Perché i partiti politici ostili all’immigrazione raccolgono voti soprattutto dove gli immigrati non ci sono? Molto dipende dalla concorrenza tra nativi e stranieri sul mercato del lavoro. Favorire la formazione dei lavoratori può essere una soluzione.
Scelte elettorali e numero di immigrati
Perché i partiti politici ostili all’immigrazione raccolgono voti soprattutto dove gli immigrati non ci sono? Le recenti elezioni regionali in Emilia-Romagna hanno confermato come la Lega abbia successo soprattutto nei comuni piccoli, che in genere ospitano pochi immigrati, mentre partiti che hanno posizioni più morbide rispetto all’immigrazione, come il Pd, ricevono più voti nelle grandi città, dove pure vive la maggior parte degli stranieri. Lo stesso accade in molti altri paesi; e il voto per Donald Trump o per la Brexit ripropongono, in forme diverse, lo stesso paradosso.
Le spiegazioni naturalmente possono essere tante: forse, semplicemente, gli immigrati non vanno dove non sono benvoluti; forse gli abitanti nelle grandi città sono più abituati agli stranieri, forse sono più aperti al mondo, forse sono semplicemente più ricchi, forse c’è meno concorrenza sui servizi o sul mercato del lavoro e così via.
Il caso lombardo
Per offrire una risposta più precisa, in un nostro lavoro recente ci siamo concentrati sui comuni lombardi e sui risultati delle elezioni nazionali del 2013, approfittando del fatto che per l’anno 2012 un progetto Istat (la banca dati Archimede) mette a disposizione informazioni accurate su reddito, status occupazionale, istruzione, età e sesso di tutti gli abitanti della Lombardia, distinguendo tra nativi e stranieri (nei dati gli stranieri che hanno ottenuto la cittadinanza italiana sono conteggiati come nativi; i risultati però non cambiano se li conteggiamo come stranieri).
I risultati principali del nostro lavoro possono essere riassunti con tre semplici grafici. Le figure 1 e 2 mostrano il paradosso: già nel 2013 la Lega in Lombardia mieteva successi soprattutto nei comuni piccoli con pochi immigrati, mentre i voti per lo stesso partito erano di molto inferiori nelle grandi aree urbane attorno a Milano, Brescia, e Bergamo, nelle quali viveva e vive tuttora la maggior proporzione di stranieri.
Figura 1 – Percentuale di immigrati a livello comunale
Fonte: elaborazione su dati Istat.
Figura 2 – Voti per la Lega Nord alle elezioni nazionali del 2013
Fonte: elaborazione su dati del ministero dell’Interno.
La figura 3 mostra come la relazione tra i voti per la Lega e la percentuale di immigrati residenti segua una forma a U: il supporto per quel partito è molto forte nei comuni con pochi stranieri, poi si riduce rapidamente e ricomincia a crescere solo quando la percentuale di immigrati aumenta molto. I dati segnalano però anche l’esistenza di una chiara discontinuità: appena il numero di stranieri supera una certa soglia (in questo specifico caso il 3,35 per cento), i voti per la Lega crollano improvvisamente (-6 per cento). Come mai? Cosa hanno di diverso i comuni appena sopra la soglia rispetto a quelli appena sotto per giustificare un tale salto nelle preferenze politiche dei cittadini?
Figura 3 – Voti per la Lega Nord e percentuale di immigrati
Nota: la variabile dipendente è pari alla percentuale di voti per la Lega Nord alle elezioni nazionali del 2013. La soglia (ossia la percentuale in corrispondenza del salto) è pari a una percentuale di immigrati pari a 0,0335.
La risposta che abbiamo trovato analizzando i dati rimanda alla differenza tra il reddito medio dei nativi e il reddito medio degli immigrati, una differenza che cresce molto subito dopo la soglia. Tutte le spiegazioni alternative che possono essere testate usando i nostri dati non trovano supporto empirico: per esempio, i comuni attorno alla soglia non differiscono in termini di produzione di beni pubblici locali e servizi, aspetti orografici, livelli di istruzione o reddito dei nativi, composizione per etnia e per genere della popolazione straniera, mobilità dei nativi e degli immigrati, istruzione degli immigrati, impatto della crisi economica e così via. E queste conclusioni sono confermate anche tenendo conto simultaneamente delle principali caratteristiche comunali osservabili nei dati.
È il mercato del lavoro, sciocco!
