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Cosa c’è oltre la crisi dell’auto

L’industria dell’auto è in una fase di profondi cambiamenti. Tanto che nel 2019 il calo delle vendite continua. Ma se la diffusione della mobilità condivisa può essere una minaccia, la transizione alla mobilità elettrica offre opportunità di rilancio.

Perché il settore è in difficoltà

Il settore automotive sta attraversando un periodo difficile, con l’indice Eurostoxx Automobiles & Parts che ha perso il 26,2 per cento dal massimo toccato il 22 gennaio 2018. Tra le cause delle difficoltà ci sono certo i dazi statunitensi, che hanno avuto effetti sul costo della componentistica, e la nuova stringente regolamentazione europea sulle emissioni entrata in vigore nel settembre 2018. Tuttavia, dietro al “deserto del profitto” che si prospetta per le case automobilistiche da qui al 2023 si celano due trend emergenti: l’elettrificazione e la guida autonoma. Ampliare l’offerta di veicoli elettrici sembra quindi il primo imperativo per le case automobilistiche, che investiranno nell’elettrificazione 225 miliardi di dollari da qui al 2023, più altri 48 nella guida autonoma, tecnologia per ora meno sviluppata. Alle spese per investimenti si sommano il calo della domanda in Cina (per la prima volta dopo 10 anni) e il rallentamento negli Stati Uniti e in Europa, producendo così una forte discesa nei profitti nel breve periodo. Per far fronte alle sfide il settore si sta consolidando, con molte partnership e fusioni realizzate o da realizzarsi, come quella tra Renault e Fca, di cui si è tornati a parlare in questi ultimi tempi.

Figura 1 – Produzione mondiale di autoveicoli (milioni di unità)

Fonte: Statista

Il settore in Italia

L’industria dell’auto in Italia significa 250 mila posti di lavoro, contando anche gli addetti indiretti, e contribuisce a quasi il 6 per cento del Pil. In termini di immatricolazioni, a partire dal 2008 c’è stato un forte calo arrestatosi solo nel 2013, quando è iniziata la ripresa durata fino al 2017. Ma nel 2018 l’industria ha subito una nuova brusca frenata: -3,1 per cento di immatricolazioni di auto e -4,3 per cento per i veicoli commerciali e industriali.

La nuova regolamentazione europea sulle emissioni, entrata in vigore nel settembre 2018, è stata un vero e proprio spartiacque. Come si vede dalla figura 2, le immatricolazioni hanno avuto un picco nel luglio e agosto 2018 quando le case automobilistiche hanno offerto forti sconti per smaltire le auto più inquinanti, poi, nei tre mesi seguenti c’è stato un crollo delle vendite. I dati dei primi otto mesi del 2019 si confrontano quindi con quelli precedenti la nuova regolamentazione sulle emissioni, mentre settembre 2019 si confronta con il forte calo registrato nello stesso mese del 2018 e perciò mostra un +13,4 per cento. È presto per dire se il peggio sia ormai alle spalle.

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Figura 2 – Immatricolazioni di auto nuove in Italia

Dati più confortanti arrivano dalle immatricolazioni dei veicoli commerciali e industriali, che hanno segnato un +4,2 per cento nei primi nove mesi dell’anno (figura 3). Qui l’effetto dell’omologazione alla nuova normativa europea sulle emissioni sembra essere stato più positivo, grazie anche al superammortamento di cui beneficiano gli acquisti di nuovi veicoli commerciali. Tuttavia, il comparto è ancora molto arretrato, con quasi la metà del parco circolante ante Euro 4.

Figura 3 – Immatricolazioni di veicoli commerciali e industriali in Italia

Se si allarga l’analisi all’intero parco circolante (auto, autobus, veicoli commerciali e industriali) a fine 2018, risulta che il 34,1 per cento dei veicoli era ancora precedente a Euro 4 (figura 4). Se nei prossimi anni la regolamentazione oggi in vigore a Milano – che vieta la circolazione nell’Area B ai veicoli benzina Euro 0 e diesel ante Euro 4 – si estendesse a tutto il territorio nazionale, diventerebbe necessario il ricambio di una parte consistente del parco circolante.

