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La Cina e il business della sanità

È da cinque anni che il paese guidato da Xi Jinping si impegna nella cooperazione sulla salute quando stipula accordi internazionali come la Via della seta. Ma con poca trasparenza e tutto sembra ricondurre a un’abile strategia commerciale.

Le vie della seta sono infinite. Corrono per mare e per terra, per via aerea e sottomarina, attraversano i deserti e fendono i ghiacci, passano per gasdotti, oleodotti e reti internet. E oggi, nel bel mezzo della prima pandemia del mondo globalizzato, arrivano anche negli ospedali e nei laboratori medici dei paesi partner. La Cina è disposta a collaborare per contribuire alla cooperazione internazionale nella lotta all’epidemia e alla costruzione di una Via della seta della salute (Health Silk Road). Anche con l’Italia: è questo il succo del messaggio del presidente cinese Xi Jinping in una conversazione telefonica con il primo ministro italiano Giuseppe Conte del 16 marzo scorso. Quello che sembra un intento genuinamente cooperativo è in realtà parte di una ben più strategica “diplomazia delle mascherine” , volta da un lato a mostrarsi indispensabile a combattere la pandemia, dall’altro lato a ripulirsi dalle responsabilità iniziali della mancata trasparenza. 

Salute e farmaci sulla Via della seta

Infatti, la Health Silk Road non è una cosa nuova. L’idea di una cooperazione sanitaria risale al 2015, quando fu menzionata nel Piano triennale per l’attuazione della Belt and Road Initiative Health Exchange and Cooperation (2015-2017) come obiettivo a breve e medio termine. Essa è volta a facilitare la comunicazione tra i paesi per prevenire e controllare le malattie infettive, creare una piattaforma per servizi sanitari adeguati e per l’industria sanitaria, facilitare la formazione del personale e la ricerca medica e sviluppare l’assistenza internazionale. Si tratta dunque di una delle molte estensioni retoriche della Belt and Road Initiative (Bri). Con molti vantaggi economici. L’obiettivo principale infatti è “migliorare la salute e l’igiene generale dei paesi lungo la Bri, rafforzare la comunicazione sulle politiche dei vari sistemi sanitari, delle norme internazionali in materia di salute, rafforzare la cooperazione nella prevenzione e nel controllo delle principali malattie infettive, migliorare la formazione del personale e promuovere di più prodotti farmaceutici di fabbricazione cinese per entrare nel mercato internazionale”. 

Purtroppo alla prova dei fatti pare che la Cina abbia fatto poco per assicurare la trasparenza e la diffusione di informazione per prevenire e controllare le malattie infettive, ma molto invece per crearsi un mercato sempre più grande per le proprie produzioni di medicinali, soprattutto per diffondere la medicina tradizionale cinese (Mtc). Una pletora di Memorandum of Understanding relativi alla Mtc sono stati firmati con i paesi della Bri, soprattutto in Asia e Africa. Inoltre, alcune aziende cinesi come Huawei e Zte hanno investito in tecnologie di monitoraggio delle condizioni sanitarie (e-health) in diversi paesi dell’Africa e la Cina è diventata partner dei Centri africani per il controllo e la prevenzione delle malattie (Africa Cdc). 

Oggi l’occasione è propizia per offrire aiuto sanitario per affrontare la pandemia. Il governo cinese fornisce assistenza medica e consulenza su base bilaterale, spesso fornita direttamente dalle ambasciate cinesi locali, come quelle in Malesia, Filippine e Grecia. In altri casi le forniture mediche sono state fornite da società impegnate in progetti Bri all’estero, come Huawei o China Communications Construction Company. Le Fondazioni Jack Ma e Alibaba hanno consegnato materiale sanitario a decine di paesi, dall’Uganda e dall’Ucraina agli Stati Uniti. La Cina ha anche fornito sostegno economico ad alcuni Paesi colpiti, tra cui un prestito agevolato di 500 milioni di dollari allo Sri Lanka.

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Cooperazione o strategia di branding?

Intanto si intensifica l’attività di comunicazione e di propaganda, non soltanto attraverso le cancellerie ma anche attraverso i forum organizzati formalmente sotto l’egida della Silk Road Think Tank Association, come per esempio quello dello scorso 24 aprile, con dichiarazioni invitate da voci provenienti (ma non necessariamente rappresentative) da una rosa ben calibrata di paesi partner, tra cui non solo Bosnia, Egitto, Grecia, Iran, Slovenia, Tanzania e Tailandia, ma anche Francia e Italia. 

Quest’ennesimo ramo sanitario della Bri mostra dunque che quest’ultima è una ben congegnata strategia di branding, camuffata da cooperazione internazionale. La grande attenzione sugli investimenti in molti paesi africani che sono obiettivo di molte delle azioni dell’Oms forse spiegano perché essa abbia firmato un MoU sulla Bri con la Cina nell’agosto del 2017, al primo Belt and Road Forum che presentò al mondo la Bri. E oggi fanno gelare il sangue alcune delle parole di allora del direttore dell’Oms, soprattutto: “La Cina è leader mondiale nella sorveglianza delle malattie e nel controllo delle epidemie. […] La Cina ha molto da insegnarci su questi temi. […] Noi, i leader sanitari di 60 Paesi riuniti qui, e i partner della sanità pubblica, costruiamo insieme una sana Via della Seta. E l’Oms sarà dalla vostra parte.”

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  1. cicci capucci

    L’aiuto sanitario della Cina agli atri Paesi è come le mascherine: Roba farlocca.

  2. bob

    gent.ma professoressa non credo che il problema sia cinese, perchè loro fanno la loro politica e i loro interessi. Mi viene da chiedere come possiamo “combattere” questa loro strategia? E con quali mezzi? Se la risposta è quella di uno spassoso “politico” che perdendo tempo e denaro ha riunito un consiglio regionale per elaborare questo: La Regione Lombardia vuole chiedere 20 miliardi di danni alla Cina come risarcimento per la pandemia da coronavirus…”
    Allora credo che la problematica vada affrontata in maniera diversa. Un titolo potrebbe essere ” tra politica e commedia all’italiana quale è la differenza?” O no?

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