Nel lungo periodo, quando per tutti varrà il regime contributivo, la legge 26/2019 consentirà un’uscita più flessibile dal lavoro. Ma nel breve periodo, i tanti che andranno in pensione con il regime misto determinano un aumento significativo della spesa previdenziale.
Non solo quota 100 incide sulla spesa
La Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza conferma, sulle pensioni, i provvedimenti attuati dal precedente governo con la legge 26/2019. È un bene? Un male? Quali sono gli effetti sull’equilibrio dei conti e sull’equità del sistema pensionistico?
Prendiamo in esame le due misure più importanti, che sono la cosiddetta “quota 100” e il blocco dell’adeguamento automatico delle condizioni di anzianità contributiva. Per farlo, utilizziamo i risultati che si ottengono dal modello di microsimulazione dinamico Irpetdin, che consente previsioni di lungo periodo sui flussi, sugli stock di pensionati e sugli importi medi e complessivi di spesa.
Tutto il dibattito pubblico si è concentrato sulla misura temporanea rappresentata dall’anticipo pensionistico a 62 anni di età e 38 anni di contributi. Minore attenzione ha destato il blocco fino al 2026 dell’adeguamento automatico dei requisiti di pensionamento anticipato alle aspettative di vita. Tuttavia, 88 punti su 100 dell’incremento di spesa atteso nei prossimi trenta anni sono imputabili a questo secondo provvedimento. Quota 100 anticipa pensionamenti che sarebbero comunque avvenuti in breve tempo e l’aggravio di spesa che comporta deriva da maggiori spese iniziali (più pensionati) non compensate dai risparmi successivi (minore importo medio di ciascuna pensione), in quanto per molti dei ritirati l’importo della pensione è ancora calcolato prevalentemente con il sistema retributivo.
Figura 1
Fonte: stime Irpetdin
Il tempo conta
Per quota 100 si osserva una crescita dei pensionati nel breve periodo (2019-2025), in corrispondenza delle uscite anticipate; una loro invarianza nel medio periodo (2025-2039), quando – esauritisi gli effetti transitori di quota 100 – sarebbero in pensione le medesime persone; un loro modesto incremento negli anni seguenti, per l’effetto indiretto legato alla sostituzione dei ritirati con nuovi lavoratori, che saranno in grado di maturare prima del previsto i requisiti pensionistici. Risultati analoghi si riscontrano per i volumi di spesa, con l’unica differenza che nel medio periodo i costi flettono per effetto del minore importo pensionistico.
Invece, per quanto riguarda il blocco degli adeguamenti alla speranza di vita, lo stock di pensionati è significativamente più alto rispetto alla situazione previgente: infatti la più veloce uscita dal lavoro è assicurata in modo permanente e non transitorio. La spesa aumenta nel breve e medio periodo (2019-2040), ma cala nel lungo periodo (2040-2050) perché i pensionati, quasi tutti sotto il regime contributivo, subiscono la decurtazione connessa all’uscita anticipata. Complessivamente, tuttavia, secondo la Ragioneria generale dello stato il saldo fra maggiori e minori costi genererà nei prossimi anni “ulteriori maggiori oneri pari in media a 0,2 punti di Pil l’anno”, per un aggravio di spesa pari a circa 68 miliardi di euro entro il 2036.
Quali effetti sul debito implicito?
In una logica intergenerazionale, calcoliamo il cosiddetto net present value ratio (Npvr), che è il rapporto fra i trasferimenti percepiti nell’arco della vita, opportunamente scontati a valori correnti, e i contributi versati da ciascun pensionato, anch’essi attualizzati con lo stesso tasso, pari al tasso di interesse Btp a 30 anni. Quando è maggiore di uno, il rapporto segnala la creazione di debito implicito. Nel grafico 1, il Npvr è stimato anno per anno – come valore medio – sui flussi di pensionati per cogliere i cambiamenti di lungo periodo della riforma. Quello che si osserva è un peggioramento del Npvr nell’immediato, ma dopo il 2030 non si evidenzia una differenza significativa fra la situazione previgente e quella conseguente alla legge 26/2019. Questo perché a regime i flussi di pensionati appartenenti al regime contributivo percepiranno la pensione per un maggior numero di anni, ma con una penalizzazione consistente dell’importo.
Grafico 1
Vantaggi e svantaggi
Nel lungo periodo, la misura assicura un sistema di uscita più flessibile, correggendo in parte – senza effetti sul debito pensionistico e sui saldi annui di bilancio – l’inasprimento dei requisiti di pensionamento associati alla legge Fornero. Questo perché per tutti varrà il regime contributivo in cui ogni più rapida uscita dal lavoro sarà compensata da un minore importo dell’assegno pensionistico. La riforma potrebbe forse favorire anche il ricambio occupazionale, sebbene solo a posteriori potremo capire se e in quale misura.
Tuttavia, essa impatta negativamente sulle generazioni future e sui saldi di bilancio per ancora troppi anni, perché la persistenza di eleggibili a regime misto – almeno fino al 2035 – determina un aumento significativo del debito pensionistico e della spesa previdenziale, non adeguatamente compensato dalle successive riduzioni. I tempi per allentare la cinghia non sono ancora maturi.
