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Taglio dell’Iva, gli errori da evitare

Un intervento temporaneo sulle aliquote Iva potrebbe contribuire a sostenere i consumi nel breve periodo, senza penalizzare troppo le casse dello stato. Non va però trasformato in una misura permanente. Ed è meglio evitare annunci a cui non seguono fatti.

Obiettivo: sostenere la domanda

Grande è la confusione sotto il cielo. L’annuncio del presidente del Consiglio che il governo starebbe pensando a una riduzione dell’Iva ha suscitato l’usuale bufera mediatica, per poi finire, a quanto pare, in un nulla di fatto, una caratteristica costante del dibattito politico italiano. Si tratta invece di un’ipotesi da discutere seriamente.

Nel decidere se sia o meno sensato ridurre l’Iva, bisogna innanzitutto distinguere se si ha mente un intervento temporaneo oppure permanente. Se si tratta della prima ipotesi, potrebbe avere qualche giustificazione se ben congegnata; se si tratta della seconda, è una sciocchezza.

Un intervento temporaneo sull’Iva potrebbe essere sensato, soprattutto se limitato ad alcuni settori particolarmente penalizzati dal Covid-19 oppure su beni e servizi con caratteristiche per altri versi meritorie, perché c’è il problema pressante di sostenere la domanda nel breve termine e per il momento, anche a causa del lockdown, la propensione al risparmio delle famiglie italiane è molto aumentata. Soprattutto su alcuni beni durevoli (si pensi per esempio all’automobile, magari ibrida o elettrica per venire incontro alle esigenze ambientali) una riduzione temporanea del prezzo indotta dal taglio delle aliquote potrebbe in effetti convincere i consumatori ad anticipare gli acquisti, con effetti positivi sul sistema economico. Ma poiché ridurre l’Iva è costoso, l’intervento andrebbe valutato attentamente in termini di costi ed efficacia, confrontandolo con altre politiche possibili con lo stesso scopo. Ad esempio, è probabilmente vero che, a parità di risorse, accelerare la spesa in investimenti pubblici darebbe più sicurezza in termini di effetti propulsivi sull’economia di una riduzione delle aliquote Iva: non è detto, infatti, che consumatori spaventati dall’epidemia e dal futuro si mettano a comprare di più un bene solo perché il prezzo si riduce. D’altra parte, è anche vero che spendere rapidamente soldi per opere pubbliche, anche se già stanziati, è più o meno impossibile in Italia, mentre per ridurre un’aliquota basta un tratto di penna. Ci sono dunque argomenti a favore di un intervento mirato sull’Iva.

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Perché deve essere una riduzione temporanea

Il punto cruciale è l’aggettivo “temporaneo”. I consumatori possono essere stimolati ad aumentare o ad anticipare alcune spese oggi, se si aspettano che domani i prezzi risaliranno, quando le aliquote Iva ritorneranno al loro livello iniziale. Se l’intervento è temporaneo non ci sono neanche effetti deleteri sul bilancio pubblico o sulle percezioni dei mercati sulla sostenibilità del nostro debito: si riducono entrate fiscali ora per sostenere l’economia in un momento di grave recessione, ma si anticipa già che aumenteranno in futuro, una volta che l’emergenza sia risolta. Se invece c’è il sospetto che il temporaneo diventi permanente, l’effetto si diluisce nel breve termine e nel lungo si perdono consistenti entrate fiscali, una cosa che il paese non può certamente permettersi. Purtroppo, un’altra delle tipiche costanti italiane è l’esenzione fiscale temporanea che diviene permanente: quando arriva il momento di togliere l’incentivo, le categorie penalizzate si lamentano, i media piangono e i governi italiani sono generalmente troppo deboli per resistere alle pressioni. Se il nostro sistema tributario ha perso razionalità e coerenza, in parte è proprio per fenomeni di questo tipo, reiterati nel tempo. Una condizione dunque fondamentale per considerare interventi simili è che il governo sia in grado di prendere impegni credibili sulla temporaneità dell’incentivo.

Ma per quale ragione non riduciamo perennemente le aliquote Iva e cerchiamo i soldi mancanti da qualche altra parte, aumentando altri tributi? Perché è più o meno l’opposto di quanto dovremmo fare, una volta che l’economia sia ritornata a una situazione normale. Un obiettivo di riforma del nostro sistema tributario dovrebbe puntare a ridurre la pressione fiscale sui redditi, in particolare quelli da lavoro, ferocemente tassati, spostandola invece sui consumi, che risultano poco gravati rispetto al contesto internazionale, a causa anche dell’elevata evasione. Avrebbe effetti benefici sia in termini di crescita e di occupazione che di competitività internazionale delle imprese italiane, perché scoraggerebbe le importazioni senza penalizzare le esportazioni. Ma una riforma di questo tipo, che richiederebbe anche una revisione e un accorpamento dell’Iva, va fatta simultaneamente a un intervento sull’Irpef e forse anche sulla struttura dei trasferimenti alle famiglie, per evitare il più possibile effetti regressivi. Ci vuole cioè una riforma fiscale e sembra che il governo ci stia pensando, almeno a parole. Nell’attesa, è bene però sottolineare che la cosa peggiore che si possa fare nell’immediato è annunciare una riduzione dell’Iva, senza poi realizzarla; perché l’annuncio ha appunto l’effetto di spingere i consumatori a rimandare gli acquisti, aspettando il momento della riduzione delle aliquote.

