Per la prima volta da febbraio 2012, il tasso di disoccupazione è sceso sotto il 10 per cento mentre il tasso di occupazione è al livello più alto dal 1977. Buone notizie, certo. Ma rimangono da affrontare sfide enormi, con riflessi diretti sulla qualità di vita e di lavoro dei cittadini italiani.
La buona notizia
Il fatto che il tasso di disoccupazione si attesti a maggio sotto la soglia psicologica del 10 per cento dopo sette lunghi anni merita un’eccezione alla regola (autoimposta) di astenersi dal commentare i dati mensili sul mercato del lavoro. In genere, i numeri mensili diventano l’occasione per una gara a osannare o condannare le politiche del governo in carica sulla base di variazioni a volte nemmeno statisticamente significative e destinate ad essere contraddette il mese successivo. Anche in questo caso, non è da escludere che il passaggio sotto il 10 per cento si riveli di breve durata e che la stima venga rivista al rialzo nei prossimi mesi o che una folata di vento nel prossimo mese riporti il dato in doppia cifra.
Però, un tasso di disoccupazione sotto il 10 per cento non si vedeva dal febbraio 2012 e non è l’unica notizia positiva nel comunicato dell’Istat del 1° luglio.
Infatti, anche se meno simbolico, eppure dal punto di vista sostanziale più significativo, il tasso di occupazione delle persone tra i 15 e i 64 anni è arrivato al 59 per cento, il livello più alto da quando sono disponibili le serie storiche (1977).
La crescita dell’occupazione è trainata da tutte le forme di impiego: aumentano i dipendenti con contratto a tempo indeterminato, determinato e gli autonomi. I dipendenti superano per la prima volta il livello di 18 milioni di unità. Rispetto ad aprile, sono soprattutto gli uomini a trainare la crescita, ma se si guarda a un anno fa, crescono sia uomini che donne. In termini di età salgono gli occupati sia tra i giovani sotto i 25 anni sia tra i senior sopra i 50 (al netto della componente demografica, la variazione è positiva per tutte le classi di età, ma resta spinta soprattutto dai senior). Tuttavia, la disoccupazione giovanile rimane sopra la soglia del 30 per cento.
Il quadro generale
Ovviamente, l’entusiasmo per essere scesi sotto la barriera psicologica del 10 per cento e aver raggiunto livelli di occupazione record non deve far perdere di vista il meno roseo quadro d’insieme. Negli altri paesi europei, salvo Grecia e Spagna (che ancora fanno peggio di noi) e Francia (che rimane a livelli di disoccupazione strutturalmente alti, in questo momento 8,6 per cento), si parla di piena occupazione e di un “boom” di posti di lavoro. Anche in termini di occupazione, il 59 per cento corrisponde pur sempre solo a 23 milioni di occupati in un paese di 60 milioni di abitanti, cosicché l’Italia resta al penultimo posto davanti alla Grecia.
Vista la crescita anemica del Pil degli scorsi vent’anni è difficile pretendere di più. Anzi, in termini di numero di occupati, l’occupazione continua a crescere al di là di quanto i magri risultati del Pil potrebbero far sperare. Continua la “productless recovery” italiana, cioè una ripresa senza prodotto e soprattutto senza produttività. E, infatti, se si scava un po’ di più, la situazione resta molto problematica. In termini di ore lavorate siamo ancora ben lontani dai livelli pre-crisi. Il tempo parziale involontario è raddoppiato nei dieci anni passati dall’inizio della crisi. E i salari, come la produttività del lavoro, rimangono al palo: al netto dell’inflazione, tra fine 2012 e fine 2018 i salari sono aumentati a una media annuale dello 0,16 per cento, un quarto della già bassissima crescita pre-crisi (0,62 per cento di crescita reale media annua tra il 2000 e il 2007). E ancora, se si corregge per gli effetti demografici (e cioè per il fatto che per i lavoratori a fine carriera sono aumentati gli anni di lavoro con la riforma Fornero), la durata dei rapporti di lavoro si è ridotta. Questo significa che non si è più bloccati nello stesso posto di lavoro per tutta la vita. Tuttavia, è anche il risultato di un aumento della mobilità “subita” a cui, nonostante i nuovi strumenti previsti dal Jobs act, non corrispondono ancora strumenti di sostegno di reddito pari a quelli di altri paesi Ocse.
