Nella sentenza della Corte costituzionale tedesca bisogna distinguere due livelli. Il primo riguarda la valutazione della politica monetaria della Bce, l’altro le competenze nell’Ue. Non è una decisione antieuropea, ma a garanzia dei principi democratici.
La sentenza della Corte costituzionale tedesca
Mai prima un giudice nazionale aveva censurato formalmente una sentenza della Corte di giustizia europea (CgUe). La sentenza della Corte costituzionale federale tedesca (BVerfG) del 5 maggio, quasi universalmente contestata, giudica il programma Pspp (Public Sector Asset Purchase Programme) di acquisto di titoli pubblici della Banca centrale europea troppo vago sui propri limiti e quindi non abbastanza protettivo dei diritti costituzionali e fiscali dei cittadini tedeschi. Intima alle autorità pubbliche tedesche di intervenire per garantire entro tre mesi confini più precisi alla politica monetaria. Dichiara pertanto inapplicabile in Germania, in quanto ultra vires, la più permissiva sentenza Weiss della CgUe.
Conviene distinguere due livelli dell’argomentazione, uno che riguarda la valutazione della politica monetaria della Bce, e un altro, indipendente dal primo, che riguarda la democrazia, la natura costituzionale dell’Unione europea e il potere di attribuire e di delimitare le competenze. Quello che collega i due argomenti è il potere di decisione e la responsabilità in materia fiscale.
La politica monetaria della Bce
In via generale, non compete ai tribunali nazionali giudicare l’attività della Bce; il giudice del diritto europeo è la Corte di giustizia europea. In ottemperanza a questo principio, il BVerfG aveva sospeso il proprio giudizio e chiesto alla CgUe di rispondere a cinque quesiti di conformità dell’attività della Bce al diritto europeo. Nella sentenza Weiss del 2018, la CgUe ha risposto che quattro dei cinque punti sollevati (relativi al mandato della Bce, allo sconfinamento della politica monetaria, alla proporzionalità fra misure prese ed effetti sulle politiche economiche e fiscali) non costituivano violazione del diritto vigente e che la quinta richiesta (relativa al rischio asimmetrico di perdita per le banche centrali nazionali) era irricevibile.
Nella sua sentenza il BVerfG rivaluta l’attività della Bce e l’interpretazione fornita dalla CgUe sotto il profilo della conformità alla costituzione tedesca (Grundgesetz), ponendo quindi la questione del rapporto fra atti giuridici europei derivati (quali l’attività della Bce) in opposizione al diritto europeo primario (i Trattati formalmente approvati dagli stati membri) e i principi costituzionali nazionali. Nel dispositivo della sentenza i giudici non si rivolgono alla Bce, ma alle autorità tedesche. Per valutare se l’attività svolta dalla Banca centrale rispetta non solo il diritto europeo ma anche la costituzione tedesca, devono verificare se la sentenza Weiss pronunciata dalla CgUe non abbia violato, a danno delle competenze nazionali e dei cittadini tedeschi, i criteri di attribuzione di competenza speciale e limitata alle istituzioni europee.
Gli atti contestati erano le decisioni della Bce relative al programma Pspp di acquisto di titoli pubblici adottato nel 2015 sulla scia del “whatever it takes”. I richiedenti sostenevano che gli interventi della Bce oltrepassassero i poteri conferiti, in quanto non fossero più azioni di politica monetaria, ma (di fatto, per via dei loro effetti) di politica economica e finanziaria, materia espressamente riservata dai Trattati alle autorità nazionali; e implicassero oneri fiscali (effettivi o potenziali) per i cittadini-elettori-contribuenti tedeschi non coperti da un’espressa approvazione degli organi costituzionali nazionali, e vantaggi fiscali per i cittadini di altri paesi, decisi nel loro interesse esclusivo da governi non più incentivati a proseguire riforme economiche e fiscali.
Secondo il BVerfG, il programma contestato non è di per sé ultra vires. Ma omettendo di precisare limiti sufficienti entro i quali si muove, la Bce viola il principio di proporzionalità in quanto non permette un controllo della sua attività rispetto alle competenze trattenute dagli stati membri. L’aiuto fattuale fornito agli stati emittenti dei titoli acquistati rischia di disincentivare i governi nazionali a perseguire politiche economiche e fiscali convergenti e di aumentare gli squilibri fra stati invece di ridurli. Il BVerfG non biasima la Bce, ma rimprovera alle autorità tedesche di non essere intervenute per contrastare i rischi che pesano sulla situazione fiscale dei cittadini tedeschi, garantiti dalla costituzione: solo il Bundestag, da loro eletto, può acconsentire a nuovi oneri fiscali.