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Valentino
L’articolo dimostra (specie con l’ultimo grafico) che la maggiore flessibilità introdotta con quota 100 sia nel lungo termine ininfluente ai fini della sostenibilità della spesa pensionistica,anzi addirittura la migliora leggermente.Poi ovvio se si vogliono attribuire a quota 100 le storture dovute alla riforma Dini che ha permesso a chi aveva 18 anni di contributi nel ’96 di rimanere nel retributivo puro o quasi,allora il discorso cambia…attribuire colpe a chi si trova nel sistema misto(anche se velate) non mi sembra corretto,in quanto tale categoria di pensionati e pensionandi hanno già subito l’iniquità della disparità di trattamento della riforma Dini.
Savino
Il bilancio INPS deve essere modificato da subito. Inaccettabile che la minoranza di lavoratori attivi deve contribuire cospicuamente per il pagamento delle pensioni alla maggioranza in quiescenza. Ogni lavoratore deve avere un salvadanaio di contributi da cui attingere per il pagamento del vitalizio e, quest’ultimo, deve corrispondere nel totale solo e soltanto ai contributi effettivamente versati.
Alberto Isoardo
Stupisce che l’ennesimo attacco a quota 100 non venga da acuti osservatori bocconiani epigoni del maestro senatore a vita Monti, ma forse appartengono alla alla schiera degli adepti di Renzi: insomma dalla padella nella brace!!!.
Rimane il fatto che questi sostenitori del lavoro fino alla tomba, non solo dimenticano che sono le aziende le prime a non volere lavoratori anziani, ma anche ignorano volutamente che banche e grandi aziende scaricano lavoratori più o meno in eccesso mandandoli in pensione e che questo accanimento contro quota 100 serve solo a legare i lavoratori delle piccole aziende che non potrebbero mai godere di simili trattamenti.
E’ proprio la miopia di simili osservatori che farà forte Salvini alla faccia di renziani e bocconiani.
Ma la prevalenza di questo acume non è solo italiana, guardate cosa è successo negli USA a voler candidare la Clinton: il risultato è stato Trump! Ovviamente in Italia la reazione a Renzi e alla sua megalomania è stata Salvini.
Marcello
Su questo argomento occorrerebbe fare una azione-verita.
Quanto si spende per le pensioni e quanto per la cassa integrazione?
Quale delle due voci mette a rischio i conti?
Siamo in una crisi di domanda, non di offerta o di debito pubblico. I pensionati sono una risorsa per il mercato interno. Se occorrono soldi si prendano dalle grandi aziende che pagano pochissimo di tasse o ai ricchissimi
Fernando Di Nicola
Articolo tecnicamente interessante, ma non una parola sul fatto che l’opzione contributiva ordinaria esisteva dalla riforma Dini anche per misti e retributivi, ed è stata tolta ai pensionandi di oggi e domani, non a quelli del “quando per tutti varrà il contributivo”, per fare cassa e continuare a fare regali pensionistici, togliendo libertà di scelta nonostante non peggiorasse il debito pensionistico.
Ne deriva un messaggio profondamente distorto, che avrebbe potuto invece essere evitato con un prospetto alternativo di costo nel tempo di una piena opzione flessibile e contributiva.
gianni
Chi sostiene a spada tratta il contributivo dovrebbe essere coerente fino in fondo e sostenere la abolizione del sistema pensionistico pubblico a favore di investimenti obbligatori delle quote nel sistema finanziario. Ne seguirebbe la abolizione della mutualità solidale delle integrazioni al minimo, reversibilità, pensioni di invalidità e superstiti e tutte le contribuzioni figurative di cui godono i cassaintegrati e disoccupati.
Savino
I contributi figurativi in particolari situazioni di necessità sono cosa diversa dai contributi mai versati. L’INPS, soprattutto negli anni in cui vigeva la documentazione cartacea e, comunque, almeno fino al 1995, è stato un autentico colabrodo. Sono convinto che, chi ha potuto, corrompendo anche funzionari, si è fatto inserire in quegli anni contributi che non ha mai versato.
pierino ferranti
Il sistema contributivo decorre dal 1 gennaio 1996 (quasi 24 anni). Di conseguenza, le pensioni miste future saranno calcolate prevalentemente (e sempre più) con il contributivo.
Giovanni
Personalmente penso che effettuare un’analisi sui costi pensionistici senza menzionare il problema demografito, non ha molto senso. Però è un buon esercizio di metodo.
Gianni
C’è gente (molta gente) che va in pensione avendo lavorato una decina di anni perché tra disoccupazione mobilità e cassa integrazione ordinaria, straordinaria e in deroga e maternità/paternità ha gran parte di contribuzione figurativa (pagata da tutti gli altri. Finché durerà questo scandalo lasciate perdere calcoli su q100 che costa di gran lunga di meno
walter
Sembra che questo dibattitto non tenga conto del diritto, di chi ha lavorato magari per 40 anni e più, di poter andare in pensione. Se il sistema non “regge” non è che per questo si debba togliere questo diritto ! Purtroppo mantenere una pletora di pensionati (cira 16 mil) che sono andati in pensione con condizioni molto vantaggiose, a volte addirittura con privilegi oggi impensabili, non autorizza a penalizzare ingiustamente chi dovrà andarci. Occorrerebbero invece azioni di redistribuzione all’insegna dell’ equità e della giustizia sociale. Il sistema contributivo è stato già introdotto dala riforma Dini e, uno dei pilastri, era proprio la flessibilità.