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Recovery Fund, non è tutto oro quello che luccica

Quello raggiunto a Bruxelles dopo mesi di trattative è senz’altro un buon accordo, per l’Italia e per l’Europa. Ma sullo sfondo resta ancora aperta la madre delle questioni: se evolvere verso un’unione politica o rimanere un’organizzazione di stati sovrani.

Il Recovery Fund (o Next Generation Eu) è stato alla fine approvato dal Consiglio assieme al bilancio europeo (le Multiannual Financial Forecasts) dal Consiglio. Si tratta in effetti di un buon compromesso. Per l’Italia, se riuscirà a non buttare dalla finestra anche questa straordinaria occasione per ritornare a crescere. Ma anche per l’Unione Europea, che di fronte alla più feroce crisi economica della sua storia è riuscita alla fine, dopo mesi di scontri duri tra i paesi, a produrre una risposta concreta. Diciamo però la verità: non se ne può più di questi vertici intergovernativi a 27 che durano quattro giorni, sotto la luce incessante dei media, con ogni leader nazionale che fa la voce grossa in pubblico per impressionare la propria opinione pubblica mentre tratta in privato con gli altri.

Il compromesso europeo

Certo, era una decisione difficile. Non solo per i contenuti innovativi, ma anche perché si trattava di decidere sul bilancio europeo (il Recovery Fund è parte di questo) e le decisioni sul bilancio si prendono all’unanimità: il piccolo Lussemburgo vale quanto la possente Germania. Ogni paese ha dunque cercato di sfruttare al massimo la rendita di posizione offertagli dall’occasione e anche il ricchissimo Lussemburgo ha avuto il suo sconticino. Le posizioni estreme assunte alla vigilia dai vari leader nazionali servivano appunto a prefigurare una posizione contrattuale e il compromesso finale è stato costruito sapientemente dal presidente del Consiglio europeo Michel, in modo da consentire a ogni leader nazionale di tornare a casa dicendo di aver vinto. Ma per raggiungere questo obiettivo, il documento finale è in realtà peggiorativo della proposta iniziale della Commissione, sia sul Recovery sia sul bilancio europeo. Gli elementi più innovativi proposti da Ursula Von Der Leyen per il bilancio europeo 2021-27 (ambiente, innovazione digitale, etc.) sono stati ridimensionati a favore della politiche più tradizionali; i vari “rebates” sui contributi nazionali al bilancio europeo (un vero insulto alla ragione) sono stati mantenuti e perfino rafforzati; non si parla più di legare i trasferimenti europei al rispetto dello stato di diritto; il fondo per la ricapitalizzazione delle imprese è scomparso dal Ng-Eu. E il Parlamento europeo, che pure aveva espresso ben altre posizioni, dovrà per forza far buon viso a cattivo gioco, approvando le proposte del Consiglio, per evitare l’accusa di voler compromettere un accordo storico.

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Nuove risorse e nuove regole per l’Unione

Si dirà: queste sono le regole del gioco, bellezza, ovvio che finisca così. Bisogna però domandarsi se non è il caso invece di cominciare a pensare di cambiarle, queste regole. Per capire come, immaginate una situazione in cui l’Unione Europea ha un suo bilancio, anche solo della dimensione attuale, cioè circa l’1 per cento del Pil, ma finanziato con vere risorse proprie e in cui le decisioni sul bilancio vengono prese come già succede per tutte le altre iniziative legislative europee. Sulla base cioè di una proposta della Commissione, che deve però essere approvata sia dal Parlamento (che rappresenta i cittadini) sia dal Consiglio (che rappresenta i paesi membri). Si noti che tutte queste istituzioni sono sovranazionali, composte da rappresentanti eletti e dunque perfettamente legittimate sul piano democratico. Ma non c’è più l’unanimità: il Parlamento decide a maggioranza semplice, il Consiglio a maggioranza qualificata. È facile immaginare che con queste regole il bilancio europeo e il Recovery Fund sarebbero stati approvati prima e meglio, senza i drammi eccessivi che hanno accompagnato questa partita.

