A settembre parte delle attività scolastiche potrebbero proseguire ancora a distanza. Agli investimenti in infrastrutture devono affiancarsi interventi che permettano a docenti e studenti di vivere in modo attivo il nuovo rapporto con la tecnologia.
I presupposti della didattica a distanza
L’attivazione della didattica a distanza, prevista dal decreto del presidente del Consiglio 4 marzo 2020, ha comportato l’esigenza di riorganizzare i processi che quotidianamente hanno luogo nelle aule scolastiche, sia dal punto di vista dell’apprendimento e dello sviluppo delle competenze, sia da quello della crescita personale e relazionale.
Per valutare la capacità di raggiungere gli studenti fuori dalle aule scolastiche, il primo elemento da considerare è il grado di diffusione di connessioni Internet e dispositivi digitali presso le famiglie. I dati Istat, ampiamente citati in queste settimane, forniscono una fotografia in chiaro-scuro: il 96 per cento dei ragazzi tra 6 e 17 anni dispone di una connessione Internet, tuttavia più del 12 per cento è privo di pc o tablet, che invece sono necessari per uno svolgimento efficace della didattica a distanza; oltre la metà di chi ne possiede uno è comunque costretto a condividerne l’utilizzo.
L’indagine internazionale Pisa 2018 (Programme for International Student Assessment), rivolta a un campione rappresentativo di studenti di 15 anni, fornisce per l’Italia un quadro molto simile, peraltro in linea con la media Ocse. Sebbene il dato nazionale celi differenze territoriali e socio-economiche significative, la dotazione tecnologica cui hanno accesso gli studenti risulta mediamente elevata, così come l’utilizzo che ne viene fatto: i quindicenni italiani trascorrono online, a casa, circa 3 ore al giorno. La maggioranza di loro è in grado di installare un nuovo software se necessario (57,6 per cento) e si documenta al fine di rendersi indipendente nell’utilizzo dei dispositivi (62,5 per cento). L’autonomia nell’utilizzo deriva anche dalla sua precocità: un quarto dei quindicenni italiani aveva meno di sette anni quando ha utilizzato per la prima volta un dispositivo digitale e due terzi meno di dieci. Nonostante il diffuso ricorso a tecnologie digitali, l’impiego a casa a supporto dell’apprendimento scolastico appare più limitato (figura 1). Poco più di un quarto di quindicenni italiani naviga in Internet per la scuola su base giornaliera. Più del 40 per cento riferisce di farlo non più di una/due volte al mese. Meno del 20 per cento svolge i compiti al computer quasi tutti i giorni, mentre circa il 60 per cento dichiara di farlo al massimo due volte al mese. Per quanto concerne il tempo trascorso a scuola, l’utilizzo di dispositivi digitali per l’apprendimento o la didattica sia da parte degli insegnanti che degli studenti risulta ancora relativamente limitato, sebbene con diversa intensità tra materie.
Con l’emergenza sanitaria, il ricorso al supporto digitale è divenuto modalità necessaria e ordinaria di svolgimento delle attività didattiche. Il passaggio alla didattica a distanza ha comportato non soltanto un cambiamento importante per gli studenti, ma – soprattutto per i più piccoli – anche l’attivazione di risorse familiari tutt’altro che trascurabili. Tempo e vicinanza da parte degli adulti, innanzitutto, ma anche capacità di comprensione e trasferimento di contenuti specifici, oltre che decodifica di indicazioni metodologiche. Più dell’80 per cento dei quindicenni italiani afferma che i genitori sostengono l’impegno e i risultati nello studio, anche in situazioni di difficoltà legate alla scuola. In un momento di diffusa criticità non è però detto che lo stesso sostegno possa essere confermato o sia sufficiente. Il rischio allora è che, pur in presenza di un limitato divario digitale primario, se ne sviluppino altri, più complessi, relativi alle effettive capacità di avvalersi attivamente di tecnologie dell’informazione e comunicazione (Ict) con finalità diverse dall’intrattenimento, quali la fruizione critica di contenuti e il discernimento delle informazioni a fini conoscitivi.
E la scuola, invece?
Il Piano nazionale scuola digitale, documento d’indirizzo del ministero dell’Istruzione in attuazione della legge 107/2015 (la “Buona scuola”), ha rimarcato l’importanza di dotare la scuola delle infrastrutture necessarie all’utilizzo della tecnologia nelle attività didattiche. Al contempo, peraltro, il Piano ha anche sottolineato la necessità di rafforzare le competenze digitali di studenti e insegnanti, affinché alla dotazione corrisponda un utilizzo efficace e inclusivo.