Il criterio di proporzionalità, forgiato nel contesto dei diritti fondamentali (afferma che il legislatore può limitare i diritti costituzionali per promuovere obiettivi pubblici legittimi, a condizione che i limiti siano idonei, necessari e misurati), è molto elastico e si presta a giustificazioni o censure più o meno arbitrarie. Utilizzato per definire il confine fra politica monetaria ed effetti di politica economica e fiscale eccessivi è particolarmente discutibile: ogni politica monetaria produce effetti economici e fiscali; essendo indipendente, la Bce deve poter spostare i limiti in base alle esigenze dei fini perseguiti; l’annuncio di autolimitazioni troppo precise vanificherebbe gli interventi. Da questo punto di vista, l’argomentazione non convince. Inoltre, la Bce può essere chiamata a rispondere solo davanti alla CgUe.
Un’argomentazione diversa avrebbe potuto insistere sulla necessità per la Bce – organo indipendente garante della stabilità monetaria nell’Eurozona – di interpretare unilateralmente i propri poteri in modo espansivo e virtualmente senza limiti predeterminati autoimposti, perché le altre istituzioni europee (l’Eurogruppo e il consiglio dell’Eurosistema) e gli organi costituzionali nazionali non hanno fatto il necessario per coordinare le politiche economiche e fiscali di tutti gli stati membri, in modo tale da evitare l’instabilità monetaria dovuta alle politiche divergenti e inadeguate di alcuni stati.
In conclusione, il BVerfG ingiunge agli organi costituzionali tedeschi di attivarsi per far precisare, entro tre mesi, i limiti del programma Pspp, sotto pena di divieto alla Bundesbank di parteciparvi, condannando di fatto il programma all’inefficacia e la Bce all’impotenza. Sarà tuttavia relativamente facile per la Bce formulare nuovi limiti che consentiranno alla Bundesbank di confermare la propria partecipazione e salvare la politica monetaria.
Le ragioni della democrazia
Tutto sembra, quindi, una tempesta in un bicchiere d’acqua. Ma questa è solo la parte più concreta della sentenza, contestabile nella motivazione e sanabile nella conclusione. L’argomento più profondo è un’interpretazione della Unione europea come organizzazione non sovranazionale, ma inter-nazionale. Contrariamente alla ricerca politica, l’analisi giuridica parte da un’alternativa esclusiva: tertium non datur. Un’interpretazione giuridica diversa deve ammettere l’equivoco. Nell’opinione comune, l’Ue è un ibrido: non più una semplice organizzazione fra stati sovrani con ampie deleghe di potere, ma non ancora uno stato federale sovrano rispetto ai paesi membri. Le conseguenze della definizione sono profonde, in particolare per una corretta interpretazione del principio incontestato di primato del diritto europeo su quello nazionale, sancito dalla CgUe. E riguardano il rapporto fra il diritto costituzionale nazionale e il diritto europeo derivato. Il criterio supremo è quello del giudice dei Trattati, gli organi comuni o i singoli stati, e quello ivi correlato del diritto riconosciuto o negato di uno stato di fare di testa propria e di uscire dall’Unione.
Il parallelo con la storia degli Stati Uniti d’America è particolarmente illuminante. Dopo aver adottato nel 1786 una costituzione comune ancora da ratificare, gli stati americani decisero, nel 1790, di consolidare l’indebitamento creato durante la guerra d’indipendenza in modo asimmetrico dai singoli stati in un nuovo debito federale emesso a condizioni proprie. Malgrado la costituzione e le istituzioni federali autenticamente democratiche – e che nel caso della Ue sono vistosamente assenti -, la creazione del debito federale non ha risolto la questione della priorità fra diritti e costituzioni degli stati e prerogative dell’unione e delle autorità federali. La questione della supremazia dell’unione è stata risolta solo con il chiarimento ottenuto attraverso una sanguinosa guerra civile, un conflitto che alcuni avevano ritenuto inevitabile sin dal 1794, proprio a causa dell’equivoco relativo al titolare del potere supremo, creato alla fondazione.
Per accertare la vera natura dell’Ue, intesa dai fondatori e dai partecipanti, basta uno studio rapido dei trattati. La lettura è facilitata dal tentativo di costituzionalizzarli nel 2002, fallito in seguito ai referendum francese e olandese del 2005. La nuova formulazione nel trattato di Lisbona (2007, Tue e Tfue) rinuncia alle formule più federaliste. Ogni passaggio cruciale (le modifiche del diritto europeo primario, il trasferimento dei poteri) è stato vagliato scrupolosamente dal BVerfG: i diritti fondamentali di fronte all’applicazione diretta e al primato nelle sentenze Solange I e Solange II; l’unione monetaria e l’integrazione europea, in Maastricht 1993 e Lissabon 2009; la politica monetaria, in Omt 2016 e adesso il Pspp. La sentenza precisa una giurisprudenza costante da quasi mezzo secolo relativa al rapporto fra il diritto europeo e costituzione tedesca.
Il criterio discriminante è il potere supremo di colui che decide chi possiede quali poteri, la Kompetenz-Kompetenz: in un super-stato tale potere appartiene alle istituzioni federali; in un’organizzazione inter-statale è trattenuto dagli stati partecipanti. Solo nella prima ipotesi il primato del diritto europeo varrebbe anche per il diritto costituzionale. Se nella seconda ipotesi ogni stato membro conserva il diritto di uscire dall’unione (Brexit 2016), nella prima gli organi federali possono opporsi alla disaggregazione (stati confederati contro Usa 1860; Catalogna contro Spagna 2018). Se il caso greco illustra quanto sia difficile, oneroso e rischioso uscire dall’unione monetaria, nessuno contesta che tale diritto appartiene a ogni partecipante.