A ben vedere, il conflitto sottinteso a tutto il dibattito sul Recovery Fund è stato proprio questo: tra chi volente o nolente si è convinto che perché l’Unione Europea possa funzionare è necessario che le istituzioni europee sovranazionali diventino capaci di decidere rapidamente e con risorse appropriate e chi invece vuole mantenere saldamente il controllo nelle mani dei singoli paesi, unici depositari di risorse e legittimità democratica. La proposta della Commissione sul Recovery Fund, sebbene questo venga presentato come un meccanismo eccezionale e temporaneo, prefigurava un mondo come quello descritto sopra, tant’è che la Commissione propone anche di finanziare il debito principale e gli interessi del nuovo debito con l’introduzione di imposte europee. La resistenza dei paesi, in particolare dei “frugali”, è stata quella di evitare che questo avvenisse, mantenendo un ruolo del Consiglio europeo e dei singoli paesi nella gestione e allocazione delle nuove risorse. E si capisce perché: in un’evoluzione dell’Unione di tipo federale o confederale come quella descritta sopra, i “frugali” – la cui popolazione sommata assieme fa sì e no la metà della popolazione italiana – perderebbero sicuramente potere nei confronti dell’attuale contesto di tipo intergovernativo. Al di là degli stereotipi, utili per infiammare le rispettive opinioni pubbliche (gli italiani spreconi contro gli olandesi evasori), la vera ragione del conflitto è questa.

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La crisi innestata dal virus e la necessità di rispondervi ha insomma messo l’Unione Europea di fronte alle proprie contraddizioni e creato un chiaro dilemma: se evolvere verso una maggiore unione politica, che richiede anche risorse e capacità decisionali adeguate, o rimanere un’organizzazione di paesi sovrani, con tutti i limiti e i vantaggi che questo comporta. Il Recovery Fund è stato approvato, ma questo dilemma fondamentale non è stato ancora risolto.

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10 commenti

  1. Henri Schmit

    Si capisce che gran parte del negoziato è un mercanteggiare a volte indegno (i rebates, accettati dall’inizio dall’Italia!) e una messa in scena per l’opinione rimasta nazionale (l’Italia è maestra). Contestare però il principio intergovernativo è una mera petizione di principio. E la risposta alla sua “madre delle questioni” è EVIDENTE: tutti, chi più, chi meno, da tre decenni (maastricht, euro, progetto costituzione, bocciatura, lisbona, nuovi trattati, crisi greca, adesso il NGEU ancora da apporvare dai parlamenti nazionali) va con prudenza (no alla costituzione, Brexit, BVerfG etc) nella direzione di una sempre maggiore inegrazione. L’unico paese importante che remi contro è L’ITALIA: le sue politiche (da Berlusconi via Renzi fino a Conte I e II), il discorso pubblico (“a casa nostra comandiamo noi” = l’unico slogan che mette tutti d’accordo, questo è il VERO sovranismo becero, fallimentare) e i sondaggi (secondo l’eurobarometer gli Italiani sono fra i più euroscettici, effetto del discorso e delle politiche!). Bisogna vedere e dire la verità: l’Europa non va avanti soprattutto per colpa dell’incapacità italiana! Quali sono i veri dilemmi (“madre e nonna” delle questioni)? 1. L’Italia deve decidere se stare dentro o fuori. Se sta dentro deve accettarne tutte le conseguenze (=condizioni). 2. Chi fa le riforme necessarie, le autorità nazionali o quelle europee? Con il NGEU ci siamo avvicinati all’ultima ipotesi. Attenti! le forze nazional-reazionarie lo sapranno sfruttare.

    • lupe

      l’Europa non va avanti per colpa dell’incapacità italiana. Cioè Germania, Olanda ecc. non vedono l’ora di unirsi all’Italia? Ma dice sul serio? Il fardello dell’uomo mitteleuropeo, l’arretratezza culturale dei latini, la corruzione morale degli ellenici ecc ecc. Mi sa che il principale motivo per cui non c’è un percorso comune è semplicemente il pregiudizio e il disprezzo. La direzione dell’Europa è in mano ai paesi politicamente più forti, tra cui non figura NESSUN PAESE DELLA PERIFERIA. Se proprio le cose non vanno come si vorrebbe, forse chi è al timone ha qualche responsabilità, no?