Le evidenze disponibili confermano l’impegno profuso nel migliorare l’infrastruttura tecnologica del sistema scolastico italiano: esaminando la composizione del Programma operativo nazionale (Pon) 2014-2020, circa un quarto dei progetti autorizzati riguardano “Ambienti digitali” e “Cablaggio e reti”. Risultano invece sostanzialmente marginali gli investimenti in capitale umano, ovvero nella formazione del personale scolastico su tecnologie e approcci metodologici innovativi (la quota è inferiore all’1 per cento del totale dei progetti Pon autorizzati).
Quest’ultimo dato forse aiuta a spiegare quanto rilevato dall’indagine Talis (Teaching and Learning International Survey) per l’Italia, secondo cui nel 2018 la quota degli insegnanti che consente agli studenti di utilizzare frequentemente Ict per attività in classe è inferiore alla media Ocse. Inoltre, la formazione all’uso delle Ict per l’insegnamento risulta il tema di sviluppo professionale sul quale la quota maggiore di insegnanti italiani segnala un elevato fabbisogno. L’indagine Pisa 2018 fornisce ulteriori dettagli: più di un dirigente su tre ritiene non sufficiente il numero di dispositivi digitali per l’istruzione e la maggioranza rileva la mancanza di un’adeguata piattaforma online di supporto all’apprendimento. D’altro canto, circa un dirigente su due ritiene che i docenti non possiedano le competenze tecniche e pedagogiche necessarie per utilizzare i dispositivi digitali nell’attività didattica.
Vista l’eccezionalità dell’attuale situazione, occorre quindi da un lato accelerare nella direzione dell’ampliamento della diffusione della dotazione di dispositivi digitali e, come già proposto dalla task force del ministero, nello sviluppo di una grande piattaforma digitale unica a livello nazionale. Dall’altro lato, va però tenuto presente che tutto ciò è necessario, ma non sufficiente. Vanno potenziate le azioni di formazione degli insegnanti e lo sviluppo delle competenze nell’utilizzo didattico dei dispositivi digitali.
È dunque auspicabile, nei prossimi mesi, uno sforzo congiunto di tutto il settore educativo per sostenere con attività di recupero gli studenti più in difficoltà, ma anche per non giungere impreparati a una possibile ripresa a settembre con modalità mista in presenza e a distanza. Progredire sul fronte della digitalizzazione rappresenta, nel più breve periodo, l’opportunità per non compromettere un elemento centrale nei processi di insegnamento e apprendimento: la continuità nell’interazione docente-discente. Nel lungo periodo, potrebbe fornire un prezioso contributo per un più ampio rinnovamento dell’intero sistema scolastico.
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Marcello Romagnoli
Senza falsa modestia sono stato uno dei primissimi a chiedere nel mio ateneo di svolgere le lezioni online, questo per fare capire che non sono contro questo strumento. Non vorrei che fosse usato per ridurre il numero di personale nelle università.
Inoltre senza una valida rete internet diffusa su tutto il territorio non si va da nessuna parte
Gianfranco Nigro
Io distinguerei il problema del “digital divide” da quello della modalità di didattica a settembre.
Il “digital divide” richiede sicuramente delle risposte adeguate ma il vero tema è permettere ai ragazzi di ritornare in classe a settembre per molti motivi (socializzazione, apprendimento, ecc.). Non sono un esperto ma la soluzione per la scuola ed in genere per tutte le situazioni dove la distanza non può essere garantita è indossare doppio DPI: mascherina (possibilmente lavabile) e visiera. E’ stato già sperimentato in alcune scuole in Francia ed anche alcuni parrucchieri utilizzano questo metodo.
Questo consentirebbe a tutti gli studenti (e non solo a quelli di elmentari e medie) di far ritorno a scuola. Invece le soluzioni finora indicate (es. classi dimezzate) non sono praticabili o per qualità dell’apprendimento (es. nel caso di didattica a distanza) o per motivi finanziari (classi da 15 ragazzi).
Vorrei ancora aggiungere che la didattica a distanza diventa una pagliacciata per chi frequenta istituti tecnici e professionali dove è necessario usare strumenti, laboratori, ecc. Quest’anno stiamo portando sul mercato migliaia di ragazzi (geometri, periti, ecc.) che avrebbero dovuto imparare molto del mestiere durante l’ultimo anno e che invece si sono dovuti accontentare di qualche videolezione (quasi sempre in quantià ridotta rispetto all’orario scolastico).
Facciamo tornare TUTTI i ragazzi a scuola a settembre!