Fenomeni potenzialmente catastrofici come il coronavirus richiederebbero l’applicazione del principio di precauzione. Il confronto fra due circolari fa pensare invece che l’attenzione alla massima precauzione possibile a un certo punto si sia ridotta e che l’allarme sia stato sottovalutato.
Come si affrontano eventi catastrofici, ma rari
Appare sempre più evidente, giorno dopo giorno, che vi sia stata una sottovalutazione delle misure da prendere per ostacolare la diffusione del virus denominato Covid-19 (Sars cov-2), sia a livello sovranazionale che a livello locale. L’applicazione del principio di precauzione sembra essere stata disattesa, sebbene faccia parte di documenti di indirizzo a livello Ue.
La letteratura di teoria delle decisioni in condizioni di incertezza offre tutta una serie di possibili alternative ai metodi di valutazione tradizionali, i quali sottostimano necessariamente l’effetto di fenomeni a bassissima probabilità. Per quanto disparata e disomogenea, propone un messaggio unificante che può essere riassunto nell’idea che l’incertezza estrema non deve costituire un alibi per l’inazione in presenza di fenomeni potenzialmente catastrofici.
Vi è però un problema di capacità delle istituzioni di mettere in atto procedure e misure di contrasto, a prescindere dalla effettiva volontà di agire in modo precauzionale o meno. La capacità di reazione dei diversi paesi di fronte all’attuale emergenza globale è analizzata dagli studiosi di tutto il mondo e di tutte le discipline. Pur con le difficoltà di comparazione dei dati, in particolare in tema di effettiva capacità di monitorare il fenomeno (quanti contagiati?) in differenti contesti politico-istituzionali e con differenti strategie di contrasto (quanti tamponi?), il caso dell’Italia appare peculiare per alcune anomalie.
L’Italia e l’influenza
Sebbene sia presto per trarre conclusioni chiare sul perché in certe zone dell’Italia si siano creati veri e propri focolai di infezione, rendendoci per il momento il paese con il più alto tasso di mortalità, c’è un elemento istituzionale legato alla capacità del sistema di monitorare l’emergere di fenomeni infettivi. Da un lato, alcune misure quali la chiusura dei voli dalla Cina in anticipo sulla decisione presa da altri paesi segnalano una attenzione specifica al tema della precauzione. Dall’altro, il nostro sistema è attrezzato per i fenomeni influenzali convenzionali: il ministero della Salute emana direttive specifiche sul tema, ha un programma consolidato di rilevazione dei dati e propone regolarmente campagne informative. L’influenza stagionale è infatti una importante (con)causa di morte nella popolazione sopra i 65 anni: l’Istituto superiore di sanità stima in media negli ultimi dieci anni circa 8 mila decessi annui. Il dettaglio con il quale la direzione generale della prevenzione sanitaria del ministero della Salute chiede agli assessorati regionali alla sanità e ad altri enti di monitorare l’influenza stagionale 2019-2020 è indice di una alta capacità di contrasto di un fenomeno atteso.
Il confronto tra due circolari
Eppure, se si esaminano gli analoghi documenti predisposti per l’analisi informativa richiesta alle unità periferiche relativamente al Covid-19 (Sars cov-2) sembra emergere una palese incongruenza. Nel periodo precedente alla conclamata diffusione del virus a livello nazionale (databile 22-23 febbraio 2020), il ministero della Salute ha emesso due circolari, datate 22 gennaio (circolare 1997 “Polmonite da nuovo coronavirus (2019 – nCoV) in Cina”) e 27 gennaio 2020 (circolare 2302 “Polmonite da nuovo coronavirus (2019 – nCoV) in Cina”.
Il 22 gennaio si comunica l’avvio di una attività di monitoraggio che le unità periferiche devono intraprendere con una “Definizione di caso provvisoria per la segnalazione”. La circolare contiene la richiesta di segnalare, come caso 1, “casi di infezione respiratoria acuta grave,” intesa come “infezione respiratoria acuta grave (Sari) in una persona, con febbre e tosse che ha richiesto il ricovero in ospedale, senza un’altra eziologia che spieghi pienamente la presentazione clinica”, e che siano legati a una ulteriore condizione fra a) aver viaggiato in Cina, nella città di Wuhan, nei 14 giorni precedenti e b) essere operatore sanitario. La circolare contempla inoltre – si immagina in funzione della potenziale pericolosità del fenomeno – la possibilità di segnalare comunque anche possibili casi di tipo 2, identificati come “una persona che manifesta un decorso clinico insolito o inaspettato, soprattutto un deterioramento improvviso nonostante un trattamento adeguato, senza tener conto del luogo di residenza o storia di viaggio, anche se è stata identificata un’altra eziologia che spiega pienamente la situazione clinica”.