      • Henri Schmit

        Ma cosa sta dicendo, cosa sta interpretando nel mio commento? Non si tratta di unire altri paesi all’Italia, ma di far funzionare a comune beneficio le istituzioni europee esistenti. L’Italia ha dimostrato di non saper riformarsi (in modo convincente e continuo) da sola per rimanere competitiva con le altre economie. E ci sono poche speranze che nell’immediato questo migliori, al contrario.Quindi l’Italia sarà aiutata e costretta dagli altri paesi membri, senza troppo farglielo notare, perché il dibattito pubblico incompetente, autoingannevole, ipocrita, tutto sommato populista e sovranista irresponsabile, non lo digerirebbe. Provi a vedere le cose diversamente: esistono due Italie, quella geografica, demografica, umana, culturale, imprenditoriale, in una parola quella privata, e quella pubblica, istituzionale, governativa, politica, finanziaria, fiscale, economica, giudiziaria, etc. La prima è una parte irrinunciabile dell’Europa, la seconda è una palla ai piedi che frena e indebolisce l’impresa comune, rappresenta un rischio di costi maggiori per tutti, di possibile fallimento e – peggio di tutto – di contagio dell’irresponsabilità e della mediocrità (pubbliche).

  2. Alessio Franzoni

    Ma “unione politica” vuol dire “stato sovranazionale”, uno Stato unico, come gli Stati Uniti! La mancanza di un pilastro politico è un problema ricorrente. L’eterogeneità economica, culturale e politica dei Paesi membri ne è la principale causa. Resta da vedere se la recessione provocata dal Covid-19 porterà effettivamente nuova linfa al progetto politico europeo. Né sono sicuro che oggi i popoli d’Europa desiderino unirsi. Nel caso, occorrerebbe discutere e scegliere che tipo di Stato, di regole e di istituzioni si andrebbero a creare. Roba non da poco!

    • bob

      la Storia non si cancella con la gomma! E’ fuorviante un paragone con gli USA, una Nazione “creata” ma senza Storia dietro. Ci vuole una grande maturità culturale, cosa che l’Italia degli ultimi 40 anni non ha dimostrato, anzi!

      • lupe

        Eh sì, i paesi sufficientemente “maturi culturalmente” scalpitano perché non vedono l’ora di fare un super stato che a quanto pare è ostacolato dall’Italia. Eppure mi sembrava che l’unico governo che parla ancora di “sogno europeo” e che in patria difende a spron battuto il progetto fosse il nostro. Evidentemente in olandese “siamo tutti qui per difendere i nostri interessi” vuol dire “non vediamo l’ora che gli italiani maturino per poter finalmente vivere nello stesso stato!”.
        Piuttosto che trovare chi ha “la colpa”, basterebbe ammettere che MAI i cittadini dei paesi europei si sono sentiti “cittadini d’Europa” e che questo progetto è stato calato dall’alto. Niente di male, tante volte succede così, ma a volte i progetti calati dall’alto falliscono, soprattutto se non vogliono rinunciare alla democrazia.
        Concentriamoci sui fatti: questa unione Europea, l’unica che esiste, ha dimostrato di non essere in grado di generare politiche comuni che possano generare prosperità per tutti, ed è succube degli interessi nazionali dei paesi più forti (ovvero NON L’ITALIA). Sarebbe molto bello se ecc ecc, ma quanto è possibile?
        Questa è l’unica domanda che conta, ed è l’unica misura sensata per valutare l’andamento del progetto. E io personalmente non sono ottimista. Oggi ci sono ancora meno probabilità che il processo vada avanti senza ricorrere ad ulteriori forzature dall’alto.

