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Trump contro gli immigrati, una battaglia elettorale

Il presidente Usa non cerca una soluzione alle questioni poste dalle migrazioni attraverso misure pragmatiche e ragionevoli. Vuole solo tenere alta la tensione, per ottenere la conferma nel 2020. A farne le spese sono però valori finora condivisi.

Due vittorie di Trump

Nei giorni scorsi Donald Trump ha messo a segno due colpi nella sua guerra contro i migranti dall’America Latina. Ha ottenuto dalla Corte suprema, controllata da giudici filo-repubblicani, un verdetto favorevole all’impiego di fondi della Difesa per il completamento del controverso muro al confine con il Messico, nonché il via libera a una norma che rifiuta il diritto di asilo ai richiedenti passati per un altro paese ritenuto sicuro: ossia di nuovo il Messico, nel caso dei rifugiati che arrivano dai paesi dell’America centrale.

Sotto la presidenza Trump gli Stati Uniti hanno già ridotto il loro impegno sul fronte dei reinsediamenti di rifugiati accolti in un primo tempo in paesi prossimi alle aree di crisi. Data la lontananza dalle più importanti zone di crisi umanitaria, gli Usa sono pressoché irraggiungibili per la gran parte dei profughi di oggi, popolazioni fragili che si spostano con mezzi di fortuna. I reinsediamenti rappresentavano una sorta di misura di compensazione, un gesto di buona volontà umanitaria. Nel 2016 gli Stati Uniti avevano accolto con questa formula 96.900 rifugiati, più della metà di quanti avevano avuto accesso al reinsediamento in tutto il mondo. Ma nel 2018 i numeri per Washington sono scesi a 22.900 persone, contro le 28.100 accolte nel vicino Canada. Il senso è chiaro: “la più grande e più potente nazione della terra”, come l’ha definita Trump stesso in un suo famoso tweet, si ritira dai suoi impegni umanitari, non riconosce le istanze di asilo di coloro che si presentano ai confini, eleva l’immigrazione non autorizzata a pericolo esiziale per la sicurezza nazionale.

Non che queste decisioni abbiano scongiurato l’immigrazione, e neppure quella irregolare. Anche negli Stati Uniti due soggiornanti irregolari su tre non attraversano illegalmente un confine, ma entrano con regolari permessi. Circa 11 milioni di immigrati irregolari continuano a risiedere sul territorio, malgrado iniziative occasionali, tanto clamorose quanto sterili, per incrementare le espulsioni. Per di più lo stesso Trump ha alzato la quota degli immigrati qualificati ammessi, che dovrebbero rappresentare oltre il 50 per cento del totale dei nuovi ingressi, a detrimento dei ricongiungimenti familiari. Anche gli immigrati per lavoro a qualificazione medio-bassa trovano le porte chiuse, eccettuato un certo numero di stagionali. Trump non fa la guerra agli immigrati in generale, ma agli immigrati poveri, e soprattutto a quanti fanno appello a valori etici e umanitari per essere ammessi.

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Valori di civiltà messi in discussione

Il presidente Usa in realtà non punta neppure a risolvere il problema con misure pragmatiche e ragionevoli, ma a tenere alta la tensione, ingigantendo la supposta minaccia dell’immigrazione, per raggiungere le corde emotive dell’America profonda che lo ha votato nel 2016, allo scopo di chiedere la conferma nel 2020. Non ha ottenuto grandi risultati, ma continua ad alzare la posta con iniziative sempre più clamorose e divisive, come la detenzione dei minori separati dai genitori. Dopo aver fagocitato e radicalizzato il Partito repubblicano, non ha esitato a stravolgere gli equilibri tra potere esecutivo e potere giudiziario arruolando la Corte suprema nelle sue battaglie anti-rifugiati. In altri termini, la disumanità elevata a sistema colpisce pratiche consolidate, calpesta valori fin qui condivisi e compromette l’immagine degli Stati Uniti nel mondo, ma è sbandierata sul fronte interno come un manifesto dell’America First, lo slogan che guida la politica trumpiana.

Negli Stati Uniti però si diffondono anche le mobilitazioni per contrastare lo scempio dei diritti umani, sia sul piano dell’azione politica sia nell’organizzazione di una miriade di servizi. Le questioni dell’immigrazione e dell’asilo sono una bandiera non solo per la destra nazional-populista, ma anche per un arco di forze che spazia dalle chiese storiche alla sinistra radicale. In modo particolare la Chiesa cattolica degli Stati Uniti, molto divisa su altri temi, è sostanzialmente compatta nella difesa dei migranti e dei richiedenti asilo. Un argomento politico un tempo marginale è diventato la drammatica posta in gioco per decidere della qualità delle nostre democrazie e del nostro modello di civiltà. Dell’umanità che vogliamo essere e comunicare.

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“Non passa lo straniero”. Eppure ne abbiamo bisogno

  1. umberto marchesi

    Ma gli antenati di Trump hanno forse chiesto ai nativi americani il permesso di immigrare ?
    Ma in USA che provvedimenti vengono presi nei confronti delle aziende o dei singoli che utilizzano immigrati irregolari ?

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