Figura 4 – Parco circolante in Italia per categoria inquinante

Auto elettriche e sharing mobility

Nei primi nove mesi del 2019 il diesel ha perso quote di mercato a favore della benzina e il trend potrebbe essere ancora più pronunciato nei prossimi mesi se nella legge di bilancio l’accisa del diesel verrà equiparata a quella della benzina. Le auto ibride hanno segnato un +27,5 per cento e le elettriche un boom del +115,3 per cento (tabella 1). Insieme, le due categorie rappresentano però ancora solo lo 0,6 per cento del parco auto circolante e il 6,1 per cento delle nuove immatricolazioni. In Italia, le elettriche costituiscono appena lo 0,7 per cento delle nuove immatricolazioni, rispetto a una media europea del 3 per cento, con picchi oltre il 10 per cento in Olanda e Svezia e del 56 per cento in Norvegia. E ciò nonostante abbiano avuto effetti positivi gli eco-incentivi statali introdotti a fine 2018, che si sommano a quelli molto generosi previsti da alcune regioni come Lombardia e Trentino-Alto-Adige.

Tabella 1 – Immatricolazioni di automobili in Italia per alimentazione

Fonte: Unrae – Unione nazionale rappresentanti autoveicoli esteri

Nel complesso, l’Italia risulta ancora molto indietro sulla mobilità elettrica. Fca si appresta infatti a produrre il suo primo modello elettrico, la nuova Fiat 500, solo a partire dal secondo trimestre 2020 e, da questo punto di vista, potrebbe portare benefici la fusione con Renault: la casa francese ha molti più brevetti e produce l’auto elettrica più venduta in Italia quest’anno: la Zoe. Però, nonostante tutto, il nostro è il sesto paese al mondo per numero di infrastrutture di ricarica, nono in termini di colonnine per chilometro quadrato, a dimostrazione che gli investimenti non mancano.

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A influire sulla redditività delle case automobilistiche è anche il fenomeno della mobilità condivisa. Da un lato, continuano ad aumentare i noleggi, sia di breve che di lungo termine. Dall’altro, si diffonde sempre più il car sharing. Nel periodo 2015-2018 il tasso medio annuo di crescita degli iscritti ai servizi car sharing station-based è stato del 22 per cento e del 40 per cento per il car sharing free-floating. Nello stesso periodo il numero di noleggi e chilometri percorsi con il car sharing free-floating è pressoché raddoppiato, mentre per il car sharing station-based la crescita è stata rispettivamente del 30 per cento e del 14 per cento. È difficile stimare quale impatto avrà la diffusione del car sharing sulle vendite di auto. Si tratta di un modello di business praticabile solo in grandi centri urbani, non a caso ha avuto successo in città come Tokyo e Mosca.

L’industria dell’auto è nel mezzo di una fase di profondi cambiamenti. Se da un lato la diffusione della mobilità condivisa può essere una minaccia per le vendite di auto, d’altra parte la transizione alla mobilità elettrica offre l’opportunità di rilanciare le vendite. Dati i costi ancora elevati dei veicoli elettrici, molti automobilisti sembrano in attesa. Eppure, come spesso accade, i processi di innovazione seguono un andamento non lineare ed è quindi lecito aspettarsi nei prossimi anni un boom dei veicoli elettrici associato a un drastico calo nei costi delle batterie. Secondo Bloomberg New Energy Finance il punto di svolta dovrebbe arrivare verso il 2024, quando la copertura delle colonnine diventerà più capillare e la maggior parte dei veicoli elettrici sarà competitiva anche senza incentivi.

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  1. Savino

    Non è detto che l’auto elettrica sarà così diffusa. Dovrà fare i conti con i portafogli dei potenziali clienti. Se le case automobilistiche pensano di mantenere un oligopolio e delle aspettative elevate con dei valori di mercato “non popolari” si sbagliano di grosso. Piuttosto, adesso, per i governi, si sciolgono i nodi degli investimenti nella mobilità di persone.