  3. Henri Schmit

    Pensavo di sorvolare l’argomento che mette in causa il peso del voto del Lussemburgo, ma riflettendoci ho cambiato idea. L’argomento francamente è più del livello di Salvini e Meloni che da accademico. È proprio la natura intergovernativa o inter-statuale dell’UE che riconosce ad ogni paese un voto uguale, se e solo se è prevista l’unanimità. Dopo 200 anni negli USA (Senato) e nella CH (Consiglio degli Stati) il peso uguale vale tuttora per il voto a maggioranza! L’UE prevede in numerosi casi la decisione a maggioranza qualificata che tiene conto del peso demografico dei paesi membri. L’unica istituzione dove dovrebbe valere l’uguaglianza demografica è in realtà il PE dove la composizione è finora diversa (proporzionale ponderata, compromesso di Cambridge), senz’altro perché non esiste “un popolo” e “un’opinione pubblica” europei. Infine bisogna distinguere fra peso giuridico e peso effettivo. Contrariamente all’Italia nell’UE il peso concreto degli attori non dipende dalla forza della voce ma dalla bontà degli argomenti. Per questa ragione il Lussemburgo spesso pesa di più dell’Italia, 100 volte più popolata. Di chi è la colpa?

  4. Henri Schmit

    Le nuove tasse preconizzate nel documento finale sono in realtà della stessa natura delle “risorse proprie” attuali dell’UE, cioè la parte preponderante dei dazi sull’importazione da paesi terzi (15%) e la quota sull’IVA (scesa a 0,3% dell’IVA nazionale) (12%), due tasse comunque prelevate dai paesi membri sui loro soggetti imponibili e poi girate all’UE. Anche le nuove tasse (decise all’unanimità nel Consiglio) saranno prelevate dagli Stati membri su soggetti imponibili ivi residenti o operativi. Quindi non cambia nulla rispetto alla situazione attuale in cui peraltro il grosso delle risorse dell’UE proviene da contributi diretti degli Stati membri, calcolati al prorata del loro GNI (Gross national income, leggermente diverso dal PIL). Il difetto più brutto (e negativo per l’Italia) dell’accordo su MFF e NGEU sono i “rebates” concessi ora a ben 5 paesi e raddoppiati rispetto al periodo 2014-2020; i “rebates” sono stati accettati dall’Italia prima dell’inizio dei lavori, ovviamente nella falsa speranza di farla franca sul controllo delle condizioni delle spese. L’Italia condizionata da pregiudizi populisti (“a casa nostra comandiamo noi”) ha negoziato malissimo e ha ricevuto quello che la F e la D volevano che comunque ricevesse purché si riuscisse finalmente a “convincere” il paese a intraprendere le riforme promesse da decenni.

  5. Concordo con Massimo Bordignon che si e’ fatto un importante passo in avanti verso una unione politica in Europa. Ma la questione rimane se e’ possibile creare una vera unione politica senza meglio armonizzare le politiche sociali dei vari paesi , che rimangono molto divergenti (eta’ di pensionamento, livello di pensioni, peso delle imposte etc.)

  6. Paolo Sbattella

    Il Recovery Found, come e’ anche sostenuto da più parti, iniettera’ liquidita’ e comincera’ a produrre i suoi effetti con la realizzazione dei progetti presentati a partire dal secondo semestre del 2021. E nelle prossime settimane chi sosterra’ con liquidita’, contributi a fondo perduto, spostamento di scadenze fiscali, semplificazioni amministrative
    e burocratiche
    ed altro imprese e cittadini ? Se la risposta dell’Europa c’e’ stata e’ sulla sua velocita’, efficacia e coinvolgimento dell’intero sistema economico che si nutrono riserve. Le task force che si andranno a costituire saranno all’altezza ? Sapranno intervenire con progetti concreti e veramente strategici per la collettivita’ ? Chi controllera’ e come il loro operato ? Domande a cui sembra difficile rispondere, perche’ non sembra che l’ attuale Governo possa esserne in grado visto i ritardi con cui si e’ mosso, le incertezze, la dispersione delle risorse messe a disposizione senza concentrarsi su alcune priorita’ come il sostegno alle imprese ed al lavoro ed altro ancora. C’e’ bisogno di figure di alto profilo come Mario Draghi, Paolo Savona, Giulio Tremonti, Carlo Cottarelli per la gestione di situazioni complesse. Viene da dire, avanti gli “anziani” e’ il loro momento !

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