Alle università è riconosciuto un ruolo cruciale nello sviluppo socioeconomico dei paesi. E se i governi tendono a ridurre i finanziamenti, è importante capire quali sono i fattori che permettono ai sistemi universitari di ottenere i risultati migliori.
Perché studiare i sistemi universitari
Il ruolo dei sistemi universitari nelle società contemporanee è più che mai determinante. Le università sono considerate istituzioni capaci di favorire la crescita economica, migliorare la produttività, ridurre l’ineguaglianza sociale e favorire l’innovazione nei territori in cui operano.
Ciononostante, l’ultimo decennio è stato caratterizzato da una diminuzione dei finanziamenti alle università dovuta, tra l’altro, alle conseguenze della crisi economica. I dati Ocse (Education at a Glance) mostrano che in media, tra il 2010 e il 2016, i paesi hanno ridotto del 4,5 per cento i fondi destinati all’educazione terziaria, mentre in Europa la riduzione media è addirittura dell’11 per cento (paesi Ue 23). Dal dato medio non emerge però la forte eterogeneità dei comportamenti e delle politiche nazionali. Per esempio, un terzo dei governi dei paesi Ocse ha deciso di incrementare i fondi destinati alle università, in alcuni casi a discapito della spesa negli altri livelli d’educazione (Australia, Islanda, Norvegia e Repubblica Ceca).
In Italia, tra il 2010 e il 2016, la riduzione dei finanziamenti è stata del 14 per cento, con una spesa pubblica in educazione terziaria pari allo 0,57 per cento del Pil nel 2016 (dopo di noi solamente Irlanda e Lussemburgo). Anche in termini di risultati, l’Italia si trova agli ultimi posti: solo il 27,7 per cento della popolazione tra i 25 e 34 anni è laureata, assai lontano dalla media dei paesi Ocse del 44,5 per cento (dati Ocse 2018). Il dato risulta ancora più preoccupante se si considera che il nostro paese registra la più bassa percentuale di impiego dei giovani laureati tra i paesi Ocse: nel 2018 solo il 67 per cento dei laureati tra 20 e 28 anni risultava impiegato.
In questo contesto, diventa necessario acquisire gli strumenti per comprendere gli effetti delle politiche e delle risorse destinate all’educazione terziaria sui risultati ottenuti dai sistemi universitari. L’urgenza è dovuta anche alla richiesta da parte di molti paesi europei di ottenere rilevanti risultati accademici, impiegando un ammontare di risorse limitato. Il compito è particolarmente arduo se non si possiedono le conoscenze adeguate sui meccanismi che governano le performance dell’istruzione terziaria a livello sistemico.
Un modello per valutare le performance dei sistemi universitari
I sistemi universitari non hanno un unico obiettivo, ma nell’ambito della loro complessità sono caratterizzati da attività e “prodotti” differenti: l’insegnamento, la ricerca e la cosiddetta “terza missione” (ossia, le attività di trasmissione della conoscenza alla società). I risultati di tali attività sono potenzialmente influenzati da molteplici fattori, sia interni ai sistemi stessi sia attribuiti al contesto in cui operano. Sulla base della letteratura accademica esistente, si possono definire quattro principali macro-fattori: (1) le risorse fisiche e finanziarie dei sistemi universitari, (2) il livello di accesso al sistema (ossia la capacità di attrarre studenti e ricercatori), (3) il livello di educazione medio dei cittadini del paese (ossia quantità e qualità di capitale umano), (4) lo sviluppo economico del territorio.
Tali fattori non solo hanno un potenziale effetto sulle performance universitarie, ma possono influenzarsi fra loro. Per esempio, le risorse dedicate al settore universitario dipendono dal livello di sviluppo economico del paese, così come dal suo livello educativo medio. D’altra parte, anche le performance possono condizionare i risultati delle altre attività. Per esempio, quelle in ricerca e insegnamento possono essere rilevanti per la terza missione.
I risultati dello studio
In un recente studio abbiamo stimato le relazioni tra i risultati e le determinanti dei sistemi universitari di 29 paesi europei, dal 2000 al 2014. L’analisi si basa su un quadro teorico ed empirico in cui abbiamo associato diversi indicatori di misura alle performance dei sistemi universitari e ai relativi fattori determinanti (figura 1).
Figura 1 – Quadro di riferimento per l’analisi empirica dei sistemi universitari
Fonte: Agasisti e Bertoletti (2019)
I risultati, stimati attraverso un approccio statistico (metodologia Structural Equation Modelling), hanno permesso di formulare alcune osservazioni sui fattori associati alle performance dei sistemi universitari.