  2. Michele

    1. Per esperienza personale, l’auto elettrica è ancora lontanissima dall’essere pratica nella vita reale
    2. Perché dovrei comperare oggi un’auto elettrica – più cara – se con la prospettata evoluzione tecnologica tra qualche anno non varrà più nulla?
    3. Nessuno parla dei tantissimi posti di lavoro che verranno persi, se davvero l’auto elettrica avrà successo
    4. Il car sharing dalle nostre parti è una moda già passata, perché è molto più pratico il taxi PS: il noleggio a lungo termine non ha nessuna relazione con il car sharing. Da noi il car sharing station-based non esiste
    5. Sulle limitazioni alla circolazione delle vecchie auto, prima o poi, dovrà avere un impatto sulla tassa di possesso: se ho dei limiti all’uso perché devo essere tassato?

    • Roberto

      Vivendo in Norvegia posso confermare che l’auto elettrica è molto pratica. Con un’autonomia che va dai 200km in su copre pienamente il fabbisogno per la maggioranza della popolazione. Nulla da aggiungere sugli altri punti 😉

      • Michele

        Magari in Norvegia. Provi a Milano. Senza un box, come la maggioranza degli automobilisti. Dove la carica? Alle 4 colonnine presenti? Se ci va in vacanza al sud, occorre una pianificazione certosina. Se poi la usa anche per lavoro, quando 400/500 km al giorno diventano realtà (con riscaldamento, aria condizionata, code a ridurre l’autonomia), allora il conducente diventa al servizio dell’auto e non viceversa.

  3. IL LAVORO DI PRIMA E QUELLO DI POI

    Il lavoro, nell’economia della produzione, produceva beni e servizi; merci insomma per dar ristoro ai bisogni. Chi lavorava, per il tempo e la perizia impiegati, riceveva un reddito che veniva speso per dare ristoro…. toh…ai bisogni.
    Tanti i bisogni, tante le merci da produrre per soddisfarli.
    Questo mirabile equilibrio mostrava il merito che verrà premiato da un reddito adeguato alla bisogna; meriterà la settimana corta per prender fiato, ferie per sgranchirsi, assistenza pubblica in caso di malattia, il gruzzolo del Tfr per rifocillarsi, la pensione infine per il meritato riposo.
    Si fecero carico del tutto una Filosofia economica che aveva fatto, di quel “travaglio”, elegia. Una parte della politica e quella sindacale ne rappresentarono le istanze mentre, non scorto, con la produttività dell’esercizio reso rigenerava se stesso.
    Bene, nell’economia dei consumi, sregolata dall’impiego di regole scadute, ci si attarda ancora a riconoscere se si sia prodotto troppo o si sia affrancati dal bisogno. Nel frattempo il lavoro, correo con il Capitale dello squilibrio, da solo ne paga il prezzo, con un reddito insufficiente per fare la spesa.
    Sia come sia, un lavoro di tal fatta, privato di una taglia contrattuale da far valere, diventa incapace di riprodursi. L’efficacia delle Teorie che lo hanno sostenuto vacillano; la Politica rincorre inefficaci slogan, il Sindacato vivacchia.
    Così è se vi pare. Prima era funzione della produzione, oggi diventa dipendente dal consumo; solo così può ritrovare la sua riproduzione, il suo remunero.
    Essì, se nel prima, il reddito da lavoro spesava la spesa e l’esercizio di consumazione trovava il compenso nel ristoro del bisogno, il rapporto produzione/consumo stava in equilibrio.
    Nel poi, per riffe o per raffe, reso d’obbligo quell’esercizio di consumazione, ch’eppur collide proprio con l’affrancamento dal bisogno, deve trovare un più idoneo compenso per potersi riprodurre e far ri-produrre.
    Un reddito di scopo insomma, che pareggi il conto di quello insufficiente generato dal lavoro; pagato per l’obbligo dell’esercizio, per l’impiego di risorse scarse e per il vantaggio che ricava il ciclo produttivo con l’azione della “tiritera*”.
    Okkei, signori dal fiato sul collo? Bene, se il prezzo è quello giusto, si vada oltre.

    *La spesa trasforma la merce in ricchezza, la sua consumazione da spinta alla ri-produzione, genera lavoro e lo remunera; tiene attivo il ciclo produttivo, da sostanza alla crescita economica.

    Mauro Artibani, l’economaio

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