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Primo round a Trump nella guerra commerciale con la Cina

Stati Uniti e Cina hanno firmato un accordo che mette fine alla guerra commerciale. Per l’amministrazione americana è un indubbio successo. Senza una riforma del Wto, però, per il sistema multilaterale degli scambi potrebbe rivelarsi una vittoria di Pirro.

Il successo degli Usa

L’accordo tra Stati Uniti e Cina – firmato mercoledì 15 gennaio a Washington come prima fase di una trattativa più estesa – rappresenta una vittoria schiacciante di Donald Trump, che infatti l’ha esibito come un grande successo personale, mai raggiunto da alcun suo predecessore.

Sebbene con i metodi poco condivisi e molto costosi per sé e per il resto del mondo della guerra commerciale, in 7 capitoli e 96 pagine gli Stati Uniti sono riusciti a costringere la Cina a sedersi a un tavolo negoziale. E già di per sé si tratta di un risultato memorabile data la scarsa disponibilità mostrata negli ultimi venti anni da Pechino, che ha sempre resistito alle pressioni Usa e dell’Europa per rivedere molte pratiche considerate da tutti improprie per il corretto svolgersi della concorrenza leale tra imprese e lesive della proprietà intellettuale altrui.

Per questo l’accordo del 15 gennaio vede Pechino perdente su molti fronti, ammesso che l’accordo sia rispettato. L’intesa prevede infatti che la Cina si impegni concretamente a porre in atto azioni per rispettare la proprietà intellettuale; esimersi dal costringere le imprese estere che operano nel suo territorio a condividere le proprie tecnologie; aumentare le importazioni dagli Stati Uniti per un valore fino a 200 miliardi di dollari nei prossimi due anni (77,7 miliardi di prodotti del settore manifatturiero, 32 miliardi di prodotti agricoli, 52,4 miliardi di prodotti energetici e 37,9 miliardi di servizi): si tratta di un valore enorme, che corrisponde a un aumento del 78 per cento delle esportazioni americane verso la Cina; permettere alle imprese statunitensi di operare nei settori finanziario e assicurativo cinesi; evitare svalutazioni competitive del cambio. Inoltre, il rispetto dell’accordo sarà gestito bilateralmente e periodicamente.

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Chi ci guadagna

Per Pechino tutto ciò è molto oneroso dal punto di vista economico e umiliante dal punto di vista politico. Il paese sta rallentando almeno dal 2014 e da due anni in misura significativa rispetto alle attese, perciò non può permettersi un’escalation della guerra commerciale, che l’accordo appunto scongiura. Dalle promesse di Xi di portare la Cina al centro del mondo entro il 2049 dipende non solo la sua reputazione (non il suo mandato, che è a vita), ma la tenuta stessa del partito comunista cinese, all’interno del quale le divergenze in merito al corso delle riforme sono molto accese. Per questo Xi non è andato a Washington a firmare l’accordo, ma ci ha mandato Liu He, il vice-ministro degli Esteri.

Trump invece può sbandierare un risultato eccellente in un momento decisivo per l’economia americana, che mostra segni di rallentamento, e per la prossima battaglia elettorale di novembre. L’aumento delle esportazioni in tale misura sarebbe un impulso formidabile all’economia e all’occupazione, anche nei settori più in crisi, agricoltura inclusa.

La questione più insidiosa degli aiuti di stato è stata posticipata alla fase successiva dei negoziati, ma il contenuto dell’accordo lascia sperare che gli Stati Uniti abbiano guadagnato potere sulla controparte e questo porta a credere che al presidente Usa convenga prendere tempo prima di affrontare davvero la famigerata fase 2, di difficilissima gestione e dagli esiti inimmaginabili. Quello che Trump vuole nei prossimi due anni è convincere le imprese del settore industriale a svincolarsi progressivamente dalle catene di fornitura che includono la Cina, in sinergia con Taiwan che ha ruolo centrale nei settori dell’elettronica di consumo e dei macchinari.

Il futuro del sistema multilaterale

Per il resto del mondo, l’accordo è positivo perché blocca l’ulteriore aumento dei dazi, che bene non fanno a nessuno, ma introduce altri motivi di preoccupazione. Se è vero che la guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti ha causato una parziale diversione del commercio a favore dell’Unione Europea, è altrettanto vero che le future maggiori importazioni cinesi dagli Stati Uniti si realizzeranno molto probabilmente proprio in sostituzione dei prodotti europei, soprattutto per quanto riguarda i beni industriali e agricoli. Al contempo, non è chiaro quanto i risultati ottenuti da Trump sulla rinuncia della Cina a pratiche discriminatorie si applicheranno anche alle imprese estere non statunitensi: quello di mercoledì è un accordo bilaterale, che non impegna Trump a difendere le imprese europee nei confronti della potenza asiatica. Perciò, se l’accordo non sarà seguito da una vera riforma del Wto, alla quale Stati Uniti, Europa e Giappone stanno lavorando insieme, potrà rivelarsi una vittoria di Pirro per il sistema multilaterale.

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Il Punto

  1. Giorgio Sacerdoti

    Sono perplesso sulla valutazione dell’Autrice che la vittoria di questo primo round sia andata a Trump.
    Mi sembra piuttosto – d’accordo con la maggior parte dei commentatori – che lui abbia lanciato una “guerra totale” per portare a casa un risultato minimale.
    Lasciando in piedi i reciproci maggior dazi, in larga parte, a carico dei consumatori americani.
    Per non parlare di come è stato “scassato” il sistema multilaterale degli scambi da un accordo mercantilistico e discriminatorio per i paesi terzi….

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