Flat tax al 15 per cento e reddito di cittadinanza sono i cardini del fisco targato Lega-M5s. Ma non sono misure che si autofinanziano, neanche nelle loro versioni ridotte. Ci sono altri modi per migliorare gli incentivi indotti dal sistema fiscale.
Promesse e realtà
Il programma di governo di Lega e Movimento 5 Stelle prevedeva originariamente una “flat tax” al 15 per cento per tutti e il cosiddetto reddito di cittadinanza, un sussidio universale con reddito garantito mensile di 780 euro. Per il momento, il Rdc è stato introdotto in una versione che ne limita molto l’universalità. A sua volta la Lega propone ora la mini flat tax, una sorta di regime separato per le famiglie con redditi medio-bassi. La realizzazione parziale di quanto promesso è comunque presentata come un primo passo per raggiungere l’obiettivo iniziale.
Un argomento importante riguarda gli incentivi. La Lega sostiene che la flat tax potrebbe ripagarsi da sola: la tassazione più bassa e meno progressiva incentiverebbe a lavorare e guadagnare di più, con un conseguente aumento del gettito fiscale grazie all’aumento del reddito imponibile e dei consumi. Il M5s ha sostenuto un argomento simile per il reddito di cittadinanza, basato sull’aumento dei consumi e del gettito ottenuto dalle imposte indirette. Mentre ha giudicato irrilevanti o facilmente contrastabili gli effetti di disincentivo sull’offerta di lavoro.
Le cinque riforme possibili
Possiamo valutare gli effetti di incentivo utilizzando un modello che permette di simulare le nuove scelte delle famiglie di fronte a riforme del sistema fiscale. I risultati aiutano a spiegare perché il programma originario di Lega e M5s è irrealizzabile e perché gli incentivi sono ben lontani dal garantire l’autofinanziamento.
Consideriamo due tipi di imposta sui redditi personali: 1) tassazione corrente; 2) flat tax al 15 per cento per tutti con esenzione per i redditi sotto i 3 mila euro; e tre sistemi di sostegno del reddito:
- nessun sostegno. Tutti i trasferimenti sono eliminati. È solo un punto di riferimento per evidenziare il ruolo delle altre politiche;
- politica corrente. Comprende tutti i trasferimenti correnti, compresi il Reddito di Inclusione e gli “80 euro”;
- reddito di cittadinanza: reddito garantito di 780 al mese per un singolo. Si riceve quindi un trasferimento uguale alla differenza tra 780 e il proprio reddito, se questa differenza è positiva. È la forma originariamente proposta, estesa a tutta la popolazione. I trasferimenti correnti vengono sottratti ai trasferimenti previsti dal Rdc.
Ne risultano cinque possibili “riforme” rispetto allo scenario attuale. Di ciascuna simuliamo il gettito fiscale netto a seconda di due metodi alternativi:
- simulazione aritmetica. Tiene conto solo della variazione di gettito dovuta alle nuove regole fiscali. Offerta di lavoro e gettito generato dal consumo rimangono invariati;
- simulazione comportamentale. Tiene conto sia delle tasse sia delle decisioni di consumo e lavoro.
Il grafico 1 mostra quale percentuale del gettito fiscale corrente viene coperta in ciascun caso. Il gettito fiscale comprende l’Irpef, le imposte sul consumo e i contributi previdenziali.
Le differenze più significative riguardano lo scenario “Rdc+ft. Se ignoriamo gli effetti sul consumo e sull’offerta di lavoro, copriamo solo il 75 per cento del gettito da raggiungere. Cioè, facendo riferimento a un fabbisogno fiscale di circa 600 miliardi, ne mancano 150. Se consideriamo anche gli effetti sulle decisioni di lavoro e di consumo arriviamo all’81 per cento. In altre parole, con gli effetti di reazione comportamentale (crescita di lavoro e consumo) recuperiamo circa 36 miliardi.
Stiamo qui parlando della versione più estesa e completa della politica Rdc+ft. Versioni ridotte porterebbero ad ammanchi fiscali inferiori, ma l’effetto relativo delle reazioni comportamentali cambierebbe poco. Restiamo comunque molto distanti dall’autofinanziamento.
Ci si va più vicino lasciando cadere uno tra Rdc o flat tax. Il programma originario che prevede entrambe le misure è troppo costoso e pecca per un disegno che penalizza i possibili incentivi per le famiglie più povere.
