In un anno di governo Lega-M5s sono state poche le risorse messe a disposizione del sistema formativo. Gli interventi hanno risposto spesso a problemi contingenti. E non c’è nessun impegno a sanare le diseguaglianze che caratterizzano la scuola italiana.

Risposte solo a problemi contingenti

In un anno di governo Lega-Movimento 5 stelle le risorse messe a disposizione del sistema formativo italiano sono state poche e gli interventi non sono andati nella direzione di cercare di sanare le evidenti diseguaglianze che lo contraddistinguono. Il rischio, alla luce dei risultati elettorali, è che si intraprendano azioni ancor meno ispirate a principi di equità.

Gli interventi che hanno riguardato il sistema scolastico, più che dettati da un progetto teso al raggiungimento di obiettivi specifici, sembrano essere imposti dall’esigenza di risolvere problemi contingenti e rispondere a istanze specifiche. Alle difficoltà emerse nell’applicazione dell’alternanza scuola-lavoro si è risposto riducendo il numero di ore dedicate a queste attività. Una scelta per alcuni versi opportuna, ma per altri assolutamente inadeguata a rispondere alle problematiche incontrate dai nostri studenti. Opportuna perché, in molti casi, i progetti di alternanza scuola-lavoro hanno tolto tempo alle attività mirate all’acquisizione di competenze di base, fondamentali per un solido processo di formazione, senza riuscire a offrire valide possibilità di acquisizione di competenze trasversali. Tuttavia, per affrontare le sfide che un mondo del lavoro sempre più complesso e in evoluzione pone alle nuove generazioni non basta togliere, è necessario aggiungere. Occorre aggiungere soprattutto laddove ci sono forti gap da colmare e laddove il percorso di formazione è professionalizzante e deve quindi permettere agli studenti di acquisire competenze spendibili sul mercato del lavoro.

Non è chiaro (in termini di contributo al miglioramento del processo formativo) neanche il progetto che ha indotto a modificare i requisiti per il reclutamento dei professori, abolendo il percorso Fit, che prevedeva un periodo di formazione iniziale e un graduale inserimento nella funzione docente. In questo modo, si è abolita qualsiasi forma di tirocinio con il rischio di mandare in cattedra chi, pur essendo competente nelle discipline in cui è specializzato, non sa molto su come trasmettere il proprio sapere e su come interagire con gli allievi.

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Difficili da inserire in un quadro di miglioramento della didattica anche il concorso straordinario non selettivo riservato a coloro che avevano maturato due anni di supplenza nella scuola primaria e dell’infanzia e le quote di posti nei concorsi riservate ai precari. Sono misure volte a rispondere alle legittime istanze del precariato, ma queste ultime andrebbero contemperate con quelle di chi non ha voce (perché non vota o non è organizzato in sindacati), i giovani laureati e laureandi che potenzialmente potrebbero essere ottimi insegnanti e gli studenti. La nostra scuola ha bisogno di docenti dotati di elevata professionalità che tornino ad avere un ruolo autorevole nella nostra società: lo si può ottenere utilizzando criteri selettivi più stringenti, richiedendo un elevato impegno e al contempo offrendo stipendi più elevati. Si tratta anche qui di aggiungere e di farlo con criterio. Né basta, per fare qualcosa di significativo per la nostra scuola, cedere alla tentazione (irresistibile per tutti i ministri) di riformare l’esame di maturità.

Lo si può fare concentrando le politiche dell’istruzione sui contenuti e sulla qualità dell’insegnamento, investendo sulla prima infanzia, sulle scuole di periferia, su quelle frequentate dagli immigrati, sugli istituti tecnici e professionali in modo da renderli appetibili anche per studenti che provengono da un background socio-economico migliore (specie al Sud Italia la suddivisone licei/altre scuole costituisce un sistema di segregazione sociale). Lo si può fare cercando di rafforzare le capacità già esistenti, di far emergere le eccellenze, ma anche e soprattutto cercando di colmare le carenze al fine di offrire opportunità anche a chi non può trovarle altrove. La scuola non deve lasciare le cose come stanno, ha il dovere di cambiarle, di offrire opportunità e speranza a tutti e soprattutto a coloro che ne hanno maggiore bisogno.

Dare priorità alla scuola

Di fronte all’urgente necessità di equità del nostro sistema scolastico di solito ci si difende lamentando la mancanza di risorse. Tutti vorremmo una scuola più equa, ma dove trovare le risorse? La risposta alla domanda è che bisogna fare delle scelte, decidere sulle priorità. Se teniamo al futuro dei nostri figli e crediamo nel valore dell’istruzione, allora la scuola deve essere la priorità.

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Ai limiti derivanti dalla scarsità di risorse, questo governo (o almeno alcune sue componenti) aggiunge una certa disattenzione ai temi dell’equità. Ne è prova l’autonomia differenziata e la regionalizzazione del sistema scolastico che ne potrebbe derivare. In questo ambito, il “prima gli italiani” si trasforma in maniera piuttosto evidente in “prima quelli della mia regione”. La distinzione tra noi e voi è una pericolosa deviazione dal principio di eguaglianza. Chi siamo noi e chi sono gli altri? Di solito, ahimè, gli altri sono i più deboli, quelli mancanti delle risorse riservate a noi.

La scuola ha bisogno di azioni, ma anche di parole che, oltre a rimarcare, rivendichino il ruolo cruciale che ha nell’assicurarci un cammino di crescita e di equità, creando le competenze che ci permetteranno di beneficiare e, in alcuni casi, di adattarci ai grandi cambiamenti che derivano dal progresso tecnologico e dalla globalizzazione con cui – ci piaccia o meno – dobbiamo fare i conti. E facendo in modo che queste competenze siano diffuse, che siano accessibili alla maggior parte degli individui per evitare così il tramandarsi di diseguaglianze che in un arco temporale anche non troppo lungo potrebbero mettere in pericolo gli stessi principi fondanti della nostra comunità.

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