La nostra interpretazione è che sia soprattutto la competizione nel mercato del lavoro tra nativi e stranieri a spiegare il successo dei partiti anti-immigrati. Laddove la differenza nei redditi medi è piccola, è probabile che nativi e immigrati competano per gli stessi lavori; dove la differenza invece è elevata, è probabile che i nativi siano occupati in lavori con salari più alti e gli immigrati in lavori con salari più bassi e che, dunque, i due gruppi siano complementari nel mercato del lavoro. A sostegno di questa interpretazione, i dati mostrano come i comuni appena sopra la discontinuità abbiano una popolazione più grande e, con maggiore probabilità, appartengano a un’area urbana specializzata nel settore dei servizi, cioè una zona con occupazioni che richiedono competenze elevate, che generalmente gli immigrati stranieri in Italia non hanno.
La morale è semplice. Per ridurre le tensioni sul mercato del lavoro, che poi si riflettono anche in tensioni politiche, sembra necessario, al crescere della percentuale degli immigrati, che i nativi abbiano la possibilità di spostarsi su professioni con competenze più elevate. Soluzioni semplici non ce ne sono, ma certo una politica attiva del lavoro che spinga in questa direzione, per esempio con lo sviluppo di corsi formativi che consentano ai lavoratori poco qualificati di migliorare le proprie competenze e di affrontare nel modo migliore la concorrenza sul mercato del lavoro aiuterebbe a mitigare gli atteggiamenti ostili anche nei confronti dell’immigrazione.
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oscar
Ho capito, la prossima volta avro’ anche una spiegazione scientifica per votare Lega.
paolo
non sei il solo. Oggi vota Lega chi 10 anni non si sarebbe mai sognato di farlo, e in modo trasversale alle classi sociali.
andrea
esempio di come analisi senza peer review sono uguali al resoconto del piano quinquennale cinese.
In EmiliaRomagna non hanno perso i partiti anti-immigrati e sono i numeri a dirlo
Da regionali 2014 #M5S scomparso, Salvini da 19,4% al 31,9% (cdx al 45.4%) Meloni a 8,6 e … PD parla di rimonta e vittoria?
Ma siete seri? Guardate lo storico nella roccaforte di coop rosse e tutte gli intrallazzi che questo genera su chi usa gli immigrati e qualche dubbio.
A proposito, evidentemente in Calabria non esistono immigrati visto che ha vinto il CDX in modo schiacciante. Ah vero, dimenticavo. Ha vinto FI e non Salvini … il che mi sembra quantomeno ovvio. E non fatemi paragoni con le Europee che c’entrano zero
Michele
Un articolo davvero interessante, io ho una spiegazione più semplice e anche più triste: la provincia italiana è tendenzialmente poco istruita, reazionaria e chiusa su se stessa. Sarebbe bello incrociare i dati con il livello di istruzione, con la spesa media per cultura, con la “mobilità” (ovvero la quantità di viaggi o comunque di spostamenti al di fuori del comune di residenza).
Tommaso Vitale
Effettivamente quando si guardano i dati sul razzismo in Francia, il livello di istruzione e il comportamento transnazionale (aver lavorato o studiato o soggiornato al lungo all’estero) sono i due fattori più significativi nello spiegare le attitudini razziste e intolleranti. https://spire.sciencespo.fr/notice/2441/6b4krffj2p8thrcfea6v7c1hdp
Graziano
I più convinti sostenitori del Job Act, hanno salutato quello e altre norme, come il punto di partenza dell’avvento della “flexsecurity” in Italia. Dato lo stato dei Centri per l’impiego sembra essere andato storto qualcosa…
In genere sono gli stessi che hanno irriso l’iniziativa dei navigatori: comunque la si pensi poteva essere una occasione per potenziare il personale dei Centri. D’altra parte basta vedere quanto la maggioranza delle PMI italiane investe in formazione (non quella obbligatoria) per farsi un quadro. Strano anche il lamento sullo skill storage che affrontetebbero molte aziende a fronte di migliaia di giovani che quelle competenze le portano all’estero. D’altronde non mi risulta che le stesse aziende si spendano per trovare quelle risorse all’estero…ma forse sbaglio ?
Giampiero
La risposta è che Repubblica non è un mercato. La Costituzione riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. art 4. Se il cittadino, qualificato o non qualificato per quello che è , se soggetto ad una concorrenza impari che lo emargina nella povertà deve essere tutelato. Ecco perchè, per il sacrosanto diritto di sopravvivere, fa certe scelte politiche e non altre.
