È positivo che l’occupazione femminile sia tra le priorità del governo. Ma le politiche dei bonus vanno ripensate, anche alla luce delle profonde disparità territoriali. Il rischio è aggravare i conti dello Stato senza centrare gli obiettivi.
L’occupazione femminile torna d’attualità
Il tema dei divari di genere, dell’occupazione femminile e della natalità sono tornati a essere preminenti nel dibattito pubblico. E mentre in televisione – tra affermazioni, smentite e rettifiche – si discute ancora se le donne debbano “stare a casa” oppure no, il Parlamento esamina in questi giorni i provvedimenti per le famiglie contenuti nella legge di bilancio 2020. Il governo, a sua volta, ha dichiarato a più riprese la volontà di varare misure che favoriscano la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Ultimo in ordine di tempo, il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ha sostenuto che la legge di bilancio conterrà la gratuità degli asili nido per la “maggioranza delle famiglie italiane”, un provvedimento “importante anche dal punto di vista del sostegno all’occupazione femminile”.
È positivo che il governo abbia come obiettivo l’aumento dell’occupazione femminile. D’altronde, già dai suoi punti programmatici si evinceva l’intenzione di migliorare i divari di genere nel mercato del lavoro.
Ma cosa dicono i dati a proposito dell’occupazione femminile in Italia? Il confronto con gli altri paesi avanzati è spesso impietoso e ci colloca, nel 2019, al quartultimo posto di quelli Ocse.
Tuttavia, il dato medio maschera una notevole eterogeneità tra il Nord e il Sud del paese. La figura 1, sulla base dei dati Istat, mostra la dinamica del tasso di occupazione maschile e femminile dal 1977 al 2018 al Nord e al Sud e lo confronta con il tasso medio di occupazione dei paesi Ocse. Il tasso di occupazione al Nord – sia maschile sia femminile – è in linea con quello degli altri paesi sviluppati a partire dal 2000. Al contrario, al Sud l’occupazione è notevolmente inferiore, sia per gli uomini che per le donne. Il grafico fornisce altre due importanti informazioni: primo, il tasso di occupazione delle donne al Nord è oggi superiore a quello degli uomini al Sud (il “sorpasso” è avvenuto tra il 2011 e il 2012); secondo, l’occupazione delle donne al Sud nel 2018 è inferiore a quella delle donne al Nord nel 1977, a dimostrazione della lentissima convergenza tra le due parti del paese in termini di partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
Figura 1 – Tasso di occupazione maschile e femminile, Italia e paesi Ocse
Tasso di fertilità da Nord a Sud
Aumentare l’occupazione femminile è importante di per sé, e lo è soprattutto per via della “perdita” che alcuni studi scientifici hanno dimostrato essere collegata alla mancanza o alla discriminazione delle donne nel mercato del lavoro. Inoltre, miglioramenti nell’occupazione femminile sono correlati positivamente con miglioramenti nel tasso di fertilità, un indicatore al quale i governi di tutti i paesi avanzati guardano (o dovrebbero guardare) con attenzione.
Nel caso dell’Italia, anche sugli indicatori di fertilità il divario tra il Nord e il Sud del paese è evidente. La figura 2 rappresenta la differenza nel tasso di fertilità rispetto alla differenza nel tasso di occupazione nelle regioni italiane tra il 1999 e il 2017, ancora sulla base dei dati Istat. Per la maggior parte delle regioni italiane l’evoluzione dei due indicatori è stata di segno positivo (le regioni che si collocano nel quadrante in alto a destra della figura). Le regioni che registrano una relazione negativa o nulla tra i due indicatori sono tutte concentrate nel Sud Italia, dove l’inserimento delle donne nel mercato del lavoro è reso più difficile da fattori legati sia alle condizioni economiche meno favorevoli sia a una cultura di genere che vede una forte contrapposizione dei ruoli maschili e femminili nella cura della famiglia. È dunque indispensabile pensare a politiche pubbliche che favoriscano l’inserimento delle donne nel mercato del lavoro se si vuole al contempo sostenere il tasso di fertilità, con buona pace di chi è convinto del contrario.
Figura 2 – Differenze nel tasso di fertilità vs differenze nel tasso di occupazione femminile nelle regioni italiane tra 1999 e 2017.
Misure che servono?
Alla luce di questi dati, quali effetti possiamo aspettarci dalle misure che il governo intende varare? La gratuità degli asili nido, che comunque non sarebbe universale, potrebbe avere un impatto positivo sull’occupazione femminile se le coppie che attualmente non hanno disponibilità economiche sufficienti per pagare la retta potranno avervi accesso. Tuttavia, le famiglie con redditi bassi sono già esentate dal pagamento della retta del nido o la pagano ridotta e sono concentrate al Sud: la figura 3 mostra infatti che nel Meridione i redditi netti mediani delle famiglie sono i più bassi. Pertanto, se è il miglioramento dell’occupazione femminile l’obiettivo del provvedimento sugli asili nido, l’effetto potrebbe non essere particolarmente significativo. Se le famiglie al Sud godono già di sconti o esenzioni sulle rette per gli asili, non avranno benefici particolari dal bonus nido e l’effetto sull’occupazione femminile – particolarmente bassa in quelle regioni – sarà modesto.
Figura 3 – Reddito netto mediano delle famiglie nelle regioni, anno 2016
La legge di bilancio, inoltre, intende aumentare il periodo di congedo di paternità obbligatorio da 5 a 7 giorni. Un passo avanti, sicuramente, ma che comunque – stando ai dati Ocse relativi al 2016 – ci lascerebbe dietro a ben altri 22 paesi.
Un congedo di paternità più generoso potrebbe avere un effetto positivo sull’occupazione femminile sia perché potrebbe favorire il rientro delle madri al lavoro dopo il parto, sia perché potrebbe innescare un cambio culturale nel paese, che ha tradizionalmente riservato alle donne i compiti di cura nella famiglia. È difficile credere, tuttavia, che due giorni in più possano davvero fare la differenza.
Dunque, in attesa del cosiddetto Family act, ossia il riordino della giungla di disposizioni in materia di famiglia che il governo si prefigge di varare per il 2021, è positivo che il tema dell’occupazione femminile sia risalito nelle priorità governative. Tuttavia, è forse il caso di ripensare le politiche dei bonus anche alla luce delle profonde disparità territoriali che caratterizzano l’Italia. Senza tenerne conto, infatti, si rischia di aggravare i conti dello stato con l’ennesima voce di spesa che manca il suo obiettivo: forse è il caso di invertire la rotta, sia sui divari occupazionali tra uomini e donne sia sulle spese improduttive.
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fiorella farinelli
Tra le ragioni per “ripensare”, almeno a proposito dei servizi educativi per l’infanzia, le politiche dei bonus c’é anche che si tratta di una spesa che non serve a svilupparli dove non ce ne sono abbastanza ( che è, appunto, il caso di gran parte delle aree meridionali ). Una mancanza che contribuisce ai più alti indici di povertà educativa e di insuccesso scolastico di Campania, Sicilia, Calabria ecc. Si tratta di un settore, fra l’altro, ad elevata intensità di lavoro femminile.