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Pubblica amministrazione: la semplicità va unita alla capacità

Il governo è in procinto di varare un decreto per la semplificazione della Pa. Ma i risultati ottenuti nella gestione dei fondi europei chiamano in causa la capacità amministrativa degli enti più che il quadro legislativo o il numero di dipendenti.

Amministrazioni con capacità diverse

Nelle prossime settimane il governo varerà un decreto per la semplificazione amministrativa per facilitare la ripresa. Bene: nessuno può essere contrario alla semplificazione. Ma, è sufficiente? È solo la complessità procedurale a generare inefficienze e tempi biblici nella nostra amministrazione? I programmi europei offrono importanti indicazioni sulla questione, in quanto finanziano una vasta gamma di interventi e coinvolgono tante amministrazioni diverse.

Limitandoci ad analizzare gli ultimi dati dell’attuale periodo di programmazione 2014-2020, le amministrazioni del Centro-Nord risultano più capaci di spendere le proprie risorse rispetto a quelle del Sud (tabella 1). Tra i ministeri, poi, l’efficienza di spesa varia spesso più che tra le regioni. La tabella 1 dice anche che, dopo oltre sei anni dall’avvio, nei prossimi tre – quelli che precedono la chiusura delle operazioni – le amministrazioni dovranno spendere in media il 70 per cento delle risorse. Se si aggiungono le nuove risorse Ue del periodo 2021-2027 e quelle che dovrebbero venire dal Recovery Fund e dal Transition Fund, si capisce che la sfida sarà notevole per tutti, ma soprattutto per le amministrazioni più deboli.

Nonostante le perduranti difficoltà facciano pensare il contrario, in passato abbiamo perso poche risorse Ue. Ci siamo riusciti, però, al costo di depotenziare i programmi: riducendo gli investimenti nazionali collegati ai fondi europei e inserendo nei programmi Ue progetti già finanziati con risorse nazionali (progetti “retrospettivi”) invece di finanziarne di nuovi. A riprova delle maggiori difficoltà che si riscontrano nel Sud, il taglio delle risorse nazionali e il ricorso ai progetti retrospettivi sono stati qui più elevati. Se si somma una stima dei progetti retrospettivi pari al 20 per cento nella programmazione attuale alla caduta della spesa del fondo nazionale per lo sviluppo – passato da 6 miliardi nei primi anni Duemila agli attuali 1,5 miliardi nonostante la sua disponibilità – risulta che l’inefficienza è costata al Mezzogiorno circa l’1,5 per cento del Pil annuo.

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I problemi di personale

La riduzione dei pubblici dipendenti è spesso citata come l’altra grande causa dei ritardi. C’è del vero, perché negli ultimi 15 anni l’occupazione in ministeri e regioni è scesa quasi del 20 per cento, ma alcune regioni con personale limitato sono nel complesso efficienti, al contrario di altre (per esempio, la Sicilia) o di alcuni ministeri che di dipendenti ne hanno molti.

Negli uffici che gestiscono i fondi europei la mancanza di personale è tuttavia un problema più serio perché, a parità di condizioni, pochi vogliono stare dove ritmi di lavoro e responsabilità sono maggiori. Vincoli contrattuali e sindacali impediscono di incentivare – o obbligare – il personale a spostarsi in quegli uffici. Si ricorre allora all’esternalizzazione di parti della gestione a società pubbliche o private, aumentando i costi e impoverendo l’esperienza del personale interno. D’altra parte, senza l’“esternalizzazione” (circa un esterno ogni quattro interni), molti programmi non potrebbero essere realizzati. In diverse amministrazioni manca infatti una “politica” del personale e dunque limitarsi ad aumentare i dipendenti senza sciogliere i nodi che ne impediscono l’uso efficiente non sarebbe una soluzione.

La velocità di spesa dei fondi europei varia tra amministrazioni e non dipende solo dal farraginoso quadro legislativo, uguale per tutti, o dal numero di dipendenti, ma anche dalla capacità amministrativa, cioè dall’abilità a organizzarsi per realizzare con successo quanto previsto dalle politiche pubbliche di competenza, in questo caso dai programmi Ue.

Politiche nazionali per la capacità amministrativa non sono mai state intraprese. Da oltre trent’anni riforme più o meno ambiziose della pubblica amministrazione hanno perseguito l’efficienza “per legge” introducendo qualche miglioramento, ma senza intaccare il funzionamento della macchina burocratica. E sono state realizzate molte azioni di formazione, spesso slegate però da un target di miglioramento per cui gli effetti sono stati, nel migliore dei casi, individuali.

L’esperienza dei Pra

È nei programmi europei che è stata sperimentata, per la prima volta, una politica sistematica di rafforzamento della capacità amministrativa.

Dal 2015 un accordo tra Commissione europea e governo ha sancito che ogni amministrazione responsabile di un programma europeo deve avere un “piano di rafforzamento amministrativo” (Pra), senza il quale il programma non era finanziato. Il Pra ha una durata biennale, identifica una serie di azioni di rafforzamento e, soprattutto, definisce target, quantitativi e misurabili, di riduzione dei tempi procedurali. I piani di rafforzamento amministrativo, quindi, lavorano per obiettivi concreti e non per generici miglioramenti.