Constatando la natura inter-statale dell’Ue e dell’unione monetaria, il BVerfG deduce che la decisione finale della ripartizione delle competenze fra unione e stati membri non appartiene alle istituzioni europee, ma ai paesi membri quali padroni dei trattati (die Herren der Verträge; pactorum domini; i domini sono le controparti del patto che si riconoscono reciprocamente sovrane). Ogni paese decide secondo le proprie procedure. Gli organi costituzionali tedeschi sono, oltre il BVerfG, la Bundesregierung e il Bundestag. Quest’ultimo è l’unico rappresentante dei cittadini tedeschi, garantiti quali elettori e contribuenti dalla costituzione, che possa aggravare le loro responsabilità fiscali. Se la politica monetaria comune è troppo discrezionale producendo effetti economici e fiscali che si potrebbero ottenere meglio attraverso politiche nazionali appropriate, o se gli interventi di politica monetaria creano discriminazioni fra stati, avvantaggiando i cittadini-contribuenti di alcuni rispetto a quelli degli altri, allora si viola il principio democratico fondamentale di corrispondenza fra elezioni, scelta politica e rappresentanza democratica da un lato, legge finanziaria, fiscalità, debito pubblico e valore del patrimonio privato dall’altro. L’inerzia delle autorità tedesche e dei suoi partner nell’eurosistema e la carente coordinazione delle politiche fiscali nazionali creano la necessità di una politica monetaria sempre più invadente. Quello che è inaccettabile non è un eventuale aggravio della situazione fiscale e patrimoniale dei cittadini tedeschi, ma il fatto che tale aggravio sia deciso in modo rampante dalla Bce coperta dalla CgUe e non alla luce del sole dagli organi costituzionali e secondo le procedure sancite dalla costituzione tedesca. La sentenza non è anti-europea, ma garante dei principi democratici. Quello che vale per la Germania, vale anche per gli altri paesi meno attenti e per i loro cittadini meno tutelati.
Nonostante la rassicurazione del BVerfG di non voler pregiudicare la legittimità di altri programmi della Bce, quale il più recente Pepp (Pandemic Emergency Purchase Programme), la sua giurisprudenza fondata sui diritti fondamentali dei cittadini, quali elettori e contribuenti, influenzerà sensibilmente i futuri programmi non solo di politica monetaria in seno all’Eurosistema, ma anche quelli di politica economica e fiscale comune ora in discussione, quali i progetti di Recovery Fund e di New Generation EU, che riguardano l’intera Unione. Concretamente questo significa decisioni trasparenti, procedure nazionali parlamentari, unanimità, coordinazione delle politiche economiche e fiscali nazionali sempre più convergenti, condizioni severe, controlli serrati, sanzioni in caso di inadempienza.
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carlo giulio lorenzetti settimanni
Conseguenze immediate sulla politica monetaria non dovrebbero esservene considerato che la governatrice Cristine La Garde ha confermato risolutamente che la BCE continuerà nei suoi programmi di acquisto dei titoli di stato dei paesi membri più difficoltà.
Prevedile, peraltro, che l’atteggiamento sovente critico della Bundesbank, nei confronti di questi interventi sul mercato secondario, potrà farsi scudo della sentenza di Karlsrhue per accentuare la sua opposizione alla politica inaugurata da Draghi. Da un punto di vista più generale, le maggiori preoccupazioni nascono dal fatto che – come sottolinea l’autore – è la prima volta che un tribunale nazionale censura la giurisprudenza della Corte di giustizia e sembra voler riservare a se stesso una sorta di parola di ultima istanza. L’approccio della Corte tedesca, inoltre, rivela una concezione statica e tradizionale della UE e delle sue istituzioni e sottovaluta sia la natura originale della costruzione europea (non riconducibile semplicemente alla logica dei trattati internazionali) sia il dato storico ,oramai acquisito, di una sua evoluzione per via di prassi.
Fabio Pietribiasi
Comunque la si rigiri, la sentenza della Corte tedesca è retrograda ed esprime il punto di vista di una parte del popolo tedesco che chiede protezione all’interno dei patri confini. In questo senso riflette l’ideologia dello Stato-Nazione, che non si ritrova nemmeno nella Costituzione tedesca. La Germania è infatti uno Stato federale e ha tra i propri valori fondanti i medesimi che si ritrovano negli statuti dell’Ue. Solidarietà e sussidiarietà, tra tutti. Nella loro torsione interpretativa, i giudici se li sono dimenticati.
Ma per fortuna c’è anche la Germania della Signora Merkel, che dopo anni di esitazioni si è convinta che il futuro del suo Paese si costruisce a Bruxelles, non a Karlsruhe.