Il reddito di cittadinanza è disegnato in modo da attivare solo incentivi negativi, imponendo una tassa marginale che tocca il 100 per cento per valori di reddito inferiori a circa 9 mila euro (non rari in molte regioni). A sua volta, è troppo debole lo stimolo all’offerta di lavoro indotto dalla flat tax per tutti. I due alleati di governo tentano di realizzare versioni ridotte del programma originario, purché contengano entrambi i “feticci” dei 780 euro e della flat tax al 15 per cento. Tuttavia, le versioni ridotte sembrano avere pesanti effetti di inefficienza e iniquità (qui e qui). La mini-flat tax per le famiglie al di sotto dei 55 mila euro cancellerebbe ogni spinta a migliorare la propria posizione lavorativa e salariale.
Se si volessero davvero migliorare gli incentivi indotti dal sistema fiscale e introdurre un reddito di base universalistico rispettando il vincolo di bilancio, si dovrebbero abbandonare entrambi i “feticci” del minimo garantito di 780 euro (troppo elevato) e della flat tax al 15 per cento (troppo bassa) e prestare più attenzione agli stimoli per le famiglie al di sotto della soglia di esenzione. Vi sono alternative – alcune già esemplificate in un precedente articolo – che rispettano il vincolo di bilancio e possono migliorare la condizione di una maggioranza di famiglie per quasi tutti i livelli di partenza. Oltre a una flat tax più elevata, la loro caratteristica principale è che, sotto la soglia di esenzione, il reddito disponibile cresce al crescere del proprio reddito (a differenza di quanto accade con il Rdc): in questo modo, oltre a dare un sostegno al reddito, si attiva un incentivo alla partecipazione al lavoro. Esistono, insomma, riforme che migliorano equità ed efficienza senza mandare in crisi i conti pubblici e senza confidare in miracolosi recuperi di gettito.
Grafico 1
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Alessandro Bellotti
La prima cosa che mi viene da pensare è che questo governo, facendo meno debito dei precedenti governi, sta cercando di aiutare i veri poveri (RDC) ed abbassare le tasse. Il rapporto deficit/PIL se confermato al 2%, viste le cifre in ballo del RDC e della riduzione delle tasse, rappresenta un ottimo risultato.
Michele
Rdc e FT sono due cose distinte, ben diverse e assolutamente indipendenti. RdC è un atto di giustizia, uno schema comune in tutti i paesi UE importanti e serve anche a ridurre la sperequazione salariale. Da solo non basta ma segna una inversione di tendenza dopo oltre 20 anni di precarizzazione del lavoro e deflazione salariale che non hanno portato a incrementi della produttività. RdC serve anche a controbilanciare i troppi trasferimenti (leggi regali) alle imprese (vedi tra l’altro i 16.7 mld buttati dal Jobact di Renzi e industria 4.0) senza ottenere un recupero dei livelli degli investimenti privati, tuttora del 20% inferiori a 2007. FT invece è una presa in giro, irrealizzabile e incostituzionale.
Giuseppe GB Cattaneo
Concordo con il commento di Alessandro Bellotti, l’operato di questo governo e migliore dei precedenti. Ma concordo ancor di più con l’analisi del professor Colombino.
Carlo
La tassa marginale del reddito di cittadinanza può essere anche del 150 % perché siccome non costituisce reddito, un giovane sposato può mettersi a carico, quindi godere delle detrazioni per carichi di famiglia e per oneri detraibili e deducibili, i genitori, i fratelli, le sorelle, i nonni, i suoceri ed i cognati, se tutti questi hanno il reddito di cittadinanza.
Inoltre il dibattito della flat tax sembra alquanto semplicistico perché abbassando le aliquote in un sistema equo tutti i redditi forfetari o con deduzioni forfetarie dovrebbero scomparire: chissà se i raccoglitori di tartufo preferiscono la flat tax del 15% oppure l’imposta attuale di 100 euro.
E poi ingiusto che scompaiano le detrazione per lavoro dipendente: i redditi degli autonomi e delle imprese vengono tassati al netto delle spese e dei contributi agli ordini, a Confindustria ecc, mentre i dipendenti dovranno pagare l’irpef su un reddito lordo.