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Quei debiti della Pa che pesano sull’economia

È paradossale che il governo stanzi ingenti risorse per fornire liquidità alle imprese attraverso le banche, mentre le pubbliche amministrazioni non pagano i propri debiti. Eppure, somme già stanziate in bilancio non si trasformano in pagamenti effettivi.

Pubbliche amministrazioni in debito con le imprese

Il sistema produttivo necessita di urgente liquidità, per le conseguenze dell’emergenza sanitaria. E tuttavia le amministrazioni pubbliche hanno accumulato debiti verso le imprese per circa 53 miliardi di euro, circa il 2,9 per cento del Pil (Relazione per l’anno 2018, pag. 145), frutto di consistenti ritardi rispetto ai termini di legge: secondo i dati della piattaforma dei crediti commerciali della Ragioneria generale, arrivano a 73 giorni per le regioni (Basilicata), a 320 per i comuni (Napoli) e a 167 per le aziende sanitarie (Asl Napoli 1).

Il congelamento di questa ingente mole di risorse indebolisce la struttura finanziaria delle imprese e determina diffusi stati di insolvenza, che innescano ritardi a cascata nell’adempimento delle obbligazioni commerciali e si propagano rapidamente all’intero sistema economico e sociale, provocando riduzione dell’occupazione, aumento della povertà, contrazione dei consumi.

Simili criticità potranno in parte essere attenuate dalle misure adottate dal governo nazionale e da quelli regionali per fornire liquidità alle attività produttive, per lo più attraverso agevolazioni per l’accesso al credito bancario. Tuttavia, si tratta pur sempre di liquidità derivante da indebitamento, mentre l’incasso dei crediti nei confronti degli enti pubblici consentirebbe alle imprese di beneficiare di risorse proprie, a costo zero.

In ogni caso, appare paradossale che le amministrazioni pubbliche stanzino ingenti risorse per fornire liquidità alle imprese attraverso le banche, ma non paghino i propri debiti, ai quali potrebbero adempiere in larga misura con somme già stanziate o accantonate in bilancio.

Patologia che resiste alle riforme

I debiti commerciali delle amministrazioni regionali e locali rappresentano una patologia di un sistema che, nonostante le tante riforme, non riesce a trasformare le spese stanziate in bilancio in pagamenti effettivi, perché resta affetto dai mali storici: costante riduzione dei trasferimenti e ritardo nella attribuzione delle risorse, criticità nella ripartizione del gettito tributario tra stato, regioni ed enti locali, carenza di efficaci sistemi di controllo sulla gestione, complessità delle procedure contabili, stringenti vincoli alla spesa, vorticosa proliferazione di regole che rendono difficile programmare e gestire le politiche finanziarie, inefficienza delle procedure di riscossione, gestione disinvolta dei residui, diffusione di prassi elusive delle regole di contabilizzazione delle entrate e delle spese che consentono agli enti di spendere più di quanto in realtà si possa (sovrastima delle entrate) e di assumere obbligazioni senza aver preventivamente adottato il relativo impegno di spesa e senza garanzia di copertura finanziaria (debiti fuori bilancio).

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Il nuovo sistema di contabilità impone adempimenti che dovrebbero ridurre il rischio di insolvenza e di disavanzi occulti, garantendo la corrispondenza delle somme iscritte in bilancio alle entrate e spese effettive degli enti e la liquidità necessaria a far fronte alle obbligazioni, anche in caso di riduzioni di entrate o incrementi di spese imprevisti (per esempio, fondo crediti di dubbia esigibilità, fondo anticipazioni di liquidità, fondo pluriennale vincolato, riaccertamento dei residui).

La Corte dei conti, però, ha rilevato che le misure sono state attuate solo parzialmente e le amministrazioni pubbliche non incassano con efficienza le entrate.

La compensazione tra debiti fiscali e contributivi delle imprese e crediti nei confronti degli enti pubblici avrebbe potuto attenuare l’impatto della morosità delle amministrazioni, ma di fatto non è riuscita a ridurre l’entità del problema a causa degli intoppi burocratici e dei limiti applicativi.

La prolungata insolvenza risulta aggravata dalle condizioni deficitarie dei bilanci della maggior parte degli enti locali, per le norme che in quei casi sospendono le procedure di recupero da parte delle imprese. Le risorse stanziate dal governo nazionale e da quelli regionali a favore degli enti locali serviranno a compensare (in parte) la prevedibile riduzione del gettito dei tributi e delle altre entrate prodotta dall’epidemia Covid-19, ma difficilmente consentiranno il pagamento dei debiti verso le imprese.

Come sbloccare i debiti

Per far fronte alla drammatica situazione, negli scorsi anni sono stati adottati diversi decreti “sblocca debiti” e la legge di bilancio 2020 ha previsto la possibilità per regioni ed enti locali di ottenere anticipazioni di liquidità da destinare al pagamento dei debiti maturati entro il 2019.

Si tratta di un meccanismo che fornisce risorse in tempi molto rapidi (sette giorni per l’erogazione delle anticipazioni e da quindici a trenta giorni per il pagamento dei debiti), ma è soggetto a precisi limiti di importo che non garantiscono il pagamento integrale dei debiti commerciali e non impedisce l’accumulo di nuovo debito.

Per colmare queste lacune le regioni potrebbero attivare anticipazioni di liquidità parallele a quella prevista dalla legge statale che riguardino anche gli enti in condizioni finanziarie critiche, consentano di incrementare l’importo delle risorse erogabili, prevedano termini di restituzione e interessi ragionevoli.

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Peraltro, la sostituzione delle agevolazioni creditizie con anticipazioni alle amministrazioni debitrici consentirebbe, a parità di risorse pubbliche, di immettere nel sistema economico liquidità in tempi rapidi, liberando le imprese dagli oneri di restituzione dei prestiti.

Per prevenire l’insorgere di nuovi debiti è inoltre indispensabile introdurre misure efficaci di buona gestione finanziaria: tagli di spesa corrente a carico degli enti che non riducono i debiti commerciali, standard di organizzazione dei servizi e delle procedure di riscossione delle entrate, concreta attuazione delle regole sulla spending review e sui risultati dei dipendenti, premi alle amministrazioni virtuose e sanzioni a carico di quelle che spendono male e non incassano il dovuto.

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  1. Non capisco dove ha letto “…E tuttavia le amministrazioni pubbliche hanno accumulato debiti verso le imprese per circa 53 miliardi di euro, circa il 2,9 per cento del Pil (Banca d’Italia, 2018)…”

  2. Luigi Ruscello

    Dalla mia esperienza di ex bancario ho ricavato che i crediti della PA verso le imprese hanno iniziato la loro crescita dal 1993, cioè da quando la PA ha iniziato a ritardare i pagamenti per rientrare nei parametri di Maastricht. Gradirei sapere se le risulta la stessa cosa.

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