Mahmoud
Non posso che concordare in pieno. L’accesso alla formazione è arduo soprattutto nelle situazioni più disagiate in cui molti nuclei familiari italiani (che difatti figliano poco e meno di quelli stranieri da un pezzo) versano: un ragazzo che a 16 anni deve lasciare la scuola per mantenere la famiglia ovviamente farà fatica a competere nel mercato IT, nonostante potenzialmente corsi di qualsiasi tipo possano portarlo a programmare per Google. Egli competerà invece per lavori meno qualificati, in cui subirà la lotta spietata di chi non ha nulla da perdere e traina verso il fondo salari ma soprattutto tutele e diritti. Un classico esempio è il settore delle consegne, dove se guidi come un pazzo e a cottimo consegni, anche lanciando il pacco oltre le staccionate o fingendo citofonate mai effettuate, hai assicurato un lavoro, col risultato che gli italiani che si prestano a questi sfruttamenti ed ingiustizie perpetrate ai danni del consumatore di turno sono pochi mentre gli stranieri disponibili tantissimi. Questi problemi, uniti ai crimini comuni da strada, sono pressanti laddove i redditi sono bassi. Non dubito che nel centro storico di Milano abbiano poco timore della concorrenza poco qualificata sul lavoro o dei reati di strada. Per questo occorre sensibilizzare anche le fasce più abbienti e lontane dai problemi di questo tipo rispetto alle giustificate paure ed ai bisogni di chi non gode del loro stesso tenore di vita nei piccoli e più isolati centri.
Ermes Marana
A furia di ripetere questa manfrina sulle “paure economiche dei lavoratori poco qualificati” finite per crederci… Come si puó pensare che il problema sia l’accesso alla formazione quando nel 2020 qualsiasi ricerca internet ti propone centinaia di ore di formazione su temi e professioni estremamente ben pagate e cercate (e mi riferisco quasiasi professione IT dal programmatore al data scientist, passando per dev/sysops, sicurezza o cloud).
Non sará che magari il problema é al contrario? Non sará magari che un razzista ignorante non ha possibilitá di accedere a lavori di buon livello perché essendo appunto un razzista ignorante si crea (professionalmente e personalmente) terra bruciata attorno? E che magari una persona con un minimo di cervello approfitti della prima occasione buona per andarsene da quest’inferno verso una cittá grande che offra piú possibilitá?
Mai visto un errore cosí madornale nell’elaborazione dei dati, smettete di sdoganare il razzismo con la scusa delle paure economiche.
Franco
“La nostra interpretazione è che sia soprattutto la competizione nel mercato del lavoro tra nativi e stranieri a spiegare il successo dei partiti anti-immigrati.”. Strano, credevo che venissero in Italia per fare i lavori che agli italiani non vanno più.
fabio
corrige: a parte quelli (e ne conosco) che da quando esiste il reddito di cittadinanza hanno smesso in toto di lavorare (sono qui da + di 10 anni) il claim di “lavori che gli italiani non vogliono + fare” è del tutto falso).
Si tratta o di lavori per cui non si viene pagati, per cui non esiste tutela minima o lavori inventati di sana pianta solo per immigrati. Due esempi di lavori per soli africani: i vigillantes dei super e nei negozi che a Milano non si sono mai visti nemmeno negli anni ’70 in piena era una-rapina-al-giorno; i guardiani dei varchi della M4 che fanno uscire i camion muniti di paletta segnaletica.
Da notare che in entrambi i casi chi lavora veramente (dentro il super o nel cantiere) sono italiani. Chi vigila che tutto vada bene sbadigliando sonoramente sono africani.
Spiegatemi questa “carenza di lavoratori” che mi avrebbe fatto veramente comodo quando ero nel limbo tra fine universita e primo lavoro veramente pagato
Roberto
Accostare la presenza di immigrati ai voti della Lega e’ un errore madornale. Qui in montagna i pochi immigrati che hanno accettato la condizione di vita locale godono del massimo rispetto e considerazione. Se poi la Lega gode di una buona rappresentativita’ vi invito a pensare che forse la montagna abbisogna di un maggiore controllo del territorio.
Nicola
E’ una questione di ricchezza, qualifica e welfare.
Gli ideali sono per chi può permetterseli, una verità storica.
La lunghissima crisi, ed un paese con un pessimo Gini (dovuto soprattutto all’evasione fiscale), moltiplica la paura e la reazione.
Questione aggravata da quella parte politica che alimenta l’evasione (quindi meno welfare e meno tutele) dando ulteriore benzina al fenomeno “razzista”, che già contemporaneamente fomenta.