La distanza tra il tasso di occupazione degli uomini (68,1 per cento) e quello delle donne (50 per cento), poi, rimane enorme. La metà esatta delle donne italiane tra i 15 e i 64 anni continua a rimanere a casa. Si tratta di uno spreco di risorse che non riflette solo preferenze di genere specifiche (quanto volute? Quanto subite? E comunque quanto sostenibili visto lo stato della casse pubbliche e familiari?), ma una mancanza di servizi e di politiche per le famiglie adeguate.
Al di là delle buone notizie del comunicato Istat, rimangono sfide enormi che hanno riflessi diretti sulla qualità di vita e di lavoro dei cittadini italiani. Tuttavia, esser nuovamente scesi sotto la soglia del 10 per cento mostra che, anche quando i ritardi economici e sociali italiani sembrano irrecuperabili, è comunque possibile far meglio. Bisognerebbe, però, che questa fosse l’ossessione che anima la classe dirigente italiana (politica, ma anche imprenditoriale e intellettuale). I temi che interessano, invece, sembrano essere altri.
Lavoce è di tutti: sostienila!
Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!
Savino
Come si fa a dire che sono buone notizie quando la ampia fascia 18-50 anni è praticamente esclusa e quando il part-time involontario abbonda?
Gianni Damilano
Mi chiedo, quanto pesa in questo risultato la politica previdenziale del governo (e.g. quota100) e a quali costi ?
stefano dal poz
Non desidero ripondere, voglio associarmi a questa richiesta: quanto può aver influito quota 100 e RdC all’aupento degli occupati…Sono imprenditore e “vedo” l’economia rallentare, non vertiginosamente ma in maniena moltoindulente, e i dati sulla produzione indistriale lo confermano.
Nice
Occupazione aumentata perché la popolazione è diminuita, la solita presa in giro degli italiani, interpretate i numeri per raccontare bugie su bugie
Michele
La stagnazione della produttività in Italia da 15/20 anni è il risultato di volute politiche economiche portate avanti da destra e sinistra, PD, FI e Lega da almeno 25 anni: deflazione salariale, riduzione dei diritti e precarizzazione del lavoro unitamente al favoreggiamento delle imprese che lavorano al riparo della concorrenza internazionale grazie a concessioni pubbliche, evasione e elusione fiscale, condoni fiscali, opachi appalti pubblici etc Se il fattore critico di successo della maggioranza delle imprese diventa il rapporto “privilegiato” con la politica, della produttività non se ne cura più nessuno, basta pagare sempre meno un lavoro sempre meno qualificato..
Gaetano Proto
Il grafico che mette a confronto il tasso di disoccupazione italiano con quelli europei (UE ed eurozona) dal 2000 a oggi è impressionante, e rende semplicemente incomprensibile l’enfasi sull’andamento dell’ultimo mese. Per ben un decennio, tra il 2002 e il 2011, la disoccupazione italiana è stata più bassa: in particolare, tra agosto 2004 e aprile 2007 e poi tra luglio 2010 e giugno 2011 lo scarto rispetto all’UE era dell’ordine di 1,5 punti a nostro favore. Poi la situazione si è rovesciata: la fase comune di aumento della disoccupazione iniziata circa a metà 2011 in Italia è stata molto più intensa (+5,3 punti percentuali, contro +1,5 per l’UE e +2,2 per l’Eurozona) e lunga (il picco del 13,1% è stato raggiunto a novembre 2014, in Europa a giugno 2013). Ma anche la successiva fase di rientro è stata molto più accidentata per noi, con una interruzione tra agosto 2015 e novembre 2016 che non trova riscontro in Europa. Come risultato finale, nel “radioso” mese di maggio il nostro differenziale rispetto all’Eurozona è pari a 2,4 punti percentuali, che diventano 3,6 rispetto all’UE. Sarebbe il caso di evitare patetici trionfalismi e di spiegare cosa si vuol fare per ridurre la distanza dall’Europa: senza tener conto che il governo nel DEF di aprile ha programmato una crescita della disoccupazione (vedi qui: https://www.lavoce.info/archives/59536/dal-reddito-di-cittadinanza-un-secondo-spread-per-litalia/ ) per quest’anno e il prossimo, ma forse non se lo ricorda.
Antonio Zanotti
Da tempo i dati sull’occupazione erano dati attraverso un comunicato congiunto Mise – Istat – Inail – Inps – Anpal. Perché questo comunicato porta solo la firma Istat?