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Perché la Fed ha cambiato strada

Cambiamenti strutturali dell’economia hanno spinto la Fed ad adottare una nuova strategia di politica monetaria, per non consolidare aspettative di inflazione al ribasso. Le altre banche centrali la seguiranno in questo percorso (ancora) più espansivo?

Le parole di Powell

Lanciato da un simposio di Jackson Hole per la prima volta in formato virtuale a causa dell’emergenza legata al Covid-19, l’annuncio di Jerome Powell di una nuova strategia di politica monetaria da parte della Fed ha riempito le prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Almeno per i prossimi cinque anni, nel Consensus Statement del Consiglio della Federal Reserve non verrà più fatto riferimento al target puntuale di inflazione al 2 per cento nel lungo termine, ma al target medio del 2 per cento, calcolato su un periodo di tempo da definire a discrezione dello stesso Consiglio.

L’annuncio, che apre alla possibilità di tollerare in futuro livelli di inflazione più alti, non costituisce di per sé un cambiamento di rilievo del modo in cui la Fed già opera. Il governatore Powell, circa un mese fa, aveva infatti dichiarato: “i cambiamenti che faremo alla dichiarazione sugli obiettivi a lungo termine della strategia di politica monetaria in verità codificano il modo in cui stiamo già agendo con le nostre politiche”, come a voler dire che i cambiamenti introdotti sarebbero stati più di forma che di sostanza. Nelle parole pronunciate dal governatore a fine agosto si possono però trovare ulteriori spunti di riflessione che vanno al di là della notizia da prima pagina.

Powell fornisce un puntuale resoconto delle lezioni apprese in questi anni, che hanno portato a rivedere la strategia di politica monetaria. Quattro sviluppi macroeconomici hanno modificato il quadro di riferimento:

  1. La crescita potenziale dell’economia è diminuita, passando dal 2,5 per cento del 2012 all’1,8 per cento del 2020. Una diminuzione che riflette non solo il rallentamento dell’aumento della popolazione e il suo invecchiamento, ma anche un importante calo della crescita della produttività.
  2. Il tasso naturale d’interesse, che non dipende dalla banca centrale ma dagli elementi strutturali del sistema economico, è sceso anch’esso, sia negli Stati Uniti che in tutto il mondo; a causa degli stessi fattori che hanno ridotto il potenziale di crescita economica.
  3. Il tasso di disoccupazione è rimasto vicino ai minimi degli ultimi cinquanta anni, ben sotto il valore sostenibile considerato in numerosi modelli econometrici. Con il progredire dell’espansione economica si è anche ridotto il differenziale di disoccupazione registrato tra le varie comunità, raggiungendo i livelli minimi di sempre, distribuendo i benefici della crescita anche agli strati più bassi della società.
  4. Nonostante livelli minimi di disoccupazione e un forte mercato del lavoro non si è innescato alcun percorso inflazionistico. Le previsioni dei modelli utilizzati, che ipotizzavano di anno in anno un ritorno dell’inflazione oltre il target, non si sono mai realizzate, portando ogni volta a dover rivedere il livello della cosiddetta disoccupazione di equilibrio (u-star).
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Le modifiche introdotte riflettono questi cambiamenti strutturali dell’economia e sono funzionali a fare in modo che non si consolidino aspettative di inflazione al ribasso. Powell sottolinea infatti come un’inflazione persistentemente sotto il target abbassa le aspettative di crescita dei prezzi a lungo termine e condiziona il livello generale dei tassi di interesse. Con tassi d’interesse a lungo termine più bassi ci sono meno possibilità di affrontare gli effetti delle future recessioni, consolidando nuovamente aspettative al ribasso di inflazione e quindi di tassi, in una dinamica circolare di tipo giapponese dalla quale diventa molto complicato uscire. L’adozione di un obiettivo medio di inflazione ha quindi lo scopo di innalzare le aspettative a lungo termine e aumentare la pendenza della curva dei tassi d’interesse. Resterebbe aperta, stando alle recenti parole del vice governatore Richard H. Clarida, anche la possibilità che si arrivi all’utilizzo di strumenti di controllo della curva dei tassi di interesse, nel caso che la semplice revisione dell’obiettivo non sia sufficiente a raggiungere adeguati livelli di tassi d’interesse a lungo termine.

Disoccupazione e inflazione

Dai quattro punti deriva anche un’ulteriore importante modifica, che ha avuto però meno rilevanza sui media: le valutazioni di politica monetaria non saranno più basate sulle “deviazioni” rispetto al livello massimo di occupazione, ma piuttosto sulle “carenze” rispetto al livello massimo. In pratica si introduce un meccanismo asimmetrico di valutazione sullo stato del mercato del lavoro, nel quale solo le carenze (e non gli eccessi) di occupazione daranno luogo a revisioni degli strumenti di politica monetaria, almeno fino a quando non vi siano segni evidenti di aumenti non voluti dei prezzi. Si abbandona di fatto il concetto di disoccupazione naturale di equilibrio (Nairu) che ha avuto un ruolo fondamentale nei modelli econometrici utilizzati fino a oggi.

È così probabile che in futuro situazioni simili a quelle registrate nel 2015, caratterizzate da disoccupazione al livello naturale ma inflazione sotto al target, non inducano più la Fed ad aumentare i tassi, con la conseguenza che il dollaro potrebbe rimanere debole per un lungo periodo di tempo, costringendo anche le altre principali banche centrali a seguire quella americana sul percorso ancor più espansivo.

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Il Punto

  1. Savino

    Se gli Stati continueranno a drogare con sussidi di emergenza e a non esigere un’etica d’impresa nella quantità e nella qualità dei lavoratori e del salario e se si continuerà ad esagerare con la robotica verrà modificato irreversibilmente il concetto di piena occupazione e non sarà una conquista per l’umanità,.

  2. Rainbow

    Questa nuova impostazione dovrebbe essere seguita anche dalla BCE,e dalla Commissione Europea. Il fiscal Compact ed i suoi parametri (OUTPUT GAP,DISOCCUPAZIONE NATURALE,PIL POTENZIALE) che condizionano le politiche di bilancio sono ormai tarati su
    parametri macro-Economici ormai irrealistici.

  3. Rainbow

    In particolare,mi piacerebbe conoscere il parere dell’autore dell’articolo in proposito,alla luce di questi nuovi orientamenti si evince che i parametri macro sui quali è modulato il Fiscal Compact sono ormai obsoleti. In particolare,nel modello Econometrico seguito dalla UE il tasso di disoccupazione naturale (Nairu) che funge da base di calcolo per il Pil Potenziale (che a sua volta serve per calcolare il output gap,ed il deficit strutturale, ed anche l’obiettivo di medio termine di deficit per ciascun paese) dovrebbe tener conto del nuovo scenario nel senso che il tasso di disoccupazione non inflazionistico per l’Italia,per esempio,dovrebbe essere drasticamente abbassato (mi par di ricordare che questo tasso per l’Italia è calcolato attualmente intorno al 12%) ed in questo modo cambierebbe tutto il resto (output gap,deficit strutturale ed obiettivo di medio termine di riduzione del deficit).
    Tutto questo andrebbe fatto perchè il Fiscal compact non è stato rimosso,ma solo sospeso. Per cui,finita la pandemia,il nostro Debito (la maggior parte del Recovery-Fund è a Debito!)salirà al 160% del Pil,e se non cambia il Fiscal Compact,l’Europa tornerà a chiederci pesanti politiche di austerità!

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