Dal Rapporto Cerved Pmi emerge un quadro in chiaroscuro: i fatturati in termini reali sono stagnanti e la redditività in calo. Migliorano però i fondamentali economico finanziari e si rafforza il profilo di rischio delle piccole e medie aziende italiane.

I dati del Rapporto Cerved Pmi

I dati sui bilanci 2018 delle piccole e medie imprese mostrano che la fase di ripresa che dal 2013 aveva caratterizzato la componente più dinamica del sistema produttivo italiano ha perso il suo slancio. Dal Rapporto Cerved Pmi emerge che nell’ultimo anno i fatturati sono cresciuti del 4,1 per cento in termini nominali (dal 4,4 per cento dell’anno precedente), ma sono rimasti sostanzialmente ai livelli del 2017 in termini reali. L’andamento dei margini lordi delle Pmi è piuttosto stagnante, con una crescita dell’1,2 per cento tra 2017 e 2018 e un gap che rimane ancora molto ampio rispetto al periodo pre-crisi (-20 per cento rispetto al 2007).

Rispetto al buon andamento degli anni passati, l’evidenza più significativa della frenata si riscontra nella dinamica negativa della redditività delle Pmi, in calo per la prima volta dal 2014, sia misurata in termini di Roe (dall’11,7 per cento del 2017 all’11 per cento del 2018) che di Roa (dal 5,1 per cento al 5 per cento). Su questa dinamica incide particolarmente il costo del lavoro (+5,6 per cento), che continua a crescere più del valore aggiunto (+4,1 per cento), riducendo la capacità delle imprese di generare margini.

Figura 1

Nel corso del 2018 è invece proseguita la crescita degli investimenti delle Pmi, che hanno toccato il 7,1 per cento delle immobilizzazioni materiali (dal 6,4 per cento dell’anno precedente), in tra quelle manifatturiere grazie agli incentivi di Industria 4.0. Nonostante i miglioramenti, i livelli di investimento delle aziende rimangono tuttavia largamente inferiori a quelli fatti registrare prima della crisi (9,5 per cento).

Figura 2

L’analisi del flusso dei fondi delle imprese suggerisce che negli ultimi anni le Pmi italiane hanno aumentato significativamente la disponibilità di risorse interne ed evidenzia, rispetto al 2007, una maggiore propensione a finanziare gli investimenti facendo ricorso al capitale proprio in luogo dell’indebitamento. Il processo si è verificato nonostante la discesa del costo del debito ed è sintomo di una probabile incertezza riguardo agli sviluppi futuri, che spinge le Pmi a mantenere nelle loro casse riserve liquide, pronte per essere utilizzate per far fronte a cambiamenti inattesi del quadro congiunturale.

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Il mancato recupero degli investimenti delle Pmi rispetto al periodo pre-crisi non deriva quindi da caratteristiche finanziarie inadeguate a sostenere un maggior volume di finanziamenti. Al contrario, dal punto di vista finanziario esiste un ampio spazio di crescita dei prestiti per recuperare il gap. Sono, infatti, circa 100 mila le Pmi che hanno una struttura finanziaria adeguata ad aumentare gli investimenti incrementando il proprio grado di indebitamento e mantenendo, al contempo, un grado di rischiosità estremamente contenuto.

Migliora il profilo di rischio

Grazie anche a una struttura patrimoniale decisamente più solida, nell’ultimo anno il rischio prospettico continua a mettere in luce netti miglioramenti. La quota di Pmi considerate “sicure” e “solide” secondo il Cerved Group Score (che misura l’affidabilità creditizia delle imprese) si attesta intorno al 70 per cento, in forte aumento: i dati di settembre 2019 mostrano, rispetto a settembre 2018, un generale spostamento verso le classi più affidabili.

Figura 3

Le prospettive economiche sono dominate dall’incertezza. Le attese sono di una crescita debole dell’economia italiana, che si riflette sulla stabilità o, nel migliore dei casi, sulla crescita molto lenta di fatturati e margini delle Pmi e nell’ulteriore flessione degli indici di redditività. Le Pmi giocano ancora “in difesa”: crescono poco, ma continuano a rafforzarsi patrimonialmente. Questo porterà a un’ulteriore riduzione dei tassi di ingresso in sofferenza delle Pmi, previsti nel 2021 all’1,7 per cento, in calo di cinque decimi dai livelli del 2018.

Figura 4

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