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14 commenti

  1. Henri Schmit

    Una misura fiscale annunciata confusa e contestabile! Se s’intende incentivare il consumo senza creare incertezza e ingiustizia, allora bisogna ridurre in modo permanente l’IRPEF sui redditi bassi. Non si osa farlo perché si teme l’evasione. Se il principe teme la propria incapacità, è perso! Ridurre l’IVA favorisce invece coloro che spendono (e guadagnano) di più. Ma l’incertezza generata gratuitamente è l’elemento più nefasto dell’idea. Non solo l’incertezza circa le aliquote IVA future e, non si dimentichi l’altra incertezza che si creerebbe se si riducesse effettivamente l’IVA. Aliquote volatili sono il contrario di quello che serve a un’economia sana! Mi si conceda una parola sull’inquilino di palazzo Chigi: bisognava capire dal principio con una persona del genere l’Italia andava alla deriva, soprattutto in materia economica e fiscale. Il titolare del MEF è troppo debole per compensare. Chi ha la colpa del Conte I e del Conte II? Si rifletta! Una stessa persona. Che spera tuttora di tornare al timone quando le potenze straniere e i mercati diranno ‘basta!’ Ma questo genere di calcoli fondati sulla strategia del tanto peggio normalmente non azzeccano.

  2. bob

    COSTO MURATORE: netto busta paga € 66,00 – contributi inps € 44,00 –
    ritenute irpef € 19,38 – cassa edile € 19,31 – quota TFR € 7,09 – inail € 14,77 = totale € 170,55.
    Stipendio 66 euro gg tasse 104 euro gg follia pazzesca
    Se non si modifica questa follia possiamo fare tutti gli spot che vogliamo
    Un Paese senza idee, senza coraggio, senza progetti…e c’è qualcuno che ha ancora voglia di scherzare

    • Michele

      Strana definizione di tasse. Contributi e tfr sono retribuzione differita. cassa edile e inail sono assicurazioni. Le tasse in realtà sono solo l’IRPEF, nel suo esempio pari 11.36% non particolarmente esose…

      • bob

        Il mondo dei sogni. ” Contributi e tfr sono retribuzione differita” ma sempre un costo fisso è. “cassa edile e inail sono assicurazioni” Sono tasse, sono assicurazioni se io ho potere di scegliere il fornitore. Un dipendente che costa 4080 euro al mese è sostenibile? Aggiungo che un ottimo muratore non viene a lavorare per 1584 euro al mese e ti chiede un fuori busta minimo di altre 500 euro. Totale 4580! Mi spiega come può una azienda con 10 dipendenti sostenere un carico del genere?

  3. Gianni Ferrara

    Occorre intervenire sulla riduzione IRPEF.
    L’IVA e’ inclusa nel PdV del bene.Una sua riduzione non e’ sempre accertata dal consumatore . Ricordo l’introduzione dell’Euro. Una non prolungata comparazione dei PdV (Lira v/s Euro) ha comportato solo un incontrollato aumento dei PdV dei beni dopo breve tempo. Ricordare fa bene.

  4. Andrea Zatti

    Non dimenticate anche la questione politica:Finlandia e Svezia hanno le aliquote Iva standard al 25 e 24 %, già ora superiori alla nostra. Prenderebbero bene l’idea di dover finanziare aiuti a fondo perduto per un paese che abbassa le proprie tasse? Il pacchetto Next Generation EU richiede l’unanimità in Consiglio e la ratifica dei Parlamenti nazionali: è questa mi pare un’ottima mossa per p regiudicarne l’approvazione..

    • Francesco D'Acunto

      Questo e’ un ottimo punto. Bisogna pero’ anche considerare che un’annosa fonte di sfiducia verso l’Italia da parte dei Paesi del Nord e’ l’enorme evasione IVA in Italia, che li tocca direttamente visto che il bilancio UE e’ costituito da circa l’1% del riscosso IVA da parte di ogni paese membro. Se il taglio dell’IVA si combina con pagamenti tracciabili e/o se la richiesta dello sconto IVA da parte dei clienti forza piu’ venditori a dichiarare l’IVA, possono esserci buoni argomenti per replicare ai “frugali” in sede di Eurogruppo.