In primo luogo, le stime rivelano che i risultati associati all’insegnamento, misurati in termini di tasso di conseguimento della laurea (graduation rate), influenzano in modo trascurabile le performance in ricerca e terza missione. In altre parole, i sistemi universitari con le migliori percentuali di laureati non sono necessariamente quelli con le migliori prestazioni in ricerca e in trasferimento tecnologico. Il risultato mette in luce la necessità di operare attraverso politiche mirate, orientate a migliorare le performance di una specifica attività universitaria.
La seconda osservazione che emerge dal nostro studio si riferisce all’effetto delle risorse finanziarie. Benché il livello di finanziamenti pubblici alle università sia un elemento rilevante, le stime mostrano effetti quantitativamente limitati. Elevati finanziamenti pubblici favoriscono in modo significativo l’accesso ai sistemi universitari (in termini di numero di studenti), ma non garantiscono necessariamente il raggiungimento di performance eccellenti, soprattutto nell’ambito della qualità della ricerca. I sistemi universitari hanno dunque la necessità di sviluppare competenze e strumenti per poter tradurre efficacemente le risorse in risultati.
In questo contesto, lo sviluppo socioeconomico del paese emerge come principale determinante. I sistemi universitari che ottengono i migliori risultati sono associati a un elevato sviluppo socioeconomico, non solo in termini di Pil pro capite, ma anche in termini d’innovazione e mercato del lavoro.
Infine, politiche specifiche e riforme possono avere un ruolo determinante nel modificare e correggere le relazioni tra risorse, fattori di contesto e performance dei sistemi universitari. I risultati dell’analisi, infatti, mettono in luce significativi cambiamenti nelle relazioni analizzate all’interno dell’orizzonte temporale esaminato (2000-2014). Nei prossimi lavori, analizzeremo empiricamente le associazioni esistenti tra specifiche politiche adottate nell’educazione terziaria e variazione delle performance dei sistemi universitari nel tempo.
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fabio murizzi
“I sistemi universitari con le migliori percentuali di laureati non sono necessariamente quelli con le migliori prestazioni in ricerca” : finalmente mettiamo i piedi nel piatto. Per fare didattica (diventare professore) mi impegno nella ricerca (pubblico); quindi se assumo la ricerca come priorità sacrifico la didattica e viceversa. Che le due dimensioni fossero correlate è, da tempo, una pia illusione, alimentata da un’idea humboldtiana di Università, ormai non credo più in grado di descrivere gli assetti dell’oggi.
Amegighi
Concordo. Uno dei motivi per cui spesso nelle tanto celebrate Università anglosassoni, le due carriere, didattica e di ricerca, sono spesso separate con uguale valutazione e dignità non solo di chi fa ricerca, ma anche di chi dedica (quasi) tutto il suo tempo per la didattica. Sono stato un anno all’Università di San Diego nel 1996 ed il Direttore del mio Dipartimento mi aveva spiegato già allora il concetto: “Se ci serve un bravo docente per aprire un nuovo corso ed attrarre studenti e futuri dottorandi per la ricerca, abbiamo bisogno di uno che faccia bene il suo dovere di docente, interagisca con gli altri docenti del corso e scambi idee di didattica. Non abbiamo bisogno del Premio Nobel richiuso nel suo Laboratorio e quasi infastidito di fare lezione”
La riforma Gelmini è stata una disastro in una già disastrata Università italiana. Per di più suggerita da chi credo non abbia fatto neanche un millisecondo di umile esperienza al di là dei patrii confini. A ciò, poi, si aggiunge quella ostentata voglia di strafare (o di non fare e accontentare tutti) italica. Vale la pena dilapidare le (poche) risorse pubbliche in settori di ricerca in cui non abbiamo alcun interesse strategico ? O non converrebbe dirigere tutti (ogran parte) dei fondi in settori strategici per la nostra economia (cioè dove ci sono imprese che possono godere dei risultati), lasciando un parte più piccola alla vera e semplice ricerca di base (non quella para-applicata di adesso) necessaria in generale ?
Savino
Meritocrazia e ascensore sociale.
Daniele Silvestri
Questo articolo, a meno che sia io a non averne capito il contenuto, dice che non si può aver un buono sviluppo socioeconomico senza un sistema di istruzione che funziona e che il sistema di istruzione, almeno a livello universitario, non funziona se non nei paesi con un buono sviluppo socioeconomico. Un bel comma 22!