. Il nazionalismo populista offre la visione seducente di una «comunità immaginata» più grande e più rilevante […]. È populista in quanto attribuisce all’élite corrotta la colpa delle condizioni in cui si trovano le persone. È nazionalista […] in quanto consacra il gruppo di maggioranza dei nativi del paese come vero erede della tradizione culturale e della ricchezza nazionale. I nazionalpopulisti vedono le minoranze e i migranti – prediletti dall’establishment elitario – come usurpatori e incolpano i paesi stranieri della mancata prosperità. Tali avversari fabbricati ad arte sono indispensabili ai fini dell’agenda nazionalpopulista, perché spesso poco altro tiene unito il gruppo di maggioranza; il legame al suo interno non è realmente basato su un vero senso di comunità, perché le differenze fra i vari sottogruppi in genere sono significative.

Il nazionalismo populista minerà il sistema delle democrazie liberali di mercato che ha portato i Paesi sviluppati all’attuale prosperità. […] Rischia di far cessare l’attività sui mercati globali, proprio quando questi Paesi stanno invecchiando e hanno bisogno sia di una domanda internazionale relativa ai loro prodotti sia di giovani migranti qualificati che rimpinguino la forza lavoro in declino. È pericoloso perché attribuisce colpe e non offre vere soluzioni, ha bisogno di un flusso costante di «cattivi» per preservare l’energia della sua base e avvicina il mondo al conflitto invece che alla cooperazione sui problemi globali. Malgrado i nazionalpopulisti sollevino questioni importanti, il mondo non può permettersi le loro soluzioni miopi. […]

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La risposta è: più localismo

La soluzione a questo problema, e a molti altri che affliggono la nostra società, non passa principalmente attraverso lo stato o i mercati. Si tratta semmai di rivitalizzare la comunità e di far sì che svolga le sue funzioni essenziali in modo migliore, l’istruzione per esempio. Solo così avremo l’opportunità di attenuare la seduttività delle ideologie radicali. Esamineremo vari modi per compiere questa operazione, ma forse il più importante consiste nel ridare alla comunità il potere che lo stato le ha costantemente sottratto. A mano a mano che i mercati sono diventati globali, gli organismi internazionali […] si sono appropriati di un potere che hanno sottratto agli stati, apparentemente per facilitare il funzionamento dei mercati globali. […]

I nazionalpopulisti hanno una visione esagerata di questa migrazione di potere verso gli organismi internazionali, ma il fenomeno è reale. Più problematico, all’interno dei singoli paesi, è il fatto che lo stato abbia usurpato molti poteri alla comunità per soddisfare gli obblighi internazionali, armonizzare le regolamentazioni tra le varie comunità e garantire che i finanziamenti pubblici venissero utilizzati in modo opportuno. Tutto questo ha ulteriormente indebolito la comunità. Dobbiamo invertire il trend. A meno che non sia assolutamente essenziale per mantenere l’ordine, il potere dovrebbe tornare dagli organismi internazionali agli stati. Inoltre, all’interno dei singoli paesi il potere e i fondi dovrebbero tornare dal livello centrale a quello delle comunità. […] Se tale decentramento verrà attuato con cura, salvaguarderà i benefici associati ai mercati globali e al tempo stesso trasmetterà alle persone un maggior senso di autodeterminazione. Il localismo – inteso come accentramento di più poteri, spese e attività nella comunità – sarà un modo in cui potremo far fronte alle disorientanti tendenze centrifughe dei mercati globali e delle nuove tecnologie.

Raghuram Rajan, Il terzo pilastro, Bocconi EDitore, 2019, pag. 532, 29,50 euro.

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Prima gli italiani: una politica sopra le righe

  1. Stefano Asterino

    Buongiorno Dott. Rajan, le faccio i miei più sinceri complimenti per il suo libro “Terremoti finanziari” che per me è stata una illuminazione sulle cause che hanno portato alla crisi finanziaria del 2008 (che Lei per primo in una famosa riunione aveva segnalato ad una platea “ostile” di banchieri). Le volevo chiedere, a riguardo, come giudica le politiche post crisi degli USA e dell’Europa e, da ex Governatore della Banca Centrale Indiana, come giudica le politiche della Banca Centrale Europea. Sono molto curioso di leggere il suo libro che ho appena acquistato. Grazie per l’attenzione.

