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Svolta a metà sull’immigrazione

Le aperture di Francia e Germania sulla redistribuzione delle persone salvate in mare e candidate all’asilo hanno fatto parlare di svolta nelle politiche migratorie. Rimangono però incertezze e ambiguità. Perché in realtà serve tutta un’altra politica.

Fine dell’auto-isolamento italiano

Redistribuzione dei migranti e rotazione dei porti di approdo: questi sono solo alcuni dei punti dell’accordo raggiunto durante il vertice di Malta. Le aperture di Francia e Germania sulla redistribuzione delle persone salvate in mare e candidate all’asilo sono state salutate come una svolta. L’Italia non è più lasciata sola, si sottolinea con forza, mentre sul fronte sovranista si enfatizza la (lieve) ripresa degli sbarchi, ora soprattutto spontanei, come l’alba di una nuova invasione.

Gli elementi positivi non mancano. L’Italia davvero non è più sola, perché ha smesso di auto-isolarsi, di perseguitare le organizzazioni non governative impegnate nei soccorsi nel Mediterraneo, di provocare i governi europei nostri partner, per sedersi finalmente a un tavolo con loro. Ora si discute seriamente del superamento degli accordi di Dublino, e i due paesi guida della Ue hanno sostanzialmente accettato l’idea che chi arriva dal mare in cerca di asilo non vada lasciato a carico unicamente del paese di primo approdo. L’apertura è favorita dagli attuali modesti numeri di persone da accogliere, ma basterà che i gendarmi ingaggiati per sorvegliare dall’esterno le nostre frontiere (come Turchia, Niger, Libia o Tunisia) abbassino la guardia per rilanciare le partenze. La nuova emergenza a Lesbo ne è una spia. Parlare dell’hotspot di Lampedusa in crisi di sovraffollamento (90 posti e oltre 200 arrivi) testimonia che è facilissimo immaginarsi dei flussi debordanti.

La questione irrisolta

Zone di incertezza e ambiguità tuttavia restano. Come ha ricordato Sergio Mattarella, non è stato ancora messo nero su bianco se a essere redistribuiti saranno i richiedenti asilo, ossia sostanzialmente coloro che sbarcano, una volta identificati, oppure soltanto i rifugiati riconosciuti dopo un complesso processo di accertamento della fondatezza della richiesta di protezione. Sembra si vada nella prima direzione, quella auspicata dall’Italia, ma bisognerà leggere il testo dell’accordo fin nei dettagli, in cui come è noto ama nascondersi il Maligno. Inoltre, le sanzioni a carico dei paesi che non vogliono condividere l’onere dell’accoglienza rimangono sulla carta: si parla di miti compensazioni economiche che i sovranisti del gruppo di Visegrad si dichiarano dispostissimi a pagare.

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I rimpatri rimangono in gran parte un’aspirazione. Forse farne una politica europea aiuterà ad alzare i numeri, ma è difficile nutrire illusioni. Nessun governo democratico ha mai ottenuto grandi successi in materia. Le alternative ai rischiosi viaggi per mare, come i corridoi umanitari e più in generale i reinsediamenti, nonché un’accoglienza dignitosa in paesi sicuri prossimi a quelli di origine, sembrano rimanere fuori dal perimetro della discussione.

Ma a mio avviso il problema consiste nel ridurre le politiche migratorie alla gestione dell’asilo e nel ridurre l’asilo alla redistribuzione concordata dei richiedenti.

L’opinione pubblica, fuorviata dalle strumentalizzazioni politiche, è diventata iper-sensibile alla questione sbarchi. Di conseguenza, qualche centinaio di persone accolte in più o in meno vengono sbandierate come la dimostrazione del successo o dell’insuccesso nel gestire l’immigrazione. Si parla continuamente di “migranti” intendendo i profughi, di “gestione dei flussi” intendendo la gestione degli sbarchi. In Italia i rifugiati e richiedenti asilo erano a fine 2018 un po’ meno di 300 mila su oltre 5 milioni di immigrati.

L’immigrazione è un fenomeno molto più ampio e variegato rispetto agli sbarchi e all’asilo. Confonderli non è soltanto un errore sul piano cognitivo e culturale, ma una distorsione che blocca altri necessari adeguamenti delle politiche migratorie. Per esempio, una nuova legge sulla cittadinanza capace di sanare un ritardo ormai imbarazzante del nostro paese rispetto agli altri paesi compiutamente democratici nella Ue e nel mondo occidentale.

Quanto al tema specifico della gestione dei richiedenti asilo, è evidente che la politica internazionale richiede mediazioni e compromessi. La redistribuzione dal punto di vista italiano è già un successo. Ma è sconcertante che non ci si ponga il problema delle aspirazioni e dei legami dei diretti interessati. Non ci si domanda se ha senso spedire in Romania o in Portogallo persone che vogliono andare in Germania, ben sapendo che lì troveranno maggiori opportunità nel mercato del lavoro e nel sistema di welfare. Serve in realtà un’altra politica, che rimborsi i paesi più accoglienti e lasci ai rifugiati la libertà di progettare la loro nuova vita.

