Il Rapporto annuale sugli stranieri nel mercato del lavoro in Italia disegna un quadro in chiaroscuro, tra progressi e difficoltà. Indica le tematiche che un eventuale nuovo governo dovrebbe affrontare, senza continuare a inseguire aspetti marginali.
Il Rapporto sugli stranieri nel mercato del lavoro
Viviamo giorni d’incertezza di fronte all’evoluzione politica del paese, ma non manca la speranza di una svolta che segni una netta discontinuità nelle politiche migratorie. Per oltre un anno, la discussione sul tema è stata polarizzata sugli sbarchi dal mare e sull’asilo, salvo occasionalmente allargarsi alla cronaca nera. Basta andare a rileggere il contratto su cui nacque il governo Conte-Salvini-Di Maio. Migranti e rifugiati sono sistematicamente confusi e si parla di “flussi migratori” per intendere gli arrivi dal mare. Oggi scarsissimi, ma sempre minoritari anche negli anni scorsi rispetto alle altre modalità d’ingresso: famiglia, studio, lavoro e diverse altre. Senza contare, beninteso, i migranti interni all’Ue (1,5 milioni in Italia), che non hanno bisogno di permessi per insediarsi nel nostro paese.
È dunque importante, nel momento in cui potrebbe nascere un governo diverso, confrontarsi con analisi statistiche, meglio se di fonte istituzionale, che ci restituiscono un quadro più obiettivo e completo dell’immigrazione del nostro paese. Tra queste va annoverato il Rapporto annuale sugli stranieri nel mercato del lavoro in Italia, pubblicato dal ministero competente, la cui nona edizione è uscita nei giorni scorsi.
Va ammesso che nemmeno la partecipazione occupazionale degli immigrati sfugge al fuoco delle polemiche. Quando non lavorano, sono bollati come parassiti mantenuti dalle tasse dei contribuenti. Quando lavorano, sono accusati di rubare il pane agli italiani, oppure di essere braccia a disposizione di biechi sfruttatori. Quando intraprendono, si pensa che godano di indebiti vantaggi, di aiuti pubblici, di esenzioni fiscali o altri favoritismi.
Il Rapporto ministeriale aiuta a fare un po’ di chiarezza al riguardo. Il primo dato è che l’occupazione regolare degli immigrati continua a crescere, anche se moderatamente: 2,45 milioni, pari al 10,6 per cento dell’occupazione complessiva. In altri termini, un lavoratore su dieci in Italia è straniero, senza contare quelli che nel frattempo hanno acquisito la cittadinanza italiana a dispetto della regolamentazione più restrittiva dell’Europa occidentale. In generale, il tasso di occupazione degli immigrati è più alto di quello degli italiani, uno dei pochi casi a livello Ocse, e alcune componenti nazionali brillano per operosità: tra i filippini più di otto su dieci sono occupati; cinesi, peruviani, srilankesi e ucraini superano o sfiorano un rapporto di sette su dieci.
In alcuni settori il contributo degli stranieri è particolarmente rilevante: 17,2 per cento del totale in edilizia, 17,9 per cento in agricoltura e nell’industria alberghiera; ma soprattutto 36,6 per cento nei “servizi collettivi e personali”. Qui si colloca, infatti, tra le varie occupazioni del settore, l’ingentissimo fenomeno del lavoro domestico e assistenziale a beneficio delle famiglie italiane: un ambito in cui più di sette lavoratori su dieci sono stranieri, o meglio straniere.
Il problema della sovra-qualificazione
Questa grande risorsa per puntellare i difficili equilibrismi a cui tante famiglie sono costrette ha però anche costi sociali e personali non indifferenti: per le lavoratrici straniere, quale che sia il loro livello d’istruzione e la loro esperienza professionale pregressa, il confinamento nel lavoro domestico-assistenziale è un destino a cui non è agevole sottrarsi.
Ma il problema della sovra-qualificazione vale anche per gli uomini: secondo il rapporto, 63 laureati stranieri su 100 sono occupati in posizioni per cui basterebbe un’istruzione inferiore, contro meno di 18 italiani laureati su 100. Più grave è però un altro problema: il lavoro in parecchi casi non affranca gli immigrati dalla povertà. In un quarto dei casi di immigrati in condizioni di povertà assoluta (1,5 milioni), almeno una persona in famiglia ha un’occupazione regolare.
Un’altra seria incognita riguarda le nuove generazioni di origine immigrata: il loro tasso di occupazione nell’Ue è del 69 per cento, in Italia soltanto del 28 per cento. Si profila perciò un allarme per l’integrazione sociale futura dei figli degli immigrati, che nessuno potrà cacciare da quello che ormai è il loro paese.
Il rapporto disegna dunque un quadro in chiaroscuro, di luci e ombre, progressi e difficoltà. Sarebbe di vitale importanza per un nuovo governo mettere a tema i nodi veri della questione immigrazione – quindi, per esempio, quello di nuovi ingressi per lavoro in determinati settori – invece di inseguire aspetti di fatto marginali, ma di elevata redditività propagandistica.