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La prima generazione dei Pra ha dato risultati incoraggianti. Oltre il 70 per cento delle azioni previste è stato completato e vi sono stati miglioramenti tangibili in circa il 50 per cento dei target. Le amministrazioni lo hanno apprezzato e lo hanno utilizzato per pianificare interventi nuovi o altrimenti frammentari. I Pra hanno anche permesso di comprendere meglio i problemi di capacità e i possibili miglioramenti su cui lavorare (per esempio, la pianificazione annuale dei bandi o i tempi standard per alcune procedure).

Non sono comunque mancati i problemi. Lo scarso impegno del livello politico o dei funzionari apicali ha circoscritto i Pra all’interno dei fondi europei, rendendo più difficili le azioni sul personale o di coordinamento tra uffici. E si è dimostrata la necessità di una leadership più forte che sproni le amministrazioni con incentivi o sanzioni.

La semplificazione che ci si aspetta dal decreto governativo, la spinta all’informatizzazione proposta dalla task force di Vittorio Colao e le assunzioni di migliaia di dipendenti previste dal Piano Sud rischiano di essere un tavolo traballante senza la quarta gamba di un’autorevole e sistematica politica per la capacità amministrativa. Come insegnano i Pra, deve essere obbligatoria per tutti, ma più intensa nelle amministrazioni più deboli, focalizzata su procedure concrete, deve avere target quantitativi, monitorati e valutati pubblicamente, e poggiare su una leadership forte sia nazionale sia nelle singole amministrazioni.

Semplicità e capacità devono camminare insieme, una non può sostituire l’altra.

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  1. Ettore Sabatino Paolino

    Quando si parla di Pa,una cosa che non viene mai evidenziata è che anni di blocchi delle assunzioni hanno determinato, oltre che una forte carenza di personale (nella giustizia si sta tornando ora ad assumere personale Amministrativo dopo 20 anni di Blocco totale),l’invecchiamento dei dipendenti pubblici:età media del personale è quasi 54 anni,la Pa italiana è tra le vecchie del mondo. Per digitalizzare occorrono forze fresche,bisogna assumere giovani Laureati tenendo anche conto che la disoccupazione intellettuale italiana,lo confermano tutti i dati,dipende anche dal fatto che la Pa,causa i tagli e le politiche di austerità,non assume più(tranne deroghe temporanee nella Scuola,nelle Forze dell’Ordine,e nelle Authority) da almeno 20 anni.

  2. Alessandro

    Credo che bisogna considerare la ridefinizione delle procedure. Riportare in digitale i vecchi modelli cartacei non è digitalizzare.
    Guardate una qualsiasi legge, ci sono almeno le prime tre pagine di “Visto”, la perla è quando appare in un articolo di legge “e successive modificazioni”, ti serve? Te le cerchi…
    Un esempio, anni fa al MEF il Dipartimento delle Politiche di sviluppo pensò di organizzare all’interno della RGS dei gruppi che lavorassero al controllo delle spese dei fondi UE. L’IGRUE sabotò.
    L’anno scorso l’IGRUE ha avviato dei gruppi di dipendenti per l’audit dei fondi UE…

  3. Enrico D'Elia

    Quando un paese riesce a “impegnare” (ossia ad assegnare un uso specifico) solo al 60% delle risorse comunitarie e a spenderne effettivamente circa la metà non si può dare la colpa a una burocrazia inefficiente. È chiaro che c’è un problema sistemico. Cominciamo col dire che gran parte di quei fondi richiedono un cofinanziamento da parte delle amministrazioni e se queste non hanno risorse è evidente che non possono nemmeno impegnarle. Un altro problema è il modello contabile e di controllo che è diverso e talvolta in contrasto con quello richiesto dalla gestione dei fondi europei. È ovvio che in questa situazione si creino spazi per una rendita parassitaria da parte di agenzie specializzate che garantiscono prodotti chiavi in mano a costi esorbitanti (tali da sottrarre alla PA anche i funzionari migliori e più qualificati). Senza voler assolvere le burocrazie, credo che sia essenziale sottrarre la gestione di questi fondi alle normali procedure amministrative, come si fa in altri paesi, altrimenti non ci sono molte speranze di utilizzarli bene.

    • andrea naldini

      Ho letto con attenzione il suo e gli altri commenti. Tutti mi sembrano utili alla discussione. Ma attenzione, il problema qui non è come spendere le risorse dell’UE ma come spendere le risorse nazionali prendendo esempio da quello che succede con le risorse dell’UE. Forse sono stato poco chiaro ma il mio messaggio voleva essere quello di pensare ad una politica nazionale di riorganizzazione della PA, che con umiltà e costanza si associ a semplificazioni, assunzioni e informatizzazione. Perchè queste senza quella potrebbero fallire o comunque essere poco efficaci se non distorsive.

  4. Savino

    Chi vive oggi la p.a., in gran parte di una o più generazioni fa, non si rende minimamente conto della dura realtà e dei sacrifici necessari anche per poter occupare quello stesso posto. Basta chiacchiere, occorre subito un ricambio generazionale che dia occupazione intellettuale alle nostre giovani eccellenze e rimuova da quelle scrivanie privilegiati e corrotti, senza nè arte, nè parte.

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