La rappresentanza femminile è certamente aumentata in parlamento, nel governo e nelle amministrazioni locali. Ma difficilmente le donne ottengono ruoli di potere. Per questo quote di genere e doppia preferenza sono solo un primo passo, seppur necessario.

Gli ostacoli per le donne in politica

Nel dibattito pubblico sulla parità di genere, un tema sempre più rilevante è il ruolo delle donne in politica, un ambiente nel quale la disuguaglianza di genere è molto maggiore rispetto a quella che si può riscontrare in altri ambiti. In Italia, la presenza femminile in parlamento e al governo è sicuramente aumentata: abbiamo fatto passi avanti dai tempi di Nilde Iotti, prima donna a ricoprire la carica di presidente della Camera dei deputati nel 1979, e di Tina Anselmi, prima donna a ottenere un ministero nel 1976, anche se solo nel 2018 una donna, la senatrice Maria Elisabetta Alberti Casellati, ha raggiunto la presidenza del Senato, ovvero la seconda più alta carica di Stato (grafico 1).

Negli ultimi anni, la disuguaglianza di genere in politica è diventata una tematica sempre più sentita e discussa, sia a livello europeo (grafici 2- 3) che nazionale. In particolare, a partire dagli anni Duemila, quando il numero di donne parlamentari faticava a raggiungere il 10 per cento, si è registrata una costante crescita di deputate e senatrici, fino a raggiungere oltre il 30 per cento nell’attuale legislatura (grafici 4-5).

Nonostante l’aumento della presenza femminile nelle istituzioni, appare però evidente che non si è ancora raggiunta la piena parità di genere. Basta guardare il numero di donne a capo delle commissioni parlamentari italiane: in 70 anni di Repubblica, quelle permanenti presiedute da una donna sono state 30 (su un totale di 450), di cui 8 (su 28) nell’attuale legislatura, 3 al Senato e 5 alla Camera. Disuguaglianze ancora più notevoli si possono riscontrare nelle amministrazioni comunali e regionali: anche se la rappresentanza locale è sempre più inclusiva, secondo il rapporto del Senato sulla parità di genere, meno del 15 per cento dei sindaci sono donne.

La questione, dunque, è chiara: per le donne, il problema non sta tanto nell’inclusione politica, ma nell’ottenere ruoli di potere e di leadership. Sono numerosi infatti gli ostacoli da superare nel processo politico di selezione ed elezione. In primo luogo, la scarsità di figure modello a cui ispirarsi potrebbe avere un effetto negativo sull’interesse femminile per la carriera politica. Inoltre, proprio per la scarsa rappresentanza di genere, si formano basse aspettative di successo, che scoraggiano ulteriormente la partecipazione. Un altro motivo che potrebbe trattenere parte delle donne è la concreta mancanza di tempo da dedicare all’attività politica, perché più impegnate nella gestione domestica e nella propria occupazione lavorativa.

Tutti questi impedimenti, se analizzati da vicino, non sono direttamente riconducibili a un’insicurezza e a una mancanza di ambizione femminile di fondo, quanto piuttosto a un sistema sociale che alimenta le disuguaglianze con meccanismi di esclusione. La politica stessa agisce con processi simili: un esempio è la tendenza dei partiti a candidare donne nei seggi in cui hanno meno consenso. Secondo recenti studi, questa disposizione è in parte dovuta alle preferenze degli elettori: nei contesti sociali in cui le disuguaglianze di genere sono più accentuate, i cittadini reputano più competente un candidato uomo piuttosto che una candidata donna.

Per contrastare questi fenomeni e aumentare la rappresentanza femminile, in Italia sono state introdotte nelle elezioni amministrative le quote di genere e la doppia preferenza di genere, ovvero la possibilità di votare una donna e un uomo nella scheda elettorale. In vigore dal 2013, secondo un recente studio le misure hanno avuto effetto sulla composizione delle amministrazioni locali, aumentando di 18 punti percentuali la rappresentanza femminile nei consigli comunali.

Nonostante i buoni risultati, la doppia preferenza potrebbe non aver ancora raggiunto il suo pieno potenziale. Come è stato dimostrato, circa il 50 per cento degli elettori non ne è a conoscenza e non fa uso del secondo voto per mancanza di informazione.

Come cambierebbe la politica con più donne al vertice?

Ma se si raggiungesse una vera parità di genere, cambierebbero i toni e le priorità in politica? Diversi studi affermano che le donne in politica sono più collaborative e bipartisan, caratteristiche che potrebbero portare una maggiore trasparenza e cooperazione nei processi decisionali, così come livelli di corruzione più bassi. Inoltre, alcuni studi dimostrano che, in materia di politiche pubbliche, le donne tendono a destinare più risorse a famiglia, salute e welfare sociale.

Ancora una volta, il tema della disuguaglianza di genere nelle istituzioni non è solo una questione di numeri, ma soprattutto di ruoli. Aumentare la rappresentanza femminile nei parlamenti, nei governi e nella politica locale è solo un primo passo per raggiungere la parità. Le quote di genere e la doppia preferenza sono soluzioni che aprono le porte alla politica, ma sono ben lontane dal conferire pieno potere politico.

Grafico 1

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Grafico 2

Grafico 3

Grafico 4

Grafico 5

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