Il 27 gennaio, “sulla base dell’evoluzione della situazione epidemiologica e delle conoscenze scientifiche disponibili”, si comunica un aggiornamento delle fattispecie soggette a segnalazione in quella che diventa la definitiva descrizione dei casi. Il caso 1 è così riportato: “Una persona con infezione respiratoria acuta grave – Sari – (febbre, tosse e che ha richiesto il ricovero in ospedale), E senza un’altra eziologia che spieghi pienamente la presentazione clinica, E almeno una delle seguenti condizioni: storia di viaggi o residenza in aree a rischio della Cina2, nei 14 giorni precedenti l’insorgenza della sintomatologia; oppure il paziente è un operatore sanitario che ha lavorato in un ambiente dove si stanno curando pazienti con infezioni respiratorie acute gravi ad eziologia sconosciuta”. Le E maiuscole e in grassetto (così indicate nel documento originale) sembrano voler sottolineare la necessità di almeno due concause.
Nell’aggiornamento il caso 2 non è più previsto, bensì sostituito da una tipologia ben più ristretta e comunque legata alla “storia” del soggetto: “Una persona con malattia respiratoria acuta E almeno una delle seguenti condizioni: contatto stretto con un caso probabile o confermato di infezione da nCoV nei 14 giorni precedenti l’insorgenza della sintomatologia; oppure ha visitato o ha lavorato in un mercato di animali vivi a Wuhan, provincia di Hubei, Cina, nei 14 giorni precedenti l’insorgenza della sintomatologia; oppure ha lavorato o frequentato una struttura sanitaria nei 14 giorni precedenti l’insorgenza della sintomatologia dove sono stati ricoverati pazienti con infezioni nosocomiali da 2019-nCov.”
Il caso 2 della circolare del 22 gennaio sembra indicare un’applicazione coerente con la massima precauzione ipotizzabile. La sua esclusione dalla circolare del 27 gennaio appare un incomprensibile segnale di riduzione di attenzione proprio relativamente a quei caratteri di novità e didifficoltà di catalogazione che l’applicazione del principio di precauzione aveva in precedenza consigliato di indicare.
Va ricordato che, in quei giorni, a livello periferico si manifestavano già le situazioni di difficoltà che hanno poi prodotto una diffusione in forma di focolaio del virus.
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Michele Lalla
L’articolo mantiene un equilibrio ragionevole che solo un po’ lo distacca dalla congerie di articoli, che spesso fanno propaganda elettorale. Allora dico di rileggere il Manzoni, ma in un capitolo diverso, il XXIV, verso la un certo punto dice: “del senno di poi ne son piene le fosse”. Occorre riflettere sul processo decisionale in questo contesto: il governo ha a responsabilità politica, ma sono i tecnici medici e giuridici a procedere e consigliare. Allora occorre puntare il dito all’Istituto Superiore di Sanità, presumo. La precisione del linguaggio è importante e determinante. Quanto quel dettaglio del “caso 2” sia davvero essenziale. Infine, per brevità, noto che anche tra gli esperti non c’è una visione comune, per molteplici ragioni, sia di personalità (v. Fromm, Reich, Adorno), sia di specificità del problema, che è nuovo e coinvolge competenze molteplici (virologia, epidemiologia, organizzazione funzionale/ economica, complessità delle situazioni reali …). Ora, gli autori sono economisti, ma non aziendalisti e nemmeno sociologi delle organizzazioni; i tempi e la furia caotica (e opportunistica di certuni) degli attori hanno contribuito piú alla confusione che alla focalizzazione dei problemi e delle soluzioni per non citare che che non è certo quel dettaglio che agisce sul fronte degli operatori che sono oberati, visto che alcuni di loro pare che abbiano sottovalutato ma … Alla fine, purtroppo, avranno ragione tutti perché la soluzione mai attuata è la migliore.
Mauro Alberti
“il nostro sistema è attrezzato per i fenomeni influenzali convenzionali” ma a quanto pare nelle 3 stagioni da 14/15 a 16/17 più di 60 mila morti attribuibili (concausa) all’influenza (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/31401203 ; articolo che si trova proprio nella pagina ISS linkata) e, a mia memoria, non vi sono state significative informazioni, per non dire misure, per ridurre e/o prevenire gli impatti in quegli anni e negli anni a venire. Se sono numeri attendibili come minimo abbiamo la capacità di reazione di un bradipo
Anna Pellizzari
Segnalo solo che Covid-19 non è il nome del virus (che è sars-cov-2) ma della malattia da esso provocato (COronaVIrusDisease).