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Michele Daves
“Quando intraprendono si pensa che godano di indebiti vantaggi, di aiuti pubblici, di esenzioni fiscali o altri favoritismi.” andrebbe aggiunto, purtroppo, che in genere gli imprenditori stranieri, con diverse sfumature a seconda della nazionalità, sono accusati anche di maggiore evasione fiscale e in generale di non rispettare le regole, il che e’ paradossale in un paese come l’Italia dove questi comportamenti vengono sposso giustificati perfino dai politici. Addirittura l’ultimo governo ha promosso dei controlli ad hoc su esercizi pakistani e cinesi.
Giulio Biocca
Quindi visto che siamo in Italia è paradossale controllare gli stranieri? Michele sei un grande!!!
Pippo Calogero
Il fatto che in Italia ci siano elevati tassi di corruzione ed evasione fiscale non costituisce un buon motivo per condonare tali comportamenti a soggetti terzi. Il suo ragionamento è un non sequitur. Ci sono fenomeni, alcuni dei quali eclatanti, che andrebbero analizzati e spiegati con qualcosa di meglio del benaltrismo se si vogliono sfatare i luoghi comuni. Uno di questi è, ad esempio, la sostituzione etnica dell’intera filiera del tessile nel pratese, corredata da una sequela di notizie di cronaca di capannoni-dormitorio e lavoro minorile. Questi fatti lascerebbero presumere che ci siano dei tratti distintivi di natura culturale alla loro base e l’unico approccio possibile, per corroborare o confutare quest’ipotesi, sono i dati statistici e le analisi comparative. Il fatto che oltre la metà degli stranieri che presentano dichiarazione dei redditi in Italia dichiari un reddito inferiore ai 10000€/anno ci pone di fronte al sospetto che siano in larga parte evasori oppure che siano manodopera in eccesso o con qualifiche poco spendibili sul mercato del lavoro. Sarei ben felice di leggere altre spiegazioni del fenomeno, di certo non ci si può rifugiare nel “così fan tutti”.
Marco Ventoruzzo
Davvero un ottimo, equilibrato, razionale e condivisibile punto della situazione. Sarebbe ora che si riuscissero a comunicare in modo efficace queste verità e fare un serio programma di poitica immigratoria. Far capire che non si tratta di “buonismo” da limousine liberals (fermo che vi sono anche esigenze umanitarie e di giustizia sociale), ma al contrario di sviluppare approcci vantaggiosi per il Paese e tutti i suoi abitanti, italiani e non. Non posso rassegnarmi a credere che la maggioranza degli elettori non riesca ad andare oltre la bieca e superficiale propaganda, e che alle urne premi solo creare e alimentare paure irrazionali. Vi è anche un problema di efficacia comuicativa della quale i partiti e i leader più seri e responsabili devono sapersi (ri)appropriare.
Pippo Calogero
E invece si tratta proprio di “buonismo” da limousine. Perché non chiede all’esimio Ambrosini per quale motivo le donne del Bangladesh in Italia hanno un tasso di occupazione del 9% e un tasso di intattività di quasi il 90%? Noi pretendiamo pari opportunità e c’indigniamo per il fatto che non ci sia equality of outcome quando il qui presente elogia un sistema in cui le donne mussulmane sono sistematicamente escluse dal mondo del lavoro e quindi da ogni possibilità d’integrazione. Non per loro scelta. Le filippine, ad esempio, hanno un tasso di occupazione superiore a quello della controparte maschile. Le donne mussulmane sono escluse dal mondo del lavoro per motivi etnico-culturali. Chieda all’esimio Ambrosini se questo è un pregiudizio occidentale o quale sia la sua soluzione al problema. O se lo ritiene un problema…non si sa mai.
Pippo Calogero
Ambrosini, oltre la metà degli stranieri in italia dichiara meno di 10000€ di reddito annuo. Ce lo spieghi per cortesia.
Enrico Motta
Dunque il 63% dei laureati stranieri maschi fa lavori per cui non è richiesta la laurea. La cosa è grave non solo dal punto di vista italocentrico come il suo, ma anche di quello dei paesi di immigrazione, che si vedono spolpati di capitale umano, nella cui istruzione avevano investito risorse già scarse. Prenda in considerazione qualche volta che la fuga dei cervelli non c’è solo dall’Italia, ma, molto più grave per quei paesi, dai poveri ai ricchi.
Marcomassimo
E’ incredibile come esimi intellettuali si interessino con sincera sollecitudine dei problemi sociali, basta che siano degli immigrati; quelli degli italiani gli interessano molto meno; resta ovviamente il dato di fatto che anche un lavoro italiano malpagato per uno che viene dal Bangla Desh o dalla Nigeria resta sempre una vincita alla lotteria; per quanto riguarda la Cina il problema si sta risolvendo perchè là i salari sono cresciuti e di nuovi cinesi che vengano qui non ce ne sono.
Certo che se già ci sono molti italiani malpagati e disoccupati, mica si può pensare che quelli dell’africa campino di rendita appena arrivano; tuttavia il gioco vale bene la candela sennò è evidente che smetterebbero di venire; mi pare evidente anche che per questa gente un livello di vita che per un italiano è da “perdenti” e regressivo rispetto ai genitori, per questi costituisca una botta di vita terrificante, ed un salto sociale da campionato del mondo di atletica; tutto è relativo nella fisica come nelle società; relativo alla cultura, alla origine, ai punti di partenza.