  2. Savino

    Assurda l’idea che tutto possa essere pilotato dal basso. La massa vuole “andare a comandare”, ma l’egoismo primeggia e ci si comporta più da gregge che da popolo. Manca ogni educazione civile e civica e, nello specifico, manca ogni educazione finanziaria. Alla massa interessa solo usurpare la poltrona e lo stipendio all’èlite per andarci in crociera o comprare l’ultimo modello di smartphone. Questo popolino non ha ambizioni di diventare grande e non sarebbe capace di distinguere lo statalismo dall’economia di mercato. Quanto al localismo, esso è solo la spartizione corruttoria su base territoriale.

  3. Michele

    Magari la situazione italiana fosse quella descritta nell’articolo! Il problema italiano è che nessuno dei 3 pilastri tiene più. Non è un problema di equilibrio. Il mercato in italia non è mai stato amato, così come non è mai sta amata la meritocrazia e la trasparenza. Dove sono le aziende italiane “superstar”? Quelle buone o vengono vendute a investitori stranieri o se ne vanno dal paese. La rivoluzione tecnologica tarda ad arrivare. Lo stato è sempre più debole, indebitato ed e diventato solo fonte di arricchimento indebito dei più furbi. La scuola pubblica è stata sistematicamente indebolita negli ultimi 30 anni. Per non parlare della comunità: l’Italia è il paese dei campanili, del provincialismo esasperato, il senso della comunità non esiste neanche a livello locale. Il localismo in Italia ha solo portato maggior corruzione.

  4. Henri Schmit

    Forse perché non sono un economista, faccio fatica a cogliere l’originalità e la pertinenza di queste tesi centrate sull’importanza di un terzo pilastro fra Stato (potere normativo esercitato su una comunità) e mercato (condizioni regolamentate e sovrvegliate create da uno o più stati all’interno delle quali le forze economiche reali – individui, imprese (=comunità!) e stati – agiscono, scambiano, producono,consumano, posseggono). Questo terzo pilastro sarebbero le comunità, presumo a tutti i livelli e di tutti i tipi. Le comunità creano senso di identità fra individui (bella scoperta!), ma non è lo Stato l’unico potere che in ultima istanza garantisca protezione? Alcune comunità possono ambire a diventare stato (USA 1776, Irlanda 1920, Scozia, Catalogna e forse Veneto oggi). Non vedo che cosa il terzo pilastro aggiunga ai due precedenti (tranne una certa dose di gradito relativismo, ma anche tanta confusione). Più pertinente mi sembra l’affermazione sui disequilibri, che forse dovremmo interpretare come crescente disuguaglianza (Atkinson, Picketty), ma allora non è originale. Mancano (nelle numerose recensioni trovate in internet) proposte per appianare gli squilibri. Su questo tema è più preciso Bernie Sanders e i suoi consulenti (in aprile Stephanie Kelton è stata a Milano ospite della http://fondazionefeltrinelli.it/democrazia-minima/). Intanto l’Italia va in un’altra direzione: affermazione dell’identità delle comunità substatali SI, ma lotta contro gli squilibri NO.

  5. Ho appena finito di leggere il libro e complessivamente mi è piaciuto anche se in larga parte è una ricostruzione storica della evoluzione dello Stato e del Mercato dal feudalismo ad oggi. Ricostruzione interessante e anche ben scritta. Riguardo alla tesi sui tre pilastri sono abbastanza d’accordo ( l’ho sostenuta sul mio blog prima di leggere il libro) anche se per me il terzo elemento più ampio è la democrazia di cui le comunità sono una parte essenziale ma non unica, cioè l’unico modo per tenere a bada i due altri pilastri ( Stato e Mercato) è la partecipazione e consapevolezza dei cittadini ovviamente con la evoluzione e sviluppo di modalità più appropriate di controllo e verifica da parte dei cittadini; in questo ad esempio vede favorevolmente alcuni tentativi fatti da noi dai 5 stelle anche se non condivido come vengono attuati. Bisogna sopratutto capire che la democrazia non si può ridurre solo alle elezioni , deviazione moderna rispetto all’ideale di democrazia ( vedi saggio di Manin). Quindi a mio personale parere il discorso delle comunità è solo una parte del problema anche se l’idea di fondo dell’equilibrio dei poteri è giusta.

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