Insomma: hai poca cultura, avrai un lavoro precario, sarai sfruttato, e per di più ti affidi proprio ai partiti che non vorranno mai realizzare i tuoi bisogni, perchè sanno che perderanno gli elettori che eventualmente miglioreranno la propria posizione.
Giorgio Libretti
Mi piacerebbe vedere una correlazione tra voti alla Lega e aumento % della popolazione immigrata negli ultimi 15 anni.
Nei centri periferici fino al, boh, 2005? gli immigrati erano pochi. Da allora magari sono diventati 50 invece di 10 (da 1% a 5%), e man mano hanno cominciato a mandare i figli a scuola. Sono diventati molto più visibili, in un’epoca di attenzione mediatica più elevata.
Nei centri ad alta presenza di immigrati (le città e la bassa) l’ondata di crescita c’è stata già prima di 10 anni fa, negli anni zero, e la gente si è abituata alla presenza esterna in periodi di attenzione mediatica un po’ inferiore. Se negli ultimi 10-15 anni gli immigrati passano dal 12% al 16% non è uno sconvolgimento, la popolazione si era già abituata alla loro presenza.
Magari invece non c’entra nulla, è solo un’ipotesi non corroborata da dati.
P.S. vedo che “Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome” non ha molto successo…
Giuseppe GB Cattaneo
Sono stupito dai commenti, che in un certo senso confermano le conclusioni della ricerca.
Catullo
Sicuro di averli letti bene? Perchè in generale chiedono più approfondimento rispetto a questa superficiale analisi.
Francesco Zucchini
Francesco . Prima di tutto suggerisco agli autori di leggere questo articolo https://doi.org/10.1017/S0003055418000898
La competizione di cui si parla è suggerita da una differenza di reddito che sarebbe più basso. E tuttavia che cosa determina maggiormente il basso valore di questa differenza ? Non è forse il basso livello di reddito dei nativi ? E se è così la spiegazione non può essere semplicemente la seguente:: certi posti, che sia il midwest in US, , la pedemontana o la Cumbria in UK sono lasciati da chi ha ambizione, ama la varietà e non ha paura del nuovo. Restano chi non vuole cambiamenti, tanto meno di paesaggio umano e quelli meno ambiziosi. Sono luoghi che anche per queste ragioni finiscono per avere un basso capitale umano,e bassi redditi e quindi anche minore differenza fra redditi di nativi e redditi di immigrati. Immigrati che .finiscono per viverci solo se costretti dalle circostanze.
Catullo
Ma siete sicuri che i voti per la destra (poi più che anti immigrati è per il controllo dei migranti) siano solo voti anti immigrati? Non è che in generale la sinistra ha favorito i grossi centri a discapito dei più piccoli? Non sarà poi che l’aver distribuito i migranti africani arrivati sui barconi nei piccoli centri ha peggiorato la situazione? Senza contare che qua si conteggiano solo gli immigrati regolari. Mi piacerebbe un articolo su come voterebbero gli immigrati più integrati e perché, io credo che ci sarebbero sorprese.
bruno monteano
“La morale è semplice. Per ridurre le tensioni sul mercato del lavoro, che poi si riflettono anche in tensioni politiche, sembra necessario, al crescere della percentuale degli immigrati, che i nativi abbiano la possibilità di spostarsi su professioni con competenze più elevate. Soluzioni semplici non ce ne sono, ma certo una politica attiva del lavoro che spinga in questa direzione, per esempio con lo sviluppo di corsi formativi che consentano ai lavoratori poco qualificati di migliorare le proprie competenze e di affrontare nel modo migliore la concorrenza sul mercato del lavoro aiuterebbe a mitigare gli atteggiamenti ostili anche nei confronti dell’immigrazione.”
Un ottimo vostro collaboratore, Maurizio Ambrosini, parla da tempo di integrazione subalterna – la strutturale collocazione dei migranti in lavori poco pagati e tutelati. Come potete giustificare la riproduzione di questo gap? Non sarebbe più giusto che cittadini e stranieri avessero le stesse opportunità? Solidi standard ambientali e sociali garantirebbero che la xenofobia o il razzismo non salgano. Su questo segnalo l’importante studio di Guglielmo Meardi: https://www.google.com/search?q=what+does+migration+control+means+meardi&rlz=1C1EXJR_enIT888IT888&oq=what+&aqs=chrome.0.69i59l2j69i57j0l3j69i60j69i61.2300j0j7&sourceid=chrome&ie=UTF-8 (sintetizzato qui: https://jacobinitalia.it/il-mito-dei-migranti-che-ci-rubano-il-lavoro/)