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La svolta dunque c’è, ma è ancora gracile. Forse promettente, ma incompiuta.

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Rappresentanza sindacale: il nodo difficile da sciogliere

  1. Henri Schmit

    Ottima puntualizzazione! Il problema è molto più grande di quanto si vuole ammettere e l’accordo molto positivo raggiunto a Malta è molto più ambiguo di quanto i declami pubblici fanno intendere. Non poteva essere diversamente. Non si tratta di politica UE ma di accordi internazionali per cambiare la logica di Dublino. Riconoscere che sbarcare in Italia anzi essere salvati in mare dall’Italia è approdare in UE è un principio da difendere ma poco più che morale. Le domande poste nell’articolo rimangono senza risposta: il presunto accordo vale per i migranti o per i rifugiati? Se per i rifugiati, vale alla richiesta o dopo l’esito positivo della procedura. Quanto vale il pre-accordo politico con F e D nei confronti degli altri paesi, divisi fra collaborativi e recalcitranti? Non contestava l’Italia all’unisono fino a ieri l’inaccettabile dispotismo del tandem carolingio all’interno delle competenze UE? E qua siamo al di fuori dei trattati (a parte Dublino), quindi tutti sono liberi! Chi pensa alla Grecia obiettivamente più in difficoltà dell’Italia, e forse meno colpevole di sovranismo fuori luogo. I dati comparativi sull’immigrazione danno torto all’Italia incapace di gestire flussi, procedure, rimpatri e processi d’integrazione. È come se la mancanza conclamata di mezzi pubblici e di capacità gestionali nel rispetto delle regole, dei diritti e degli impegni presi abbia fomentato il recente clima di intolleranza e peggio che i dirigenti F e D hanno premura di controbattere.

    • Maurizio Angelini

      Rispondo a Puricelli. Provi a calcolare che cosa pagherebbero quei migranti di cui lei auspica la permanenza a casa loro in termine di durata media della loro vita, malattie di cui potrebbero ammalarsi, guerre, tumulti e calamità naturali in cui potrebbero esser coinvolti ( faccia finta di essere un agente di assicurzione).E faccio finta che non possano, in Europa, essere in alcun modo inseriti nel lavoro.

  2. bruno puricelli

    Premesso che l’intellighenzia italiana (ma forse non solo) ha più volte dimostrato una certa idiosincrasia con le cifre, la nota si sintonizza sulla bontà o meno dell’accordo. Ora, il gatto e la volpe non sono improvvisamente diventati onesti e hanno accettato il minimo che dovevano accettare dal punto di vista politico. In tutti i modi si trascura che 100 migranti (perché, professore, dice rifugiati o profughi invece di “migranti economici”?) costeranno 75.000 euro/m senza contare altri costi difficilmente dimostrabili come assistenze varie, disagio sociale, aumento potenziale del rischio sociale percepito/reale, senza considerare gli annessi e connessi come gestione e costi per gli auspicabili rientri, lavoro aggiuntivo negli uffici, nei tribunali, costo delle motovedette, volo occasionale di elicotteri militari (un’ora di volo con questi costa circa 10.000 euro, non lo sapete?) oneri degli avvocati d’ufficio ecc..
    Invito i lettori a fare più conti e meno teorie di fronte al mainstream che ci propinano da più parti e non me ne voglia il prof Ambrosini perché, mi rendo conto, scrive ciò che alla gente si scrive da moltissimi anni senza, appunto, fare conti.

  3. Mahmoud

    Continuo a ritenere un accordo di resettlement con la Tunisia, in cambio di favori economici quali la diminuzione dei dazi nei loro confronti, l’unico obiettivo condivisibile da una maggioranza del popolo sovrano. Un accordo analogo a quello in vigore tra Grecia e Turchia. Nonetheless, pur opportunamente incastonata nell’architettura UE, l’Italia è ancora uno Stato, quindi nelle more di soddisfacenti accordi internazionali può e deve cercare di risolvere da sola i problemi che la riguardano. Non siamo isolati, siamo indipendenti. Ancora.

  4. Carola

    Piccolissimo dettaglio trascurato dalla sempre onestissima stampa italiana (ma non da quella tedesca). C’è un opt-out per chiunque nel caso il meccanismo di ricollocamento risulti elemento di attrazione di flussi di illegali (il che è sicuro, checchè ne dicano i soliti). Tradotto: si ricolloca solo se i numeri sono quelli ottenuti dal… cattivissimo Salvini. Appena salgono gli arrivi, salta tutto.

  5. Giampiero

    Al di la della presunzione analitica teorica abbiamo capito che il “fenomeno migratorio”fa comodo al Mercato. Quello che “non volete” capire è che quello che fa comodo al Mercato non è che faccia comodo per niente ai cittadini. Ma finché non abolirete la Democrazia questi avranno il sacrosanto diritto di contraddirvi.

  6. Luigi Zammitti

    Blocco navale, ci vuole il blocco navale o non se ne esce.

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