      Ne discutiamo in parte in questo altro pezzo sempre sugli argomenti a favore del taglio IVA in Italia:
      https://www.lavoce.info/archives/68080/spinta-ai-consumi-per-far-partire-la-ripresa/

      • bob

        ma l’ IVA chi la evade il disgraziato barista che non emette 10 scontrini per assicurare la cena alla famiglia o i cosiddetti ” esportatori”?? Mi faccia capire

    • Henri Schmit

      Aggiungerei che con l’aliquota più alta, gli Svedesi hanno pure il VAT-gap più basso (dopo il virtuoso Lussemburgo): 1,5% in Svezia vs. 24% Italia, nel 2017; meno di dieci anni prima l’Italia era oltre il 33%! Questo dato di fatto (il VAT-gap svedese) contraddice l’argomento principale contro aliquote IVA alte. Per quanto riguarda il bilancio europeo, l’IVA versata rappresenta ora solo lo 0,3% della IVA nazionale (ma è calcolata su quella teorica, non su quella effettivamente incassata, per non disincentivare i paesi a lottare contro l’evasione IVA). Il mix di risorse proprie dell’UE si è spostato sempre di più sui contributi nazionali diretti, calcolati su un indice GNI, un mix fra PIL e popolazione. Un vero scandalo è il “rebate” sui contributi IVA, prima concessi all’UK, poi estesi a … Germania, Svezia, Danimarca e Paesi Bassi! Questi paesi versano solo lo 0,15% della loro IVA, cioè la metà degli altri. Il governo Conte si è dichiarato disponibile a votare per il mantenimento del “rebate”, a condizione di ricevere quello che è stato prospettato sul Recovery fund. Grave errore! Dopo la Brexit, l’eliminazione del rebate sembrava cosa fatta. Ma intanto nessuno controlla quello che il governo negozia a Bruxelles, nessuno sa, nessuno capisce niente.

  5. Michele

    La riduzione dell’IVA (temporanea o meno) farà aumentare i prezzi in modo corrispondente. Effetto sui consumi pari a zero. Se si vuole evitare un crollo dei consumi si riduca la precarietà del lavoro e si aumentino gli stipendi. The rest is conversation.

    • Francesco D'Acunto

      Potrebbe interessarle il pezzo seguente in cui discutiamo l’evidenza empirica di misure analoghe prese in altre condizioni. Ovviamente, non si puo’ estrapolare da un contesto a un altro, ma partire dall’analisi dei dati puo’ essere utile a pensare alle possibili conseguenze di un taglio immediato e temporaneo dell’IVA

      https://www.lavoce.info/archives/68080/spinta-ai-consumi-per-far-partire-la-ripresa/

      • Michele

        Grazie per il suggerimento. La riduzione dell’IVA può funzionare in Germania dove il problema è congiunturale e legato al virus. In Italia il problema del virus si aggiunge a una situazione di debolezza strutturale che viene da anni e anni di politiche economiche sbagliate e false promesse. La principale falsa promessa è stata che attraverso la flessibilità del lavoro si avrebbe ottenuto una maggiore produttività e quindi maggiori salari. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: produttività stagnate da quasi 20 anni, salari reali in calo, precarizzazione del lavoro. Con questa situazione non c’è scampo, chi può risparmia, gli altri non hanno modo di spendere di più. In questa situazione un abbassamento dell’IVA diventa solo un regalo a chi avrebbe comunque speso e/o ai canali distributivi che aumentano i prezzi di vendita a compensare la minor IVA

  6. Emilio Primi

    Ma nessuno valuta le misure fiscali in base al fatto che siano regressive o no ?
    Perche’ tutti parlano di “tasse sul lavoro” e non di “tasse sul reddito” ?
    Forse i liberali (o liberisti) si vergognano del fatto che Einaudi asseriva che il grado di civilta’ di un sistema fiscale si puo’ valutare dalla minore o maggiore incidenza delle imposte dirette rispetto a quelle indirette ?
    Per certi partiti, che si dichiarano “di sinistra”, e che sono contrari a parole a ogni tipo di “flat tax”, la sostituzione di imposte indirette con variazioni della curva delle aliquote irpef dovrebbe essere il faro d’orientamento: ma perche’ nessun giornalista spiega chiaramente l’effetto regressivo delle imposte indirette ?.
    Ho un sogno.
    Che il sistema fiscale sia rivisto in modo da far confluire tutti i redditi in un solo imponibile, colpito da aliquote progressive, senza cedolari secche, agevolazioni speciali, eccetera.
    Se l’opinione pubblica e’ confusa (bassa istruzione, uso ad arte di termini inesatti come “tasse sul lavoro”, ecc.) temo che il sogno non si avverera’ mai.

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